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Tornate nelle fogne!

Tornate nelle fogne!

(25 Aprile 2011) Enzo Apicella

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    Basta difendere la Costituzione?

    (25 Aprile 2010)

    Cari compagni,
    è sicuramente importante e lodevole l’impegno puntuale – ancora oggi – in difesa dei valori e dei contenuti della Costituzione.

    Ma credete che basti a fermare il disegno sciagurato che – seppure con differenze non sostanziali – i partiti presenti in parlamento si apprestano a realizzare?

    Questa riforma scopertamente antidemocratica dello Stato – resa necessaria dalle esigenze della mondializzazione capitalistica e in funzione preventiva-repressiva nei confronti delle masse destinate a pagarne il prezzo – non è di oggi: è iniziata quasi vent’anni fa e si è fatta più urgente e stringente a ragione della crisi strutturale del capitale.

    Già all’inizio – non avendo forse pienamente compreso i motivi di questo necessario adeguamento sovrastrutturale alla struttura economica mutata – i comunisti e la “sinistra” si attestarono su una posizione di semplice difesa della Costituzione. Lasciammo nelle mani dell’avversario e della sua demagogia populista la bandiera del “rinnovamento”, cucendoci da soli addosso il vestito della conservazione. Neppure ci venne in mente che la nostra Costituzione – la più avanzata dell’Occidente capitalistico e frutto dell’unico vero e grande “compromesso storico” tra comunisti e cattolici – era stata scientemente inattuata e che i valori in essa racchiusi (e solo in parte trasfusi nell’assetto istituzionale e sociale) aspettavano ancora d’essere realizzati. Facemmo della difesa della Costituzione una battaglia a sé, avulsa non soltanto dal contesto della mondializzazione, ma anche dalla dialettica politica quotidiana alle cui esigenze sacrificammo tutto.

    Il fatto era che, per come quei valori erano stati attuati – o sacralizzati e dimenticati –, la situazione non era effettivamente più sostenibile e le istituzioni – tutte – erano irrimediabilmente in crisi e assolutamente squalificate agli occhi delle masse verso cui aveva facile presa la demagogia delle “riforme”. Non cogliemmo che a questa esigenza oggettiva di rinnovamento si accompagnava un’ansia di partecipazione e di protagonismo maturata nei lunghi anni di lotte che avevano visto le masse operaie, giovanili e popolari in prima linea e che reclamavano – allora, ma ancora oggi – una “democrazia più avanzata” che, dopo mezzo secolo di sacrifici e di lotte, le ripagasse dando loro quei diritti – al lavoro, allo studio, alla salute, alla dignità – che la Costituzione aveva loro promesso e garantito, ma che la politica padronale aveva continuato a negare disattendendo e non attuando il dettato costituzionale.

    Schiacciati ormai in una concezione soltanto istituzionale della politica e in una dialettica circoscritta ai gruppi dirigenti dei partiti, abbiamo mancato – allora, ma ancora oggi – di propositività e siamo passati, quindi, da una sconfitta all’altra anche su questo terreno.

    Certo, le cause di questa deriva negativa sono molteplici, e, tuttavia, come comunisti non possiamo sfuggire alla responsabilità di proposte non più soltanto difensive, che, mentre rintuzzino gli scellerati disegni dell’avversario, intersechino il protagonismo di massa avviando – finalmente – il processo di realizzazione di quella “democrazia progressiva” che era stata nelle promesse dei comunisti e nelle speranze popolari suscitate dalla Resistenza e delineate dalla Costituzione
    Non attestiamoci, allora, compagni, ancora oggi semplicemente sulla trincea soltanto difensiva dell’esistente: cerchiamo di compiere uno sforzo, di esprimere noi proposte di rinnovamento dell’assetto istituzionale che, attuando finalmente la Costituzione e realizzandone – nel nostro tempo – valori e promesse, opponga al’involuzione autoritaria forme più ampie ed effettive di maggior democrazia e di partecipazione popolare.

    È necessario ed è possibile: non c’è da inventarsi niente, basta attingere allo straordinario bagaglio di esperienze della nostra storia e di elaborazioni della nostra teoria, avendo il buon senso l’intelligenza e la capacità di rapportarle alle odierne condizioni storiche.

    23 aprile 2010

    Sergio Manes

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