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(16 Ottobre 2010) Enzo Apicella
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La FIOM e la battaglia contrattuale dei metalmeccanici

il pane e le rose - approfondimento n.1 - 7 giugno 2003

(7 Giugno 2003)

Negli ultimi mesi, man mano che lo scontro sul rinnovo del CCNL dei metalmeccanici diventava esplicito, sono emersi, tra i compagni e persino tra le righe di alcuni articoli sul “Manifesto ”, molti interrogativi sulla strategia della Fiom, i risultati degli scioperi, la tattica da adottare in questa fase di lotta.

Contemporaneamente sembrano emergere alcuni segnali (nelle dichiarazioni alla stampa, nelle relazioni ai direttivi locali, nel dibattito interno) di un attacco alla linea della Fiom da parte della destra interna, silente ormai da molto tempo: il suo ultimo segno di vita mi sembra sia stato un incontro nazionale a Milano subito prima del congresso Cgil.

Aprire ora una discussione può sembrare quindi politicamente poco opportuno: qualunque critica sull’operato Fiom può essere utilizzata da parte di chi, nei DS o nella stessa Cgil, ha da tempo nel mirino il gruppo dirigente nazionale stretto intorno a Sabattini prima, Rinaldini oggi, per far rientrare la Fiom nei ranghi della concertazione.
Come ormai si fa da tempo nella sinistra si tende a nascondere i problemi, ci si limita al silenzio.

Nonostante spesso si senta tanto lodare Di Vittorio, che nel direttivo nazionale del 1955 da solo apre la discussione nella Cgil a partire dal riconoscimento della sconfitta alle elezioni della commissione interna alla Fiat, nella mia breve vita non ho mai visto fare a nessuno, in sconfitte così pesanti come in quelle meno significative, un’analisi chiara ed esplicita della situazione (e purtroppo negli ultimi venti anni di sconfitte ce ne sono state tante).

Quando alle riunioni o sul giornale (Liberazione come il Manifesto)si glissa o non si parla tout court di una mobilitazione, di uno sciopero, di un avvenimento, il messaggio è chiaro: le cose si sono messe male ed è meglio evitare l’argomento, quasi che cercare di capire cosa è successo sia un’offesa contro il partito o la causa.

Così anche in questa fase, in cui sono evidenti le difficoltà sui risultati e le prospettive delle lotte dei metalmeccanici (e non solo), si scrivono articoli esaltanti sugli scioperi o le elezioni Rsu e non si deve dubitare pubblicamente del sostegno pieno della Cgil allo scontro in corso. Salvo poi mostrarsi preoccupati nelle discussioni informali e in qualche accenno più criptico che esplicativo.

Per questo è utile fare un po’il punto, anche se un punto parziale ed approssimativo.
E’utile per aprire la discussione e la riflessione sul conflitto tra i metalmeccanici e la situazione sindacale. Avere la consapevolezza del quadro presente, delle poste in gioco e dei rapporti di forza è uno strumento essenziale per prepararsi ad una lotta lunga e difficile.

Una lotta è costruita su rapporti di forza nella produzione e sul piano politico: rapporti di forza in cui certamente l’immaginario e la volontà hanno un peso, ma i risultati materiali che si portano a casa, la soggettività che si costruisce nella classe, la ricomposizione o la scomposizione materiale che si produce tra i lavoratori sono elementi che pesano altrettanto e forse di più.

L’attuale scontro è in corso ormai da un paio di anni, in una fase segnata dalla svolta della Fiom (che decide di dare battaglia sull’assetto del 23 luglio), dalla crisi delle grandi aziende italiane, dalla ristrutturazione e riaggregazione nelle piccole e medie imprese.

La Fiom apre questa fase con una propria scelta soggettiva, a partire dalla vicenda del contratto Zanussi e dal rinnovo biennale del CCNL (recupero inflazione reale).
E’interessante soffermarci innanzitutto sulla vicenda della Zanussi, arrivata agli onori della cronaca nazionale per la bocciatura da parte dei lavoratori del contratto aziendale firmato da Cisl e Uil, ma non dalla Fiom.

Una vicenda che ha rappresentato uno dei primi e più significativi passi della nuova strategia Fiom, portato avanti con notevoli resistenze interne: mi sembra che questa sia stata l’ultima battaglia pubblica della destra interna in dissenso con la segreteria nazionale.

L’accordo firmato era centrato su due pilastri:
1) i contratti a chiamata, elemento che catalizza l’attenzione pubblica (giornali, forze politiche) per la sua novità e l’amplificazione della divisione orizzontale tra lavoratori precari e stabili;
2) il cambio del sistema di ritmi e tempi della produzione, che registra una forte attenzione da parte degli operai Zanussi per l’aumento dello sfruttamento che comporta.

Il contratto è bocciato al referendum, ed è una primissima esperienza della strategia della separazione: la Fiom aziendale e nazionale sono contrarie, a favore sono la Cisl, la Uil ed un pezzo di Fiom (l’area più riformista, alcuni dirigenti e federazioni locali, ad esempio ricordo Imola, mi pare, dove c’è uno stabilimento).
Cisl e Uil imparano in questa occasione che, dal loro punto di vista, non è utile andare al referendum; intendiamoci, lo sapevano anche prima che i lavoratori potevano bocciare l’accordo, ma di solito in passato quando in Alfa, in Fiat, ecc, si erano verificati casi analoghi alla fine anche la Fiom aveva firmato, sull’onda delle pressioni politico sociali del Pci, della Cgil, del Pds, della chiesa, dei giornali, ecc ecc.

Qui la Fiom tiene, la bocciatura dell’accordo porta Fim e Uilm al ritiro della firma, ma anche all’apprendimento che è necessario rifiutare i referendum per attuare la strategia degli accordi separati.

A quest’esperienza si atterranno nelle vicende future, sia nazionali che aziendali.

La contrattazione in Zanussi è stata quindi riaperta, e su questa seconda fase della vicenda, come spesso accade, è calato un velo di silenzio.

Come finisce il contratto in Zanussi?
La direzione aziendale minaccia riduzioni di produzione e personale.
L’Elettrolux, multinazionale svedese proprietaria, ha stabilimenti in molti paesi e mette in discussione gli investimenti previsti in Italia ventilando la possibilità di concentrare la futura produzione in altre zone.
Alla fine il cambio ritmi tempi è introdotto e sono decise delle riduzioni di produzione e personale, concentrate in particolare in uno stabilimento (Rovigo, che infatti boccia nell’indifferenza assoluta anche il secondo accordo, che passa negli altri stabilimenti).
I lavoratori sono divisi stabilimento per stabilimento e la divisione funziona. La vicenda nazionale è probabilmente ricordata da tutti.

Oggi si può vedere quella esperienza come una prova generale della strategia degli accordi separati da parte del centrodestra.
A Milano si era in quel periodo definito il Patto, con le solite Cisl e Uil firmatarie, ma l’accordo aveva scarsi effetti materiali, e non a caso è stato firmato qualche tempo dopo anche dalla Cgil (con alcune modifiche): si misurava un consenso politico (quanto erano disponibili Cisl e Uil), non un effetto sulla classe.

Nel rinnovo si è voluti invece verificare la tenuta nella classe da parte di Cisl e Uil, che firmano un rinnovo al ribasso in una categoria in cui sono minoranza. In qualche modo si è segnato (allora e non oggi, cioè già due anni fa) l’impossibilità di rimettere in discussione i contratti dopo che questi sono stati firmati.

Se non si ha la forza di aprire scioperi prolungati (stile pensioni 1968, 48 ore), blocchi delle aziende più rilevanti sostenute da tutti i lavoratori con le casse (come in Germania), mobilitazioni della categoria che raccolgono un consenso generale (come nella recente vicenda del contratto scuola) o rivolte di piazza, lo scontro si perde nel nulla.
Questa esperienza avrebbe dovuto sollevare qualche interrogativo tattico su come condurre la lotta in queste settimane (in cui la situazione è identica se non peggiore), aprendo in questi due anni una riflessione e l’individuazione di strumenti di lotta precisi, in grado di rispondere velocemente alla strategia degli accordi separati.

In questi mesi si è infatti arrivati al rinnovo quadriennale del CCNL con una lunga preparazione delle forze e degli schieramenti, tutti affilavano le armi da quasi due anni (Federmeccanica, la Fiom, la Fim e la Uilm).
Ci si arriva però sotto il segno di due altre vicende contrattuali, una molto significativa sul piano materiale, una simbolica: Fiat ed Omnitel.

Lo scorso inverno non si è ragionato molto su cosa è successo in Fiat dalla parte della classe, tendendo a porre l’attenzione solo sulla crisi, la morte di Agnelli, la GM, la nuova direzione aziendale.
Sulle dinamiche di classe, anche a sinistra, ci si soffermati poco.
Quando è esplosa la crisi e l’azienda ha comunicato i licenziamenti, la risposta è stata molteplice e divisa, stabilimento per stabilimento.
Le casse di resistenza sono state diverse (tre conti correnti, Arese, Mirafiori, Termini Imerese), le manifestazioni ed i blocchi sono stati gestiti autonomamente da ogni territorio, i confronti e la contrattazione con l’azienda sono stati diversi.

Non si è costruito un coordinamento nazionale delle realtà in lotta, né una gestione nazionale della solidarietà e delle mobilitazioni.
Anzi, si sono evidenziati notevoli elementi di spaccatura, sino al caso limite di Melfi, che accetta gli straordinari mentre Termini Imerese chiude.
Solo la Fiom siciliana con i noglobal del sud hanno provato a costruire dei picchetti a Melfi per un paio di giorni, con i pulman che vanno su dalla Sicilia, con forti tensioni e spaccature tra lavoratori e sindacati. La rinuncia ed il ritorno in Sicilia è stato rapido.

Il risultato è la riapertura in stile siculo di Termini Imerese, la morte definitiva di Arese, le cassaintegrazioni di Mirafiori, il lancio di Pomigliano.

Gli accordi con cassaintegrazioni e mobilità sono firmati solo da Cisl e Uil, ma anche dalle Rsu di stabilimento. Una denuncia alla Pretura del lavoro della Fiom per l’applicazione in deroga alle normative senza il suo consenso (di un sindacato rappresentativo)vede una vittoria nel merito (c’è stata una deroga dalla normativa), ma una sconfitta sostanziale (ha firmato la Rsu che è la depositaria della contrattazione, mentre non lo sono le federazioni sindacali).

Significativo è il caso di Pomigliano, dove poche settimane fa sono state annunciate nuove consistenti assunzioni (promesse a tempo indeterminato)per gestire la produzione Alfa spostata dal nord (da altri lavoratori licenziati)e l’apertura della trattativa per portare il tmc2 (il nuovo e pesantissimo sistema dei tempi in vigore a Melfi e Pratola Serra, le fabbriche nel deserto operaio, in stralcio al CCNL, con 3 turni ed il lavoro notturno per tutti comprese le donne).
La Fiom di Napoli firma, quella nazionale disconosce: neanche la Fiom tiene più un punto di vista nazionale sulla Fiat.

(Tra parentesi, dalle parti nostre ed in altra categoria, è illuminante anche la vicenda tessile della Marzotto, dove viene chiuso un grosso stabilimento in provincia di Brescia nell’isolamento sindacale e politico di chi tenta una lotta in difesa della produzione, senza una solidarietà reale dei lavoratori del gruppo che si vedono avvantaggiati dalla concentrazione di attenzione sui loro stabilimenti in una fase in cui l’azienda taglia e trasferisce all’estero molte produzioni).

Qualche tempo fa Cgil Cisl Uil hanno sottoscritto il primo contratto nazionale Tlc (telecomunicazioni), un contratto attaccato da molti lavoratori in Telecom (unica grande azienda del settore, dove si realizza un fronte comune dei sindacati di base per la prima volta o quasi in una grande azienda)ma che alla fine è stato approvato (non ricordo se con referendum o consultazione assembleare, mi pare la seconda).

In OmnitelVodafone la direzione aziendale decide di conseguenza di aprire una trattativa per sganciarsi dal contratto metalmeccanici (eredità Olivetti) e passare nel nuovo comparto, con qualche ragione di logica (adesso sono un’azienda di telefoni) e di profitto (il contratto ovviamente fa più schifo).

Propone quindi di mantenere la parte salariale dei metalmeccanici per i vecchi, di usare i parametri Tlc (ovviamente inferiori)per i nuovi assunti, di usare per tutti la parte normativa delle Tlc (ferie, turni, preavvisi, ecc).

Fiom Fim Uilm per una volta unite non ci stanno, Vodafone però risponde duramente: comunica il passaggio di contratto ai lavoratori, impedisce ai sindacalisti metalmeccanici l’entrata in azienda (riconoscendo solo l’Slc e gli altri sindacati del settore Tlc)e tiene la posizione.
Gli scioperi sono in corso, ma al momento non si vede grande possibilità di modificare la situazione.
Anche senza le spaccature sindacali, la lotta può fallire i suoi obiettivi materiali.

Il rinnovo del CCNL arriva quindi nella situazione generale che sapete: durante la contrattazione gli scioperi sono impediti da una moratoria accettata dalla Fiom anni fa, ed è dura ribaltare un contratto quando questo è vigente.
Nel contempo D’amato (presidente Confindustria) fa notare una cosa giusta: in due anni sono stati firmati 56 contratti nazionali.
Solo in uno (indovinate quale)la Cgil non ha firmato. Solo in uno.
Tessili, chimici, scuola, ecc ecc.: nessuno allarga i principi Fiom dei referendum vincolanti e della rottura politica dei parametri del 23 luglio a partire dalla loro corretta applicazione sindacale (recupero quota produttività e non solo inflazione).

Le casse di resistenza appaiono una parola d’ordine ma non una pratica di lotta (con scioperi prolungati di settore o azienda, sostenuti da insieme categoria e lavoratori); gli scioperi generali rimangono sospesi nel vuoto, come nella battaglia sull’art 18 per la Cgil (di allargare lo sciopero ad altre categorie in solidarietà neanche se ne parla).

Non si riesce a cogliere una strategia, dei percorsi di lotta, degli obiettivi di medio periodo.
Sottolineo questi elementi non per mettere sotto processo un gruppo dirigente, ma per cogliere i limiti ed i problemi di un cambiamento di rotta in Fiom che non né lineare, né semplice, né sufficiente.

I risultati si vedono anche nelle Rsu.
In questi giorni sono stati propagandati i risultati di queste settimane in Fiat come una buona vittoria della Fiom (primo sindacato, ecc ecc).
E’ bene guardarli questi risultati, Cassino, Mirafiori, Fiat Avio e Iveco.
Tralasciando le particolarità dei vari stabilimenti, il dato è abbastanza omogeneo.

CASSINO: Fiom 965 voti, Fim 1296, Uil 1228; fismic 584;Sincobas 473, Ugl 228. Non ritrovo articolo con risultati precedenti, ma se non ricordo male (scusate eventuali errori)si segna un significativo avanzamento Fim e Uilm a spese del fismic, la Fiom mi pare stabile, in calo il Sincobas.

MIRAFIORI-RIVALTA: Fiom 3095 (31, 1, più 1, 1%), Fim 2519 (25.3, più 4.4%), Uilm 1646 (16.6, meno 2.1%), fismic 1821 (18.4, meno 2.1%), Ugl 546 (5.5, più 0.8%), Cobas 305 (3, meno 2%).

FIAT AVIO: Fiom 35.8 (meno 6.3%), Aassoquadri 23%(prima volta); Fim 13.2 %(meno 10.5%), Uilm 8.5%(meno 2.3%), Fismic 18 19%(meno 3.9);

IVECO: Fiom 29.7%(più 2%);Fim 17.1%(meno 2.7%), Uilm 21.3%(meno 1.8%), Fismic 28.7% (più 3.4%).

La Fiom avanza poco o è stabile, con un arretramento maggiore del Cobas (anche lui, ovviamente, contrario all’accordo).
Cisl Uilm e Fismic avanzano or uno or l’altro, spesso a spese di uno dei tre.
A Mirafiori, stabilimento più importante per storia e numero (14 mila), la Fim fa un balzo e si avvicina sensibilmente alla Fiom, con un quasi dimezzamento del cobas.

Certo, stiamo parlando della Fiat e dintorni, dove la sindacalizzazione non è mai stata alta e la presenza Fiom poco significativa nei momenti di bassa.
E stiamo parlando mentre la crisi in corso e la lotta fra stabilimenti aperti.
Ma anche per questo segna l’orizzonte e la fase.
Riprendono le lotte, ma l’alta marea è ancora lunga.

Post Scriptum

In questo quadro, tutte le aspettative relative al CCNL dei delegati e dei lavoratori erano rivolte al comitato centrale del 26 maggio, i cui esiti sono carichi di spunti di riflessione.

Niente scioperi nazionali di categoria, a dimostrazione della coscienza della debolezza ed inadeguatezza di questa forma di lotta in questa fase;né “iniziative centralizzate ”(come inevitabilmente sarebbe uno sciopero ad oltranza innescato in una massa di realtà produttive sufficiente a premere su federmeccanica per la riapertura del contratto;iniziative in assenza delle quali il richiamo alle casse di resistenza rischia di restare carente di significato).

Al di là del pacchetto di iniziative per dare visibilità alla vertenza rinviato alla decisione della direzione nazionale di inizio giugno, la strategia di definire una sintesi della piattaforma nazionale da articolare sul territorio, fabbrica per fabbrica con accordi di secondo livello, se da un lato postula il riconoscimento della necessità di ricostruire il potere contrattuale dei lavoratori attraverso la lotta e la partecipazione, dall’altro rischia di non riuscire a contrastare la logica di contrattazione aziendale che è sottesa all’attacco al CCNL e che ha caratterizzato le strategie padronali dei tempi recenti.

Questo in particolare se dovesse mancare la capacità o la volontà o di raccordare su vari piani (locale, aziendale, e nazionale) le lotte condotte sul territorio; ferma restando inoltre l’effettiva capacità di sostenere e condurre a termine queste lotte.

E per quanto riguarda la volontà, o le volontà, della FIOM, il comitato centrale del 26 ha segnato un passaggio che evidenzia alcune linee di frammentazione interna.

La proposta di Rinaldini (e Sabattini) di un congresso straordinario da tenere in autunno trova una labile giustificazione nella necessità di “accompagnare le lotte ”ed ha colto di sorpresa la platea del comitato centrale, suscitando reazioni negative che hanno consentito una saldatura tra destra e sinistra (da Nencini a Cremaschi)tale da convincere il segretario a recedere dalla proposta, retrocedendo sul terreno della “consultazione capillare degli iscritti ”.

La lettura che emerge dalla sinistra FIOM è quella di una manovra per fare da sponda a Lavoro e Libertà, in un quadro di difficoltà crescenti di questa ipotesi politica (il ritrarsi di Cofferati, la convergenza maggioranza DSRifondazione);la stessa lettura o forse più semplicemente il fatto che, di fronte alla prospettiva di una fase di lotta di lungo periodo, un congresso in autunno si tradurrebbe in un rafforzamento dell’attuale gruppo dirigente, può aver mosso la destra interna, che rappresenta nella propria ostilità anche i malumori contro le posizioni assunte dalla FIOM di altri ampi settori della CGIL.

Le conclusioni della direzione del 3 giugno non sembrano aggiungere al quadro complessivo sconvolgenti novità: cinque punti che sintetizzano la piattaforma nazionale per vincolare le piattaforme di secondo livello (conferma della parte normativa del contratto precedente, rifiuto della legge 30, limitazione temporale per i contratti a termine, mantenimento delle norme sull'orario settimanale, per il salario è sparito il recupero della produttività mentre rimane l’inflazione prevedibile), con il richiamo alla necessità del voto dei lavoratori.

Altre sedici ore di scioperi articolati ed una giornata di mobilitazione (il 12, in cui presentare alle imprese le lettere di diffida dall’applicazione del contratto sottoscritto da Fim e Uilm), fino al prossimo comitato centrale a fine giugno.

Si conferma l’impressione di una lotta di lungo periodo ma che difficilmente riuscirà a riaprire la vertenza sul piano nazionale: possibile che alla fine l’orizzonte della battaglia contrattuale dei metalmeccanici sia quello, come ha detto recentemente ad un dibattito un dirigente nazionale Fiom, di “contribuire a ricostituire un quadro politico favorevole”?

I.C.

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