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Non è più il tempo di rimuovere i problemi sui risultati elettorali

(3 Aprile 2010)

risultati elettorali

La Rete dei Comunisti nei mesi scorsi ha scelto di aprire un confronto con la sinistra di classe ed anche di interloquire con la nascente Federazione della Sinistra sulla base del peso obiettivo che potrebbe avere la fine di una esperienza storica come quella dei comunisti e della sinistra nel nostro paese. In questo senso ci siamo mossi a partire dal 2008 ed abbiamo promosso iniziative in cui non ci siamo limitati a fare ragionamenti politici ma anche a fare proposte concrete di lavoro e rapporto.

Non crediamo che rispetto al 2008 la fase sia cambiata e le recenti elezioni regionali mantengono tutta intera ed anzi rafforzano l’ipoteca sulla possibilità che la sinistra alternativa nel nostro paese possa continuare a sopravvivere. Pertanto pensiamo che ora sia ancora più necessario confrontarci francamente, in quanto ciò che sta accadendo non riguarda solo i soggetti elettorali ma i comunisti, la sinistra, il movimento di classe ed i settori popolari nel loro insieme.

In questo confronto “a caldo” segnaliamo il fatto che mentre non riusciamo a trovare ancora sui siti dei partiti della Federazione una presa di posizione ufficiale, (evidentemente in attesa di un inevitabile dibattito interno), assai più rapidamente il compagno Claudio Grassi e la sua componente nel PRC hanno legittimamente preso posizione sui risultati elettorali ma con una sottolineatura eccessiva e strumentale su “l’errore” di aver presentato la Federazione della Sinistra in modo indipendente dal centrosinistra sulla base dei risultati in Campania e in Lombardia.

Poiché l’indipendenza dal PD – anche in termini di alleanze elettorali - è uno dei punti che abbiamo ritenuto e riteniamo dirimenti sulle nostre prospettive collettive, ci permettiamo di avanzare la nostra valutazione, anche perché questa fretta liquidatoria è sintomatica di un approccio che ha ormai alle spalle più di una verifica. Il ragionamento che viene avanzato è numerico, basato sulle percentuali elettorali e sul consigliere ottenuto o meno, ma soprattutto cerca di tirare una sintesi valida sul terreno nazionale quando i risultati regionali in realtà rivelano situazioni diversissime tra loro. Inoltre – e non è certo un dettaglio - si tralascia un particolare rilevante: viene infatti messa a confronto e sullo stesso piano una scelta politica fatta dalla Federazione, cioè quella di partecipare in tutte le regioni alle alleanze con il PD, ad una “non scelta” e cioè il fatto che in alcune regioni il PD ha messo letteralmente alla porta l’alleanza con la Federazione della Sinistra costringendola all’ultimo minuto a correre da sola.

Bisognerebbe, infatti, ricordare che la presenza indipendente è stata prodotta dal rifiuto di allearsi da parte del centrosinistra con la Federazione, la quale non ha potuto fare altro che prenderne atto. Risulta evidente il peccato di omissione che si compie quando si liquidano quelle situazioni senza rilevare che una campagna elettorale determinata dal rifiuto degli altri e con poco tempo a disposizione non poteva che avere difficoltà molto più serie di quelle fatta concorrendo nelle garantite regioni rosse, assieme al PD.

Situazione solo apparentemente diversa in Campania dove la possibilità di presentare una lista alternativa è evaporata sotto il ricatto del PD su un personaggio come De Luca (che infatti ha perso clamorosamente). D’altra parte se in Campania il risultato pratico non c’è stato, bisognerebbe chiedersi se il medesimo non risultato ottenuto in Puglia non sia – per certi aspetti - più grave. Infatti laddove la sfida è stata tutta politica con Vendola, in conseguenza della scissione del partito, e pur essendo all’interno dell’alleanza di centro sinistra in coerenza con la scelta nazionale, il risultato non c’è stato comunque. Dei due qual è il risultato politicamente più pesante?

Allo stesso tempo varrebbe la pena anche di approfondire la vicenda delle Marche che ha avuto un esito significativamente diverso e sul quale riflettere. Noi valutiamo che laddove si esprime una identità chiara della sinistra in modo indipendente (non c’è forse anche questa necessità di chiarezza dietro i voti che i settori popolari danno alla destra?) il risultato può essere positivo ma soprattutto può indicare uno spazio e una identità politica della sinistra oggi completamente evaporati (esattamente il contrario di quanto realizzano invece con successo la Lega e la destra).

Sui risultati in generale la valutazione non può che essere di preoccupazione sulle prospettive di tenuta - a meno che non si speri sui miracoli ai quali secondo alcune ricerche credono il 55% degli italiani. Se si prende in considerazione che adesso ci saranno tre anni “liberi” dalle tagliole elettorali, ma dentro una crisi economica che certo non retrocede, si può pensare ad una ripresa sulla base della chiarezza e della coerenza. Si ripresentano in questa scansione temporale quei nodi di fondo che non sono più rinviabili e che possono essere la base unitaria su cui ridefinire e recuperare identità ed indipendenza per la sinistra anticapitalista nel nostro paese.

La prima è la questione sindacale. Il Nord è la zona dove ancora oggi è più forte la sindacalizzazione tra i lavoratori eppure nel Nord si è avuta l’affermazione del centro destra e della Lega. Possono essere ancora nascosti gli effetti politici della politica di concertazione propugnata tutt’ora dalla CGIL? L’arrancare di questo sindacato dietro l’iniziativa a tutto campo del governo e di CISL e UIL non ha nulla a che fare con i risultati elettorali? L’esito del congresso di Maggio che vedrà un ridimensionamento delle componenti di sinistra rafforzerà il movimento dei lavoratori oppure produrrà nuove delusioni ed arretramenti? Infine, visto che va di moda essere molto pragmatici, è ora di cominciare a chiedersi quanti voti porta effettivamente questo sindacato alla sinistra radicale? Probabilmente è arrivato il momento di farci una serie di domande per capire se si può continuare ad appiattirsi su un sindacato che contribuisce a produrre questi effetti proprio laddove i lavoratori sono sindacalmente più organizzati.

Un altro punto strategico è quello del conflitto sociale. Un conflitto sociale reale e non quello della sua rappresentazione che si fa saltando da un referendum ad un altro - per quanto questi possano essere giusti e da condividere - o con le iniziative generali. Conflitto sociale inteso come presenza, vicinanza, organizzazione sistematica dei settori sociali penalizzati nell’affrontare i loro problemi quotidiani e le loro aspettative sul futuro.
Un conflitto sociale che, viste le caratteristiche della crisi, va organizzato città per città per dimostrare che esistono forze che sono in grado di dare risposte concrete alle domande e ai bisogni sociali: dalla questione dell’abitare a quella del lavoro, dal reddito alla tariffazione sociale solo per fare alcuni esempi. In questo dobbiamo ammettere che non è vero che la Lega ha un modo nuovo di affrontare i problemi sociali, è vero invece che è stata la sinistra a non fare più quelle cose che quando sono state praticate l’hanno resa una forza reale e dinamica.

Infine ma non per importanza ci sono le battaglie politiche, culturali, etiche che non possono essere lasciate ad esclusivo appannaggio dei settori giustizialisti. Quanto possiamo ancora permettere che la questione sociale venga ancora rimossa dalla mobilitazione sull’emergenza democratica? Quanto pesa ancora la posizione assunta sulla guerra in Afghanistan durante il governo Prodi nella credibilità dei partiti di sinistra e comunisti? È ancora possibile lasciare il Vaticano indisturbato condizionare le scadenze elettorali sull’aborto quando è ormai pubblicamente macchiato da connivenze immorali? Si può difendere la Costituzione non dicendo chiaramente al Presidente della Repubblica che sbaglia quando sbaglia? Questi ed altri ancora sono i terreni su cui riprendere battaglie generali rese possibili da un vuoto politico che non si era mai visto prima nella nostra repubblica.

Tre anni di tempo, non sono molti ma non sono nemmeno pochi in una situazione dove i fattori di instabilità si accentuano e dove i cambiamenti sono assai più repentini dei riti post-elettorali (qualcuno ricorda che solo quattro mesi dopo la vittoria di Berlusconi nel 2001 l’agenda politica italiana fu “inaspettatamente” travolta dai fatti e dal movimento di Genova?).
Il presupposto per i ragionamenti sulle prospettive – a nostro avviso - rimane sempre quello dell’organizzazione, dell’insediamento sociale e dell’indipendenza politica, unici presupposti realistici per non ripetere i passaggi che il compagno Grassi invita a ripercorrere come se nulla fosse accaduto in questi anni e che hanno portato alla crisi e al logoramento della sinistra e dei partiti comunisti. Questa rottura politica e culturale è uno dei presupposti per una effettiva rottura della gabbia bipolarista ed anche per una ripresa di tipo elettorale della sinistra anticapitalista tra tre anni.

Mauro Casadio e Sergio Cararo
(Rete dei Comunisti)

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