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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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E’ possibile avviare una controtendenza?

Il mancato voto alla sinistra, l’astensionismo, le aree metropolitane, il no dei territori. Apriamo il dibattito a sinistra, tra i comunisti, nei movimenti sociali

(18 Aprile 2010)

Le recenti elezioni regionali hanno sostanzialmente confermato la tendenza già delineatasi nel 2008 e che ha visto prevalere l’egemonia politica, sociale ed elettorale della destra nel nostro paese. Alternative a questo scenario non se ne intravedono. I partiti della sinistra, sia quando si alleano con il PD sia quando si presentano autonomamente, vedono accentuarsi il loro logoramento nel rapporto con i settori popolari ed anche la connessione sentimentale con il popolo della sinistra.

I settori popolari, i lavoratori e le nuove realtà sociali polarizzate e proletarizzate dalla crisi non delegano la rappresentanza dei loro interessi e delle loro aspettative sul futuro alle organizzazioni storiche della sinistra.

Cresce l’astensionismo e i dati assoluti ci dicono che non è la destra che vince aumentando i suoi consensi ma che è il centro-sinistra che perde diminuendo i suoi. L’unico dato in controtendenza è quello emerso nelle grandi aree metropolitane dove le forze del centro-sinistra vincono o perdono di meno rispetto alla destra che invece sembra dilagare nella provincia. E’ un dato che viene confermato anche da queste ultime elezioni regionali ed è un fattore che richiede di essere analizzato a fondo per verificare se può essere quello capace di avviare una controtendenza generale sul piano del conflitto sociale e dell’egemonia politico-culturale nel paese.

Risultati nella città capoluogo Risultati nell’intera regione
Centro-destra Centro-sinistra Centro-destra Centro-sinistra
Piemonte 39.5 55,3 47,3 46,9
Lombardia 49,0 41,2 56,1 33,3
Liguria 42,7 57,3 47,9 52,1
Veneto 45,1 45,5 60,2 29,1
Emilia-Romagna 31,8 54,6 36,7 52,1
Toscana 32,1 61,6 34,4 59,6
Umbria 38,4 56,1 37,7 57,2
Marche 34,2 57,3 39,7 53,2
Lazio 45,2 54,2 51,1 48,3
Puglia 36,4 54,9 42,3 48,7
Campania 49,3 46,5 54,3 43,0
Basilicata 24,8 53,2 27,9 60,8
Calabria 50,9 35,2 57,7 32,2

(elaborazione dati dell’Istituto Cattaneo di Bologna)

I dati indicano che nelle aree metropolitane e nelle città capoluogo (ad eccezione della Basilicata) gli andamenti elettorali sono stati in controtendenza rispetto a quelli delle province.

I dati generali ci confermano che la vittoria delle destre – e in particolare della Lega – sia in realtà più una percezione che un dato di fatto. Certo i dati e i meccanismi elettorali dichiarano che c’è stato chi ha vinto e chi ha perso, ma sulla base dei dati assoluti non è sbagliato affermare che la destra ha vinto solo perché – anche perdendo – ha perso meno voti del centro-sinistra. In questo risultato l’effetto dell’astensionismo ha avuto una sua rilevanza.

-La Lega – nelle tredici regioni in cui si è votato - ha perso 117mila voti rispetto al 2008 e 195mila voti rispetto al 2009. Il fatto che abbia aumentato la percentuale grazie all’astensionismo o che abbia aumentato i suoi voti nei nuovi “territori soggetti all’influenza padana” (Emilia, Toscana, Marche) mentre ne perdeva ad esempio in Lombardia, ha dato la percezione della vittoria della Lega, una percezione rafforzata dal fatto che adesso ha due governatori che prima non aveva.

-Il Popolo delle Libertà ha perso oltre 4milioni di voti rispetto al 2008 e oltre 2,4 milioni di voti rispetto al 2009.

-Il Partito Democratico ha perso quasi 4,5 milioni di voti rispetto al 2008 e oltre 1,1 milioni di voti rispetto al 2009.

-L’Italia dei Valori ha guadagnato 272mila voti rispetto al 2008 ma ha perso 474mila voti rispetto al 2009.

-Le forze della sinistra (FdS, SEL) hanno recuperato 138 mila voti rispetto al tonfo dell’Arcobaleno nel 2008 ma hanno perso 496mila voti rispetto alle europee del 2009.

Un accorgimento fondamentale che resta decisivo rispetto ad ogni valutazione e al dibattito politico, è che le elezioni regionali tengono conto di una forte specificità territoriale che non consente valutazioni omogenee valide sul piano nazionale. Semplificazioni in questo senso, come abbiamo visto emergere già solo a poche ore dai risultati, sono una ginnastica deleteria alla salute.

L’astensionismo è stato un altro fattore rilevante di questa tornata elettorale, non solo per il suo aumento quantitativo ma anche per alcune invasioni di campo sul piano politico.

In queste elezioni hanno votato 22,5 milioni di persone rispetto ai 40 milioni che ne avevano diritto nelle tredici regioni coinvolte. Nel 2008 (elezioni politiche) avevano votato 30,2 milioni di persone, nelle europee del 2009 avevano votato 26,1 milioni. Rispetto a dieci mesi fa altre 3,7 milioni di persone hanno deciso di non andare a votare.

Sono in molti che in questi anni hanno provato a disaggregare e interpretare l’astensionismo, il quale rimane però un “ircocervo politico” assai difficile da sintetizzare sul piano delle opzioni politiche.

I dati che possiamo rilevare sono però almeno due:

1. In questa occasione c’è stato un pezzo significativo dei poteri forti (Montezemolo, Confindustria) che avevano cavalcato l’opzione astensionista dandogli lo spessore di una opzione politica moderna (“E’ evidente che anche l’Italia sta importando dalle democrazie più avanzate l’uso consapevole del non voto…che rappresenta ormai uno degli strumenti di espressione democratica a disposizione della società civile” scriveva il quotidiano della Fiat, La Stampa all’indomani delle elezioni). Ma se Montezomolo e i poteri forti volevano indebolire attraverso l’astensionismo il blocco sociale di Berlusconi, questa indicazione sembra aver penalizzato molto di più il PD che la destra. E’ questa una ulteriore conferma che l’antiberlusconismo - del quale la sinistra è ancora entusiasta - non paga, neanche se riesce a trascinare con sè una parte dei poteri forti. La strada, dunque, non può che essere un’altra.

2. L’astensionismo è stato quindi lo strumento con cui una parte significativa del vecchio elettorato della sinistra ha mandato farsi benedire le opzioni messe in campo dal centro-sinistra ed anche dai partiti della sinistra, sia che fossero in coalizione che indipendenti dal PD. I dati della Val di Susa o del Lazio o della Campania dove sono in corso vertenze territoriali importanti, sono in questo senso una conferma. In Val di Susa o in Emilia Romagna questo divorzio tra popolo della sinistra e centro-sinistra è stato intercettato dai “Grillini” (e non, per esempio, dall’Italia dei Valori), nelle altre realtà si è invece manifestato con il non voto (nel Lazio più alto che nelle altre regioni). Partecipare alle coalizioni con il PD o essere stati costretti a presentarsi da soli lì dove il PD ha chiuso la porta alle alleanze, non è servito alla Federazione della Sinistra per recuperare consensi e connessione sentimentale con il suo popolo. Ci sono state certo alcune eccezioni come la Toscana e l’Umbria o, in modo diverso, le Marche, ma stiamo parlando comunque di risultati che vedono la Federazione della Sinistra perdere quasi altri 300.000 consensi rispetto a quelli ottenuti solo dieci mesi fa alle elezioni europee.

Che indicazioni si possono ricavare e quale discussione si deve aprire sulla base di questi dati abbastanza oggettivi?

In questi anni, ed anche in questi mesi, abbiamo ripetutamente sostenuto nel confronto che abbiamo tenuto aperto a sinistra, tra i comunisti e nei movimenti sociali che la struttura sociale del paese, il carattere arretrato delle sue classi dominanti, la ricomposizione di un blocco sociale antagonista definito nei suoi interessi e nella sua identità, l’inchiesta e l’intervento sulle aree metropolitane, fossero gli snodi decisivi a cui mettere mano rinunciando alla celebrazione dei riti del politicismo e del meno peggio.

Lo scenario politico e sociale che abbiamo di fronte non piace neanche a noi ma è la realtà con cui fare i conti. Da questo bisogna ripartire e ricostruire un progetto politico alternativo per le forze antagoniste e verificare concretamente – e per tempo – se e dove ci possono essere le condizioni per avviare una controtendenza.

Su questo intendiamo confrontarci nei prossimi giorni, in tutte le città dove ciò sarà possibile, con i compagni, gli attivisti, i resistenti consapevoli che il piccolo mondo antico in cui sono cresciuti non esiste più, ma che sono anche decisi a non rassegnarsi ad una visione congiunturale della realtà rimettendo mano a quel materialismo storico presente nella nostra cassetta degli attrezzi e che ha consentito ai comunisti e alla sinistra – anche nel passato – di affrontare scenari politici anche peggiori. I primi appuntamenti di confronto sono a Roma il 27 aprile e a Bologna il 30 aprile.

La Rete dei Comunisti

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