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La destrutturazione del lavoro e dei diritti

La legge delega sul mercato del lavoro

(1 Marzo 2003)

“Non esagero se dico che si tratta della riforma più importante degli ultimi trent’anni nel campo del mercato del lavoro. Diventerà più flessibile, più dinamico, assicurerà una crescita occupazionale. Si va incontro ai problemi dei giovani disoccupati”…
D’Amato, presidente Confindustria

Le legge delega sul mercato del lavoro

I 10 articoli di cui è composta questa legge si riferiscono a blocchi di tematiche :

a) collocamento, somministrazione di personale e manodopera, intermediazione illecita, trasferimento di azienda e di ramo d’azienda ( nell’art. 1). In questo blocco tematico si evidenzia che:

- alla concezione precedente secondo cui il collocamento era stato concepito come pubblica funzione (sebbene del tutto caratterizzata da inefficienze non più sostenibili) giacché si riteneva eticamente riprovevole che potesse essere oggetto di attività lucrativa di impresa la somministrazione di manodopera e di personale (cioè il commercio del fattore lavoro), la nuova legge sostituisce una impostazione legittimante la “somministrazione” di personale quale attività d’impresa, conferendola pacificamente alle private agenzie di lavoro (già interinale), agli enti bilaterali (costituiti da associazioni datoriali e sindacali), ai consulenti del lavoro, alle università e agli istituti di istruzione secondaria di secondo grado.
Tale fornitura o somministrazione di personale da parte delle agenzie interinali può essere, per effetto della nuova legge, non solo a tempo determinato (come in precedenza) ma anche a tempo indeterminato.
In tal modo si accoglie nell’ordinamento italiano il c.d. “staff leasing”, istituto con il quale si prevede che un’azienda si costituisca per la somministrazione ad altre di personale che resta stabilmente ed a tempo indefinito in organico alla azienda fornitrice, con conseguente insussistenza di alcuna violazione della legge n. 1369/1960 in tema di interposizione per la somministrazione di personale, legge che viene esplicitamente abrogata.
I lavoratori ed i sindacati dovranno non più rivolgersi all’azienda committente - per tutte le questioni negoziali attinenti al rapporto di lavoro - ma all’azienda cui sono in organico e che svolge funzione di somministrazione di personale;

- si prefigura la ridisciplina dei casi di interposizione illecita (individuando la fattispecie vietata sulla base del criterio della mancanza di una ragione tecnica, organizzativa o produttiva o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di ccnl applicato al prestatore di lavoro) nonché della nozione di distacco e comando; si attribuisce all’azienda Capogruppo di imprese la facoltà di svolgere, per delega delle consociate e controllate, tutti gli adempimenti di cui all’art. 1 d. lgs. n. 12/’79;

- ai fini poi di precludere o rendere difficoltoso il contenzioso da parte dei lavoratori rivendicanti la dipendenza diretta dalla reale utilizzatrice delle prestazioni per presunta interposizione illecita, si prevede che la genuinità dell’appalto derivi da una certificazione (da parte di enti bilaterali intersindacali o di strutture pubbliche o università) attestanti nell’appaltatore o somministratore di personale requisiti di organizzazione di mezzi e di assunzione di rischio di impresa;

- si prevede la revisione del d. lgs. n. 18/2001 in tema di trasferimento d’azienda, adeguandolo alla normativa comunitaria e prevedendo che il requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda (per effetto del Patto per l’Italia del luglio 2002) sia riscontrato all’atto del trasferimento invece di essere (come fino adesso) preesistente ad esso: questa innovazione è di estrema pericolosità giacché può legittimare fraudolenti e studiati accorpamenti di personale all’ultimo momento in una determinata unità produttiva in vista della loro espulsione dall’azienda originaria (ed inserimento in azienda ove si applicano contratti collettivi nazionali o aziendali deteriori e talora non ricorre la stabilità reale ex art. 18 per essere al di sotto dei 16 dipendenti).
L’intento legislativo - come è stato acutamente notato - si rinviene nella volontà di “garantire e non ostacolare le frodi” .
Che poi il timore che la soluzione escogitata e parzialmente ridimensionata nella sua rischiosità per i prestatori di lavoro (nel libro bianco era addirittura prevista l’eliminazione del requisito dell’autonomia funzionale, ipotizzandosi la cessione di meri uffici o reparti non funzionalmente autonomi !) venga utilizzata nel senso di dar luogo al diffuso fenomeno delle cd. esternalizzazioni (o outsourcing) di comodo, non è una ipotesi di scuola ma una realtà attualissima e concreta.
Tant’è che la Cassazione nelle recentissime sentenze nn. 14691, 15105 e 17207 del 2002 ha bloccato - dichiarandolo nullo per carente consenso alla cessione a terzi del contratto individuale - l’affidamento in outsorcing da parte della Soc. Ansaldo Energia al Consorzio Manital di una serie di cessioni di “centri di costo” raggruppanti personale eterogeneo unificato nell’unità produttiva “servizi generali” (dichiaratamente considerata estranea al cd. core business dell’azienda), sulla base dell’inesistente riscontro nella unità ceduta (e confezionata ad hoc all’atto dell’esternalizzazione) di una preesistente autonomia funzionale nell’azienda cedente.
C’è ora il rischio che tali cessioni possano avere ampio e libero corso.

b) riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale (con delega al governo da parte dell’art. 3):

- il rapporto di lavoro a tempo parziale - che è stato recentemente ridisciplinato dal d. lgs. n. 61/2000, tramite cui si sono introdotte cautele in ordine al ricorso al lavoro supplementare ed alle “clausole di elasticità”, al fine di evitare che si trasformasse in una sorta di lavoro “a chiamata” a discrezione datoriale, sottratto a distribuzione preconcordata - viene liberalizzato dalle limitazioni attuali.
Nel senso che - nell’ottica di una “invasività nel tempo di vita del lavoratore” e di una sostanziale indifferenza alle esigenze connaturali alla tipologia contrattuale implicante il necessario tempo libero per il prestatore al fine di eventualmente instaurare un altro rapporto onde raggiungere un livello economico di autosufficienza reddituale - le aziende potranno richiedere sia lavoro supplementare senza consenso e senza limiti (se non quelli pattuendi a livello di ccnl, superabili in carenza dal consenso individuale di un lavoratore in condizioni di estrema ricattabilità) sia introdurre elasticità nella gestione e distribuzione temporale del part-time, esteso anche ai rapporti di lavoro a tempo determinato.
Diviene regola quella secondo cui ai fini di tutti gli istituti legali e contrattuali (facenti rinvio ai requisiti dimensionali desumibili dal numero dei dipendenti) il lavoratore a tempo parziale viene computato pro rata temporis, in relazione proporzionale alla durata della prestazione resa.

c) implementazione delle tipologie di lavoro (con delega al governo ex art. 4 ):

- la fantasia controriformista finalizzata all’infoltimento delle tipologie di lavoro precario ha modo, in questa sede, di fare sfoggio di se.
Vengono addizionate - non paghi del fatto che il d.lgs. n. 368/2001 abbia liberalizzato dai vincoli il rapporto a tempo determinato inserendolo tra le tipologie ordinarie e non sussidiarie di lavoro - alle preesistenti tipologie elastiche risalenti al cd. “pacchetto Treu” (codificato nella citata legge n. 196/’97), una serie di nuovi contratti: atipici: il “lavoro a chiamata” (job on call), il “lavoro a prestazioni ripartite” (job sharing, o divisione di un'unica occupazione e di un unico stipendio tra due o più lavoratori), il lavoro a progetto, il lavoro occasionale, il lavoro occasionale e accessorio.
Infine vengono ridisciplinate le prestazioni da collaborazione coordinata e continuativa (in un’ottica di delimitazione, riservandole a progetti a tempo determinato, degli eccessi e degli abusi mascheranti vere e proprie forme di lavoro subordinato a tempo indeterminato).

Il job on call è il contratto di chiamata o di lavoro intermittente: il lavoratore fornisce la sua disponibilità di lavoro in un arco di tempo predefinito, ma viene chiamato a lavorare solo per pochi giorni e con un breve preavviso (ne tentò per prima l’introduzione la Zanussi, ma l’ipotesi d’accordo per la tipologia del cd. ”operaio squillo” venne sonoramente bocciata dai lavoratori con referendum: ora il direttore risorse umane se ne ripropone la praticabilità).
La tipologia contrattuale del lavoro intermittente prevede la saltuarietà della prestazione, compensandone lo stato di disponibilità alle chiamate aziendali con una specifica indennità di disponibilità: non si tiene tuttavia in alcun conto che il lavoro nel nostro ordinamento (ex artt. 2, 3 e 4 Cost.) deve essere non solo virtuale ma effettivo in quanto mezzo di autorealizzazione individuale e sociale..

Il job sharing è un contratto a risultato tramite cui due (o più) lavoratori (per un solo stipendio) si obbligano in solido a fornire una prestazione, ripartendosene tra di loro i tempi e le modalità attuative, nell’indifferenza del datore di lavoro cui preme soltanto che la prestazione sia resa e che l’arco temporale sia coperto da presenza.
I lavoratori concorderanno tra loro le modalità esecutive, ivi incluso l’obbligo del subentro di uno all’altro in caso di malattia o infortunio o altre sopravvenute impossibilità di resa della prestazione (anche se tali aspetti saranno da definire per via contrattuale).

- Si prevede poi nella nuova legge che le quote obbligatorie di assunzione dei disabili previste dalla legge n. 68/89 siano soddisfatte anche tramite assunzioni a tempo determinato, così esponendo questi lavoratori (già solo tollerati dalle aziende) ad un futuro di instabilità e di ghettizzazione, giacchè non è lontano dal vero immaginare che questi portatori di handicap saranno utilizzati secondo lo schema più precario del tempo determinato, in luogo dell’onerosità del contratto a tempo indeterminato.

- La nuova tipologia delle prestazioni di lavoro occasionale e accessorio regolarizzabile e remunerabile con rilascio di coupons o tickets (non si conosce ancora l’identità dei fornitori e le modalità di acquisto), se va considerata piuttosto bizzarra e singolare in linea astratta e qualora ipotizzata con intenti di generalizzazione, può invece risultare utile per le ipotesi di lavoro occasionale reso con finalità di assistenza e cura domiciliare (o presso enti senza fini di lucro) a persone malate o debilitate, le cui esigenze non potrebbero altrimenti (e molto onerosamente) essere sostenute da essi e dai loro familiari che con un contratto di collaborazione domestica, riservabile invece per l’ipotesi più drammatica del colpito in maniera invalidante, necessitante assistenza continuativa del c.d. “badante”.

- Venendo alla riforma delle cd. co.co.co (collaborazioni coordinate e continuative), si prevede che esse non possano essere più attivate per prestazioni a tempo indeterminato ma solo per prestazioni a tempo determinato, la cui durata scaturisce dal “progetto” per il quale si impegnano le proprie energie lavorative.
Questa soluzione è stata correttamente giudicata un’operazione di igiene e di freno all’utilizzo abusivo che sinora si è fatto di tale tipologia di lavoro, mascherante una vera e propria prestazione di lavoro subordinato, ed in questo senso gli va riconosciuta una valenza positiva.
Accanto ad essa si pone la “collaborazione occasionale”, individuata dai parametri della durata del progetto presso lo stesso committente inferiore ai 30 giorni nell’anno solare e della esiguità del corrispettivo, non eccedente i 5000 Euro.

d) certificazione dei rapporti di lavoro e arbitrato (con delega al governo rinvenibile negli artt. 5 e 8):

La tematica è una di quelle che hanno dato luogo alle maggiori opposizioni da parte della minoranza parlamentare, dei giuslavoristi progressisti, del sindacato e della magistratura.
Viene affidato a enti bilaterali (intersindacali), a strutture pubbliche competenti ed anche a università, il compito - per dichiarati fini di prevenzione del contenzioso del lavoro - di certificare la tipologia e la genuinità dei rapporti di lavoro da porre in essere.
In maniera farisaica la legge dispone che la procedura di certificazione è “volontaria”, ma nei fatti nessun lavoratore verrà assunto se non si è sottoposto a tale procedura di “manleva” datoriale.
E si risolverà in una procedura tutt’altro che genuina e spontanea, giacché l’intrinseco ricatto costituito dall’offerta (o prospettiva) di un lavoro per un disoccupato lo porterà a dichiarare, sottoscrivere ed a dare atto anche di una realtà del tutto difforme da quella effettiva.
Invero la legge consente la possibilità di impugnativa giudiziale da parte del lavoratore, ma vi affianca l’obbligo che il tentativo obbligatorio di conciliazione si svolga innanzi alla Commissione certificatrice e che il magistrato investito dell’accertamento tenga conto anche delle dichiarazioni e del comportamento tenuto dalle parti in sede di commissione certificatrice.
Viene concludentemente, con tale configurazione e con tali accorgimenti, “blindato” o “scoraggiato” il diritto giudiziale di ricorso da parte del lavoratore e tentativamente “orientato” o “condizionato” il libero accertamento giudiziale.
Le commissioni di certificazione degli enti bilaterali avranno altresì il compito di attestare la definitività e genuinità delle rinunzie e transazioni (ai diritti nascenti dall’art. 2113 c.c.) ai fini di precluderne in maniera definitiva e tombale l’impugnativa.
Si prevede che, in caso di accertamento giudiziale di una erronea qualificazione del rapporto di lavoro, l’accertamento giudiziale non abbia effetti retroattivi ma solamente ex nunc, facendo salvi per il periodo antecedente al riscontro giudiziario gli effetti dell’accertamento svolto dalle autorità di certificazione.
Una forma di condono inaccettabile e tale da non stare giuridicamente in piedi.

- Infine dopo aver abbandonato alla Camera l’introduzione dell’arbitrato d’equità - sostitutivo dell’accesso alla giurisdizione ordinaria - la legge lo reintroduce quasi surrettiziamente all’art. 8 (nel contesto della ridisciplina delle funzioni ispettive di tipo amministrativo) con la formula contemplante la delega “per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza”.
La reintroduzione dell’arbitrato di equità richiama le critiche di chi ha giustamente - a suo tempo - osservato che una forma di giustizia alternativa a quella privata è finalizzata a risolversi in un pregiudizio per i diritti del lavoratore, rifluendo in una soluzione transattiva caratterizzata da uno “sconto” immanente a danno del prestatore (secondo la logica di un colpo al cerchio ed uno alla botte ovverosia dell’aliquid datum, aliquid retentum), per effetto del ricorso a criteri di equità (di tipo commerciale) e non di stretto diritto.

Infine conviene sottolineare come i contenuti delle deleghe siano configurati in chiave sottilmente “ricattatoria” per le OO.SS. investite di ruolo attuativo e concertativo, prospettando loro che, in assenza di pattuizioni negoziali nei contratti o accordi collettivi, la perseguibilità e realizzabilità degli obbiettivi e delle nuove tipologie di lavoro precario avverrà anche con il solo “consenso del lavoratore”, d’ora in poi sempre più solo e indifeso.

Concludendo, mentre si resta in attesa dei decreti attuativi, sostanzialmente realizzabili con la consultazione sindacale (la cui disponibilità pone alle OO.SS. non pochi problemi di essere fraintesa quale condivisione in linea di principio dell’intera infrastruttura), si può sin d’ora affermare che - salvo i pochissimi punti ove abbiamo espresso un nostro consenso condizionato - la legge testé approvata prospetta ai nostri giovani un futuro di incertezza, di intermittenza lavorativa, di assoluto precariato, coniugato ad un corrispondente futuro di carente autosufficienza (o di vera e propria invivibilità) per l’epoca della quiescenza.
Giacché con queste nuove tipologie di lavoro i versamenti contributivi faranno maturare in capo ai futuri pensionati una percentuale stimata nell’ordine del 30% del reddito percepito in costanza di attività lavorativa, per cui giustamente si è lanciato l’allarme (inascoltato) di costruire ed innescare, ora per allora, “una vera e propria bomba sociale” a scoppio tanto certo quanto ritardato (con una logica da “ápres moi le deluge”).

Mario Meucci

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