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    Massimo Papini: un processo al buio?

    (4 Marzo 2010)

    La cronaca puntuale della seconda udienza del processo di Massimo Papini. L'impianto probatorio della pubblica accusa è debole: elementi eterogenei vengono accostati in modo libero, secondo una prassi molto seguita nei processi per reati associativi.

    Massimo Papini: un processo al buio?

    Stamattina, il processo a Massimo Papini si è aperto ancora una volta nel segno di una forte presenza da parte dei familiari, dei colleghi – tra cui noti personaggi del mondo dello spettacolo – e dei partecipanti al Comitato “Massimo Libero!”. Gli avvocati della difesa hanno contestato in modo circostanziato la produzione documentale della Pubblica Accusa, rilevando quanto la stragrande maggioranza di essa non abbia attinenza ai capi di imputazione nei confronti di Massimo. Inoltre, si è messa in evidenza la mescolanza di elementi eterogenei, accostati per “suggestione”. Ad esempio, un documento estratto dal computer di Paolo Broccatelli, veniva associato ad altri, rinvenuti nel corso delle perquisizioni all’imputato, riguardanti l’affitto di un furgone e fatture di una società cinematografica della quale era dipendente.

    Venivano inseriti poi documenti legati all’omicidio Biagi ed a precise condotte materiali (rapine di autofinanziamento, il trasloco da un covo ad un altro), per cui Massimo non è indagato.

    E’ stato sottolineato che importanti supporti informatici e telefonici legati alla inchiesta, sono stati messi a disposizione degli avvocati della difesa solo a partire dal 26 febbraio del 2010. Dunque, non è stato possibile loro analizzarli. Per non dire del fatto che non risultava ancora deposta agli atti - come invece era stato richiesto - la cartellina verde contenente le perizie psichiatriche di Diana Blefari, sequestrata nel corso della perquisizione contestuale all’arresto del 1 ottobre 2009. In ultimo, mancano materiali esplicitamente richiesti, come le intercettazioni ambientali dei colloqui in carcere ed una lettera del 26 settembre 2009 tra Diana e Massimo.

    La difesa, dopo aver messo in evidenza queste gravi falle, ha chiesto di estromettere il materiale documentale estraneo al capo di imputazione, ritenendolo legato ad una metodologia tendente a riempire un “procedimento vuoto” per vie traverse ed attraverso espedienti.

    Si è chiesto inoltre di poter analizzare tutte le telefonate intercettate, in un periodo di tempo che va dal 2004 al 2009 (se ne conoscono solo frammenti, richiamati nella imputazione, ma molte di esse potrebbero essere utili alla difesa).

    Il PM ha ammesso di aver accostato dei materiali eterogenei, asserendo che ciò è imputabile ad un errore di numerazione. In più, ha esplicitato una filosofia che spesso emerge quando si contestano reati associativi: gli elementi non legati al capo di imputazione, ha detto il PM; “presi singolarmente possono sembrare incoerenti ed estranei, ma inseriti in un contesto ed assommati a testimonianze, possono diventare anelli di congiunzione di tutto il filo logico dell’inchiesta”. Modo contorto per dire che quando si accusa qualcuno di un reato associativo, più che i fatti e la precisa restituzione dei legami tra di essi, contano le possibilità di accostamento, anche per via “suggestiva”.

    Tra i documenti contestati vi sono quelli pertinenti l’indagine sull’omicidio Biagi prodotti dalla Procura di Bologna. Rispetto a questa indagine, il GIP di Bologna ha sostanzialmente escluso Papini dal novero degli indagati, negando il provvedimento di custodia cautelare nei suoi confronti.

    Dopo una pausa del dibattimento, dovuta a perdita della corrente elettrica, si sono improvvisamente materializzati alcuni materiali richiesti, legati alle intercettazioni telefoniche della procura di Roma. Un perito del tribunale ha assunto l’impegno di analizzare il tutto nell’arco di 60 giorni.

    Il giudice, pur non sottoscrivendo la richiesta di estromissione dei materiali più incongrui, ha comunque accolto l’istanza relativa alla garanzia di una piena conoscenza dei materiali dell’indagine da parte della difesa.

    Una sola testimonianza, dalla parte dell’accusa, è stata sentita nel corso della mattinata, quella di Lamberto Giannini della Digos di Roma. Attivo dal 1992, è assurto alla carica di dirigente della sezione antiterrorismo dopo l’omicidio D’Antona. La testimonianza (in gergo tecnico, “di cappello”) del funzionario, si è tradotta in una lunghissima dissertazione sulla eversione dal principio degli anni ’90 in poi, registrando il salto di qualità dai NCC (Nuclei Comunisti Combattenti) alle nuove Brigate Rosse, restituendo tutte le fasi che hanno portato alla cattura degli esponenti di questa formazione, nonché il meccanismo di funzionamento interno della stessa. Un affresco forse utile allo storico, ma di cui non è stata chiara la pertinenza non solo diretta, ma anche “di contesto” con l’imputato. In questo quadro, la figura di Massimo Papini è stata forzatamente richiamata solo nell’ultimissima fase del discorso, del resto piuttosto sganciata dalla trattazione “storica” precedente. In verità, da parte del teste vi sono stati pure richiami a documenti che, a ben vedere, possono decisamente andare nel senso della difesa. Viene citata in particolare una lettera, reperita durante una perquisizione del 2004 e non affrancata, di Diana a Massimo, in cui la prima si rivolge al secondo dicendo “adesso puoi capire il mio atteggiamento e le mie stranezze”, a proposito di comportamenti, legati alla militanza dell’amica, che l’imputato non riusciva a comprendere.

    In conclusione, si è avuta la chiara percezione del carattere aleatorio del procedimento in corso contro Massimo ed anche della spinta della Pubblica Accusa a non porsi il problema della fragilità del proprio impianto probatorio, aggrappandosi alle possibilità che purtroppo offre una interpretazione estensiva dei reati associativi.

    L’appuntamento, comunque, è per il 22 marzo, quando saranno sentiti gli altri testimoni dell’accusa e la difesa potrà confrontarsi con essi.

    Roma, 2 marzo 2010

    Comitato "Massimo libero!"

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