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1 Marzo: una "strana" scadenza, una grande opportunità.

(28 Febbraio 2010)

Partita in modo non canonico, la scadenza del 1 marzo è venuta progressivamente assumendo delle valenze che ne fanno un momento importante nella lotta degli immigrati e degli sfruttati in generale.

Una “strana” scadenza, una grande opportunità.

Non lo neghiamo: inizialmente la scadenza del 1 marzo aveva suscitato in noi delle perplessità. Ciò, in virtù del richiamo ad una forma di lotta, lo sciopero, che non può nascere in rete. Soprattutto se riguarda gli immigrati: questo settore estremamente vitale del proletariato metropolitano, per svolgere le proprie mobilitazioni deve superare ogni tipo di ostacolo. Ma riflettendoci meglio, la giornata “senza di noi” può costituire un momento importante, un passo in avanti nella lotta degli immigrati in particolare e di tutti gli sfruttati in generale.
Sono due i motivi, strettamente intrecciati tra di loro, che ci hanno indotto ad una valutazione diversa da quella iniziale:
1) la scadenza, che si svolgerà contemporaneamente ad analoghe mobilitazioni in altre parti d’Europa, nasce, certo, in un contesto “virtuale”. Ma se si è imposta con forza è perché essa ha saputo cogliere un bisogno diffuso, che si collega anche a quanto accaduto nel mese di gennaio a Rosarno. Cioè, all’affiorare di una condizione di sfruttamento estrema ed al prodursi di un importante episodio di rivolta, coscientemente organizzato e portato avanti dai raccoglitori di arance. A parte le immediate manifestazioni di solidarietà nei loro confronti, c’era la necessità di dare un segnale forte dopo l’accaduto, anche in relazione ad una comunità locale che si era schierata perlopiù contro gli immigrati. Va considerato che proprio i fatti di Rosarno hanno imposto un altro modo di parlare della questione immigrazione. Ormai non è più possibile discorrere esclusivamente di cose pur giuste, ma parziali, come l’accoglienza e l’incontro fra culture. Anche segmenti dell’associazionismo sono ora spinti a toccare il nodo dello sfruttamento. Un giornalista di Repubblica come Vladimiro Polchi ricorda che la Confindustria non si esprime sul lavoro irregolare, perché molte aziende che ne fanno parte ne beneficiano ed amano l’immigrato ridotto nella condizione di chi non ha diritti. Noi lo sapevamo, ma se lo dice pure lui…Dunque, il 1 marzo si ha la possibilità di rivendicare la rivolta di Rosarno come episodio di lotta e di autodifesa degli immigrati da razzisti e sfruttatori. Denunciando, senza lo scandalo di nessuno, gli interessi di padroni di ogni formato (piccoli, medi, grandi), che hanno tutto da guadagnare da quella contrapposizione tra lavoratori immigrati ed italiani che quotidianamente viene sospinta dai media.

2) Il secondo punto è questo: se si chiarisce che il 1 marzo non è il vero e proprio sciopero degli immigrati, ma un segnale che va in quella direzione, allora bisogna riconoscere che questa data evoca ed approfondisce contenuti e temi già emersi nel grande corteo degli immigrati del 17 ottobre 2009. Nel quale la soggettività immigrata si era rappresentata anche come forza sociale indispensabile al paese, perché produttrice di ricchezza. Che la scadenza non sia nata in seno al percorso del 17 ottobre a questo punto poco importa. Nella sostanza, essa si ricollega a quel momento, trasmettendo questo messaggio: oggi produciamo un’anticipazione, ma nei prossimi mesi con le forze sociali e sindacali che hanno sostenuto il 1 marzo, dobbiamo creare momenti che superino definitivamente il dato simbolico. Senza escludere la possibilità di un vero e proprio sciopero degli immigrati, magari sostenuto anche da quei settori di lavoratori italiani che non si lasciano avvincere dalle sirene del razzismo promosso dall’alto e che si rendono conto di quanto un avanzamento della condizione degli immigrati possa portare con sé un miglioramento nelle condizioni di tutte/i. In questa direzione, va fatto tesoro di esperienze recenti, come la lotta vittoriosa dei lavoratori (nella stragrande maggioranza immigrati) delle cooperative di Origgio, in provincia di Varese: una lotta che, anche fuori dalla Lombardia, è stata recepita dai lavoratori più coscienti – immigrati ed italiani - come indicazione delle possibilità di un conflitto portato avanti dal basso in un contesto di precarietà estrema.

Dunque, per una serie di fattori, la scadenza del 1 marzo è venuta ad assumere delle valenze ulteriori rispetto a quelle iniziali. Naturalmente, perché certe potenzialità si esprimano pienamente, è necessario un ultimo chiarimento. Col “giorno senza di noi” si vuole alludere all’apporto degli immigrati alla economia ed alla vita sociale di questo paese, ponendo, di conseguenza, il problema di quanto poco sia loro dato. Ma il “quanto spetta loro” a nostro avviso non può essere circoscritto, magari con richiami alla “giusta mercede”, sulla scia di quel papa tardo ottocentesco (Leone XIII) che si preoccupava della miseria degli operai ma anche della possibilità che questi si ribellassero. Ai lavoratori immigrati, così come a tutti quegli italiani che producono col loro sudore ricchezza in questo paese, spetta tutto. Sì, diciamolo chiaramente: proprio tutto.

Sosteniamo la proposta di uno sciopero generale degli immigrati per il 1 ottobre del 2010!

Il Pane le rose - Collettivi redazionali di Padova e Roma.

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