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Art. 18 e referendum del 15 giugno. Prime valutazioni.

comunicato dello Slai Cobas di Milano

(18 Giugno 2003)

I risultati del referendum sono usati dal governo e dal padronato per rilanciare e sostenere la già decisa controriforma dei rapporti di lavoro. Decreto legislativo 30, leggi delega 848 bis (che il ministro Maroni vuole trasformare in legge entro la fine di luglio), furto dei TFR e tutte le svariate iniziative a "sostegno attivo" di un’ulteriore precarizzazione dei lavori, sono le misure contro cui occorre rilanciare la mobilitazione e costruire un’effettiva opposizione.

Uno dei "risultati" del referendum è stato quello di mettere in luce che sia il centrodestra, sia la grande maggioranza del centrosinistra (fino alla corrente DS della CGIL), sono contrari non solo all’estensione dei diritti, ma entrambi vogliono abolire l’art. 18 per tutti e, in forme diverse, attaccare le condizioni di lavoro per rilanciare l’economia nazionale. Il referendum, una volta di più, ha messo in luce il filo conduttore che unisce il pacchetto Treu al libro bianco di Maroni e che i lavoratori possono contare solo sulle proprie forze per contrastare l’attacco e opporsi alla crescente precarizzazione.

Un’altro dei "risultati" del referendum è l’ennesima dimostrazione che i lavoratori sono sempre sconfitti sul piano elettorale (come avvenne anche col referendum sul punto unico di contingenza) e che solo l’organizzazione nei posti di lavoro e la mobilitazione possono creare dei rapporti di forza tali da imporre una maggior tutela delle proprie condizioni, anche riuscendo a conquistare delle specifiche leggi.

Questo referendum, come abbiamo già sostenuto, è stato lanciato con tempi e modi sbagliati, ritenendo che le mobilitazioni dell’anno scorso per l’art. 18 avessero già fatto maturare la disponibilità a passare dalla difesa delle condizioni acquisite all’offensiva per l’estensione dei diritti, e che si fossero sviluppati rapporti di forza tali da riuscire a contrastare l’amplissimo schieramento dal centrodestra alla maggioranza del centrosinistra avverso ai lavoratori.

Il mancato raggiungimento del quorum al referendum, tuttavia, non equivale ad una sconfitta dei lavoratori sul terreno della lotta e della mobilitazione. Anzi, in un contesto in cui lo schieramento contrario all’estensione dei diritti era ultramaggioritario, da soli i lavoratori sono riusciti a ottenere all’incirca 10 milioni di SI, un dato che mostra come cominci a sedimentare un’opposizione sociale alla controriforma dei rapporti di lavoro.

Da questa constatazione occorre ripartire, perché la questione dei diritti non si chiude qui. Di fronte ad un’offensiva che punta a flessibilizzare sempre più tutti i lavori, che ha l’obiettivo di levare a tutti l’art. 18 nell’arco di due-tre anni e di far sparire garanzie esistenti da decenni, occorre organizzarsi e coordinarsi in tutti i posti di lavoro.

L’introduzione di tutte le svariate forme di lavoro "atipiche" (Co.Co.Co., apprendistato, lavoro interinale, formazione lavoro, tempo determinato, lavoro a chiamata, ...), le cessioni di ramo d’azienda, l’arbitrato, la certificazione dei rapporti di lavoro, la totale assenza di diritti per la manodopera immigrata (ricattata con la concessione dei permessi di soggiorno)... rappresentano altrettanti tasselli per peggiorare progressivamente le condizioni di tutti i lavoratori. Chi oggi non ne è immediatamente colpito, si troverà domani privato di garanzie e salvaguardie che ha dato per acquisite da sempre (maternità, ferie e malattie pagate, ...). Al padronato un lavoratore senza diritti costa di meno che un lavoratore con i diritti!

Abbiamo la possibilità di opporci a quest’attacco, ma non sarà certo possibile farlo accettando patti, contratti e accordi su Cassa Integrazione e licenziamenti, come quelli sottoscritti separatamente o unitariamente da Cgil-Cisl-Uil, subordinati alla politica di "contenimento del costo del lavoro".

Dobbiamo rimettere al centro della nostra iniziativa la difesa dei nostri interessi, l’abolizione delle forme di lavoro "atipiche", il rifiuto dei licenziamenti per la "giusta causa" delle motivazioni economiche, l’allargamento di una soglia di diritti minima per tutti i lavoratori, compresi quelli sindacali in tutti i posti di lavoro, perché siano immediatamente godibili ed esigibili dai lavoratori stessi, a cominciare dal diritto di assemblea e dall’obbligatorietà di sottoporre ad approvazione qualsiasi accordo e contratto.

Chiamiamo tutti i lavoratori ad un’azione comune, a cominciare da quelli organizzati nei sindacati di base ed autorganizzati, con cui abbiamo condiviso scioperi e mobilitazioni, per aprire un intervento unico e costante in tutti i posti di lavoro e su tutto il territorio nazionale.

Milano, 16/6/2003

Slai Cobas
Coordinamento provinciale di Milano

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