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Atene. Ordine pubblico

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(4 Maggio 2010) Enzo Apicella
Grecia. Il Fondo Monetario Internazionale si scontra con la resistenza popolare

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Crisi capitalista: non solo Unione Europea. Il rischio globale dei Paesi emergenti

La pioggia di investimenti nelle nuove economie globali rischia di fare scoppiare una seconda devastante bolla finanziaria. Le ingenti masse di capitali causerebbero una nuova, letale spirale inflazionistica. La classe operaia sia vigile e pronta

(29 Aprile 2010)

I mezzi di informazione italiani sono oltremodo concentrati nel raccontare la situazione economico-finanziaria estremamente precaria della Grecia, in particolare ora che l'effetto domino si sta materializzando in tutto e per tutto. Infatti gli altri tre Paesi già fortemente a rischio come l'Irlanda e l'intera penisola iberica (Spagna e Portogallo) stanno subendo ulteriori declassamenti nel settore creditizio da parte delle agenzie preposte al controllo del medesimo, come Standard & Poor's. Ad onor del vero, va sottolineato come fosse la stessa S&P a lodare le politiche adottate dall'istituto di credito Lehman Brothers minimizzando la caduta verticale (si può leggerne un esempio cliccando QUI, in un articolo battuto a luglio del 2008), che con il suo crollo ha dato il via allo scoppio della gigantesca bolla-balla dei soldi "virtuali" delle banche.

L'intera Unione Europea per prima è ampiamente e costantemente mobilitata per monitorare la situazione, in particolare quella greca; Francia e Germania, veri e propri motori economici continentali, insistono per aiutare il Paese ellenico, anche in considerazione dei forti investimenti in campo bellico da parte di Atene verso Parigi e Berlino (a seguire un post dedicato).

Ma, mentre i governi dei vari Paesi tentano di gettare acqua sul fuoco con grotteschi proclami e profetizzazioni circa una lenta ma costante ripresa, la situazione capitalista internazionale non farà altro che precipitare; basti, a titolo esemplificativo, chiedersi quanti mezzi informativi abbiano dato notizia dei 160 miliardi di euro letteralmente bruciati dalle borse europee nella sola giornata di martedì.

La filo-atlantica Gran Bretagna, estranea al capitolo "moneta unica europea", ha un quadro più oggettivo della situazione: è l'istituto di credito Standard Chartered di Londra a lanciare l'allarme circa una nuova ondata nera sul capitalismo globale. Il rapporto stilato da SC è stato ripreso l'altro ieri dal quotidiano inglese Guardian.
Il filo conduttore è molto semplice e sotto gli occhi di tutti: i grandi investitori di capitali hanno cominciato da tempo a portare le proprie risorse nei Paesi che rappresentano le nuove economie mondiali, come ad esempio la Cina o il Brasile e l'intero sudamerica; per quanto riguarda il padronato nostrano, basti pensare ai 26 miliardi di euro promessi dalla FIAT nella crescita internazionale del mercato per il quinquennio 2010-2014. Una così ingente massa di capitali porterebbe inevitabilmente a grosse ripercussioni sulle economie dei singoli stati: non si tratterebbe infatti di un'oggettiva crescita e sviluppo, ma viceversa verrebbe a crearsi una letale spirale inflazionistica che farebbe lievitare progressivamente i prezzi al consumo coinvolgendo le popolazioni autoctone come quelle straniere.

Gerard Lyons, economista della Standard Chartered, ha sottolineato come tali attività suicide siano già in atto per la maggior parte nel continente asiatico ed in fase di espansione in sudamerica, Est Europa e nell'intero continente africano. Per questo, stati più lungimiranti e previdenti come Cina e Singapore hanno già provveduto a tassare le speculazioni nel settore immobiliare, punta dell'iceberg e causa principale scatenante della crisi capitalista tra il 2007 ed il 2008. In buona sostanza, si razionalizza il flusso di capitali trattenendone una parte sul proprio territorio, dando così tra le altre cosa una maggiore stabilità dei conti. "Esattamente l'opposto di quanto sta facendo l'Occidente", ha ribadito criticamente Lyons.

Per il padronato globale, dunque, una nuova gatta da pelare ogni giorno che passa. Per la classe operaia, una prova sempre più lampante dell'esasperazione e del meccanismo di implosione del sistema capitalista. Un quadro chiato nella sua complessità che deve fornire argomentazioni convincenti per passare, da subito, dalla contestazione dello status quo all'organizzazione ordinata e classista per lo smantellamento dell'esistente. Oggi più che mai, ancora una volta dopo oltre mezzo secolo, si può oggettivamente fare.

Mattia Laconca

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