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Estate al fresco

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(13 Agosto 2010) Enzo Apicella
Dall'inizio dell'anno sono 40 i detenuti morti per suicidio nelle carceri italiane

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(Omicidi di stato)

9 Marzo 1985 – 9 Marzo 2010

25° anniversario dell’omicidio di stato del compagno Pietro Greco “Pedro”

(10 Marzo 2010)

Venticinque anni fa il compagno Pedro veniva assassinato con almeno una dozzina di colpi d’arma da fuoco in via Giulia, nel centro di Trieste, da quattro sicari dello stato borghese: Nunzio Romano, agente dell’allora Sisde, Maurizio Bensa, Mario Passanisi e Giuseppe Guidi, funzionari della Digos di Trieste.

Pedro era un militante comunista di origine calabrese, trasferitosi a Padova alla fine degli anni sessanta per motivi di studio. Conseguita la laurea, iniziò a lavorare come insegnante di matematica e sostenere così i propri familiari rimasti al Sud. Fu attivo instancabilmente in differenti situazioni di lotta: dalle mobilitazioni per il diritto alla casa all’antifascismo militante.
I compagni e le compagne che lo conobbero, lo ricordano tuttora per la sua capacità politica, la determinazione, l’umanità e l’entusiasmo profusi nel combattivo e vasto movimento di classe dell’epoca.
Proprio per questo, l’accanimento repressivo nei suo confronti fu continuo. Già nel 1980, il pm Pietro Calogero, d’area Pci, spiccò nei suoi confronti un mandato di cattura per associazione sovversiva costringendolo alla latitanza. Prosciolto più di un anno dopo, ritornò a Padova dove fu tra i promotori di diverse esperienze di lotta, tra cui l’occupazione del Centro Sociale “Nuvola Rossa”, una delle prime e più grosse esperienze di riappropriazione di spazi d’aggregazione giovanile proletaria nella città veneta.
All’inizio del 1982, Calogero richiese di nuovo il suo arresto, ancora una volta per reato associativo, costringendolo ad una ulteriore latitanza dalla quale non fece ritorno, caduto sotto i colpi del braccio armato del regime borghese.

L’omicidio di Pedro rientra nel processo di chiusura forzata che la classe dominante mise in atto contro la prospettiva rivoluzionaria, emersa con forza nel nostro paese durante il decennio precedente, sia a livello di mobilitazioni di massa sia attraverso la pratica delle organizzazioni d’avanguardia. La fase era quella delle grandi ristrutturazioni industriali (inaugurate con la Fiat nel 1980), dell’inizio dell’attacco alle conquiste della classe lavoratrice attraverso la concertazione, del rilancio della tendenza alla guerra imperialista (Libano, Libia, riarmo voluto da Reagan) e del riapparire sempre più sanguinario delle “strategia della tensione” (strage di Bologna nel 1980 e del rapido 904 nel 1984). In questa situazione, generata principalmente dall’avanzare della crisi del capitalismo, colpire il movimento rivoluzionario, era fondamentale e necessario per la gestione, da parte del regime, delle contraddizioni che si stavano sviluppando soprattutto sul piano economico-sociale.
Gli strumenti che la borghesia mise in campo furono da un lato selettivi, cioè diretti a colpire le componenti più avanzate, soprattutto attraverso l’introduzione della differenziazione carceraria (applicazione dell’art.90 o.p. poi affinato nell’attuale 41 bis), attraverso la prassi generalizzata della tortura fino ad arrivare, nel caso di Pedro, all’esecuzione extragiudiziale. Dall’altro furono volte a colpire, a livello generale, la conflittualità di classe e popolare radicata sui posti di lavoro e nel territorio, utilizzando l’arma dei reati associativi come una rete a strascico, in grado cioè di imbrigliare nella repressione tutto ciò che si muovesse in senso contrario, o semplicemente al di fuori degli schemi della classe dominante. Le inchieste sfociate nell’assassinio di Pedro furono esemplificative in tal senso, così come i successivi arresti del 15 aprile 1986, contro i compagni e le compagne della rivista Il Bollettino, che davano voce ai prigionieri politici e conducevano una assidua campagna di denuncia dell’omicidio.
A concorrere all’isolamento e al tentativo di annientamento della prospettiva rivoluzionaria giocò un ruolo importante non solo il Pci social-fascista con la magistratura ad esso legata, ma anche la teoria e la pratica della dissociazione, entrambe volte a ricondurre con violenza il conflitto di classe negli ambiti istituzionali, privandolo di ogni potenzialità autonoma e liberatoria.
Ricordare l’assassinio di Pedro vuol dire far della memoria un’arma per il presente cioè per affrontare le contraddizioni che abbiamo di fronte.
Il capitalismo si continua a dibattere in una crisi sempre più grave, le cui conseguenze in termini di miseria, sfruttamento e oppressione ricadono sul proletariato e sulle masse popolari, colpiti dalla spoliazione, dal saccheggio sociale e in generale da rapporti di produzione che incarnano esclusivamente gli interessi di una ristretta oligarchia.
Nei paesi del cosiddetto Terzo Mondo, sottoposti al tallone neocoloniale, la tendenza alla guerra imperialista continua a svilupparsi ed a espandersi in maniera sempre più barbara, portando morte e distruzione, nascoste dietro il velo dell’esportazione dei “diritti umani e della democrazia”. L’Italia è in prima linea sul fronte del genocidio globale, non solo con i propri interessi economici imperialistici, ma anche con la presenza di truppe mercenarie su ogni fronte di guerra, innanzitutto nell’Afghanistan, ma anche in Libano, nei Balcani e ancora in Iraq (con gli istruttori della Nato), ed è schierata fedelmente a fianco di Israele nelle sue continue minacce ai popoli mediorientali e nell’apartheid e nello sterminio dei palestinesi.
Negli stessi paesi imperialisti, le condizioni di vita del proletariato sono continuamente sotto attacco da parte dei governi della borghesia attraverso controriforme su ogni livello (sanità, istruzione, mercato del lavoro, contrattazione, diritto di sciopero, previdenza, assistenza, privatizzazioni…). I grandi monopoli industrial-finanziari gestiscono la crisi sulle spalle dei lavoratori, con licenziamenti di massa, delocalizzazioni e speculazioni di ogni genere. Particolarmente grave è la condizione del proletariato immigrato, sottoposto da un lato ad uno sfruttamento selvaggio per la ricattabilità della sua condizione, dall’altro ad un vero e proprio regime di apartheid giuridica e sociale.
Difronte a tutto ciò, il pericolo per la borghesia è rappresentato ancora una volta dal fantasma della lotta di classe e soprattutto dalla prospettiva storica di farla finita, attraverso la rivoluzione proletaria, con un sistema di produzione fondato sullo sfruttamento e sul profitto.
Incapace di giocare la carta del riformismo, il quale ha perso le sue possibili basi materiali a causa della crisi, la classe dominante gioca la carta della reazione cioè del rilancio e della ridefinizione della sua egemonia nella società, del controllo sociale e della repressione, dispiegata sia a livello di massa sia contro il movimento di classe e rivoluzionario. Sono armi che la borghesia utilizza preventivamente, perché nella contraddizioni oggettive presenti va stroncata ogni possibile prospettiva soggettiva capace di mettere in discussione i rapporti di forza tra le classi, o semplicemente ogni reale opposizione politica e sociale.
Fanno parte di questo processo reazionario la promozione di un ideologia razzista contro gli immigrati, diretta a creare odio fra gli sfruttati invece che contro gli sfruttatori, la riscrittura della storia in senso nazionalista, con il mito della “foibe” e dell’esodo elevati a verità intangibili e l’appoggio ai gruppi squadristi come Fiamma Tricolore e Casa Pound, le cui adunate sono protette a suon di manganelli, cariche e arresti.
Nei rapporti sociali la regola dev’essere quella del controllo poliziesco e militare: gli ospedali chiudono perché “mancano i soldi” ma si spendono milioni per blindare le città con telecamere, l’esercito viene schierato nelle vie e nelle piazze delle metropoli o all’esterno delle galere etniche (i Cie) e persino i writers diventano “pericolosi criminali”, perché i muri devono rimanere grigi come i cuori dei cementificatori che li hanno costruiti e degli strozzini che ora li gestiscono.
A livello di massa si punta ad intimorire gli operai, gli studenti e tutti coloro che lottano in difesa delle proprie condizioni di vita, con l’operato dei cani togati e in divisa, i quali assolvono zelantemente al proprio dovere come testimoniano gli arresti preventivi, i processi, le condanne e le botte distribuite ai cortei.
Contro il movimento di classe e rivoluzionario, l’arma principe rimane quella dei reati associativi, la stessa usata negli anni settanta e ottanta contro Pedro e altri migliaia di compagni e compagne. Questa eredità del ventennio mussoliniano alla “repubblica democratica” rimane tuttora uno strumento capace di porre sotto costante controllo poliziesco singoli/e compagni/e ed intere aree politiche, di coinvolgere in un'unica inchiesta realtà di movimento e di avanguardia, di ordinare arresti preventivi con tutta facilità e su elementi spesso inconsistenti e di condurre processi politici che terminano con pesantissime condanne detentive. Ma soprattutto essa permette allo stato borghese di combattere ciò di cui ha più paura: la strategia e l’organizzazione rivoluzionaria.
La naturale prosecuzione a livello penitenziario del 270 c.p. e di tutte le fattispecie penali di sua derivazione è quella della differenziazione carceraria per i prigionieri politici, che si attua attraverso la tortura bianca dell’isolamento, del 41 bis (il cosiddetto carcere duro), dei reparti Alta Sorveglianza e della deportazione in galere-confino come quella di Siano (Cz) riservata ai rivoluzionari comunisti o quella di Macomer (Nu) per gli immigrati politicizzati in senso islamico.
La barbarie contro cui Pedro lottò per tutta la sua vita è ancora qui, difronte a noi.
La mano che lo uccise gronda ancora sangue.
La borghesia lo ha assassinato, ma il suo valore e la sua generosità vivono laddove gli sfruttati e gli oppressi alzano la testa.
La causa per la quale diede la vita, quella della fine dello sfruttamento e dell’oppressione dell’uomo sull’uomo, sia anche il nostro orizzonte, giorno per giorno.
Onore a Pietro Greco “Pedro” e a tutti i caduti per il comunismo!
Contro la repressione, rilanciare e organizzare la solidarietà di classe!
Contro la reazione, continuare sul sentiero di Pedro, sul sentiero della Rivoluzione!

Collettivo Tazebao – per la propaganda comunista

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