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(5 Agosto 2011) Enzo Apicella

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Il capitalismo non è l’economia dei consumi, ma dello spreco e del caos

(2 Maggio 2010)

Si suol dire che il capitalismo è l’economia dei consumi, ma è molto più sensato parlare di economia dello spreco. Basti considerare la compressione dei consumi di cui è vittima la maggior parte dell’umanità, non solo nei paesi in via di sviluppo, ma nelle crescenti sacche di povertà delle metropoli. Non parliamo di piccole rinunce, ma di fame e disperazione.

Un esempio è sotto gli occhi di tutti: l’economia di interi paesi è sconvolta dalla speculazione, crescono a dismisura i disoccupati, s’impongono misure draconiane con tagli di stipendi e di servizi sociali, per soddisfare gli appetiti di bande di finanzieri e di bucanieri di borsa. Agenzie come Standard & Poor's declassano, non solo la Grecia, ma anche Portogallo e Spagna: “Le prospettive sul rating spagnolo sono «negative», cioè non è escluso un ulteriore «downgrade». La decisione si basa sulle previsioni macroeconomiche nel medio e lungo termine. «Crediamo che la stagnazione in cui si trova l'economia spagnola - si legge nel documento pubblicato da Standard S Poor's - durerà più di quanto avevamo previsto in precedenza». (Il Sole-24 Ore on line -28 aprile 2010 on line). Gli antichi consultavano gli oracoli, la moderna superstizione si affida alle agenzie di rating, si attendono i loro responsi con la stessa credulità degli esaltati nell’antro della sibilla. Si tratta spesso di una sorta di aggiotaggio legalizzato. Pino Cabras scrive: “... con i meccanismi delle "profezie che si autoadempiono", da loro dominati attraverso spaventose entità criminali (le agenzie di rating), gli speculatori decidono i tempi e i modi dei crolli, su cui hanno scommesso montagne di soldi con la certezza – a breve – di vincere”. (Manifesto 29/4/2010).

Eppure tutti dovrebbero sapere che queste agenzie sono legate a Wall Street e alla City, quindi sono tutt’altro che imparziali. Perché non declassano Londra e Washington, indebitate fino al collo? Anzi, dopo gli incredibili scandali finanziari - si pensi alla Lehman, data per “sicura e affidabile” - queste stesse agenzie dovrebbero essere declassate.

Gli speculatori agiscono come gli animali da preda, che non attaccano il branco degli animali cacciati, ma singoli individui isolati e in difficoltà. Assalgono i paesi più deboli ed esposti. La sofferenza sociale nei paesi colpiti è immane, enorme è la distruzione di ricchezza reale, ma ciò non turba i capitalisti della finanza, la peggior razza di cannibali mai apparsa sulla scena mondiale.

Ma abbiamo i paesi “salvatori”! Parigi e Berlino salveranno Atene, ma intanto fanno pressione perché acquisti aerei e sottomarini da Francia e Germania: “«Certo nessuno ha detto a Papandreou che deve comprare sottomarini o aerei dalla Germania o dalla Francia, ma è chiaro che il sostegno da parte di Berlino e Parigi nell'Ue sarà maggiore se sarà seguito da un nuovo ordine per armamenti» dice un ex alto ufficiale della marina greca”. (Manifesto, 28/4/2010) E se ne venderanno anche alla Turchia. I governi agiscono come commessi viaggiatori dei mercanti d’armi che rinfocolano l’ostilità tra greci e turchi. Questa è la solidarietà europea! I sacrifici imposti ai lavoratori serviranno ad acquistare ordigni di morte.

Lo spreco non è causato solo dalla finanza, ma permea ogni aspetto dell’economia capitalistica.

Crescono i consumi dei prodotti industriali, i cui prezzi diminuiscono in settori a forte espansione, come l’informatica, mentre sono soggetti a pratiche monopolistiche settori più vecchi, come l’automobile. Pesanti rincari si hanno nel settore alimentare, e qui si fa sentire il peso della rendita terriera, la palla al piede dell’agricoltura capitalistica, e della distribuzione, in cui i grossisti fanno la parte del leone. Il capitale concede il superfluo, ma spesso toglie l’essenziale, il cibo, il riscaldamento, la casa. Solo il “consumatore solvibile” interessa il capitalista. Le metropoli si riempiono di palazzi, abusivi o no, cresce la cementificazione selvaggia, e non si esita a provocare incendi boschivi pur di costruire, nonostante le leggi che lo vietano. Immense baraccopoli crescono, invece, in Asia, Africa, America latina, e anche nei paesi più avanzati milioni di disoccupati, salariati, o comunque famiglie a basso reddito, devono vivere in case fatiscenti. Per altri la casa non serve da abitazione, ma da bene rifugio, quando non è oggetto di una speculazione ben più vasta. La disuguaglianza e la discriminazione, la distruzione di beni (e di persone) non sono episodi imprevisti e superabili nella società del capitale, fanno parte integrante della sua natura, e si accrescono sempre più.

La parte dell’umanità, tagliata fuori dal mercato o marginale, per il capitale è superflua, e può essere lasciata morire di fame, sterminata dall’AIDS, quando non direttamente distrutta con mezzi militari. Al capitale interessa solo accumulare plusvalore ( profitti, interessi, rendite) e lo sviluppo della civiltà e il benessere della popolazione, nei periodi di boom, sono solo effetti collaterali. Se un miglioramento delle condizioni di vita è funzionale alle esigenze del capitale, bene, se no ogni peggioramento è permesso.

Sono, perciò, particolarmente ingannevoli le proposte di soluzioni dei problemi sociali, ambientali, climatici, che immaginano uno sviluppo equilibrato e compatibile, lasciando intatto il capitalismo. Decrescita felice, sviluppo compatibile... Il capitalismo è socialmente, umanamente, ecologicamente incompatibile. Se un piccolo comune, come Varese Ligure, riceve elogi internazionali per aver adottato energie rinnovabili, questo non compensa le enormi distruzioni di specie vegetali e animali che si compiono in Amazzonia o nel Borneo, i danni irreparabili causati dalle petroliere o dalle piattaforme petrolifere oceaniche, gli stermini di uomini e i disastri ambientali che la civiltà occidentale ha compiuto in Afghanistan e Iraq, o nella ex Jugoslavia. Il capitalismo è guerra, commerciale, politica o militare. Non è compatibile con la pace, col progresso e con le favole che migliaia di pifferai magici ci raccontano ogni giorno. Tra i più sfrontati imbonitori troviamo Al Gore, premio Nobel per la pace, campione dell’ecologismo. Si dimentica che è stato uno dei massimi responsabili dei bombardamenti sulla Jugoslavia, causa dell’avvelenamento dell’aria, dell’acqua e della terra in quello sventurato paese, in una guerra che, nella lingua orwelliana, fu definita “umanitaria”.

Un sistema economico sociale al tramonto è caratterizzato da guerre senza freno. C’è chi sostiene che la guerra dipende dalla natura umana. Non c’è dubbio che l’uomo è uno degli animali più prepotenti, innumerevoli specie sono state distrutte dalla caccia, e le guerre tra tribù sono sempre state frequenti. Un conto, però, è l’aggressività naturale, altra cosa quella artificiale coltivata negli eserciti moderni. Un soldato di professione, in cui si soffoca l’individualità per farne un obbediente strumento di morte, è trasportato in un paese lontano migliaia di chilometri, dove non distingue l’avversario in guerra dal civile inerme, dove impara a sparare nel mucchio, incurante di donne e bambini. Non è un generoso Ettore, un valoroso Aiace, o un iracondo Achille, ma un robot. Le guerre contemporanee dell’imperialismo non sono epiche, sono vili, come vigliacco è l’attacco con gli aerei senza pilota, i droni. Immenso spreco è poi la produzione bellica, che, nei periodi di conflitto, subordina e altera la produzione per la vita civile e i consumi.

Anche nei periodi cosiddetti pacifici, il capitale dà battaglia ai lavoratori, alla salute fisica e mentale della popolazione, all’ambiente, alla civiltà. La vita nella sua totalità è messa in pericolo. Ogni giorno più specie animali e vegetali scompaiono. Le esigenze del profitto hanno trasformato l’allevamento degli animali in tortura. Non più il pollo ruspante, ma quello imprigionato in ambienti strettissimi, nutrito artificialmente, dalle carni flaccide. Vitelli riempiti di ormoni e antibiotici, che finiscono regolarmente nel sangue di chi ne mangia le carni, mattatoi che impressionerebbero Barbablù. Tutto questo per il profitto.

La truffa e il parassitismo prosperano, e sono direttamente proporzionali allo sviluppo del capitale. In una società contadina bastava una stretta di mano a convalidare la vendita di un bue o di qualche quintale di grano, oggi i contratti sono pieni di clausole scritte in piccolo, che diventano motivi di mille contenziosi. E se ci sono disservizi, e l’utente si rifiuta di pagarli, la compagnia vende la pratica a una società di recupero crediti, che ha il compito di assillare, spesso per anni, il malcapitato.

Con lo sviluppo del capitale, cresce la malavita, che s’insinua nei gangli vitali dell’economia. Ogni tanto un esecutore materiale finisce in carcere o ammazzato, ma i veri dirigenti della malavita operano nella finanza, e si nascondono tra i cosiddetti insospettabili.

Ma anche dove tutto sembra svilupparsi normalmente l’irrazionalità è evidente. Gli illuministi preannunciarono il capitalismo come la società della ragione, ma la razionalità del capitale non si distingue dallo sfruttamento intensivo delle risorse umane e della natura, con crescenti devastazioni.

L’interesse della grandi imprese automobilistiche ha ridisegnato le città, spostato intere popolazioni dal centro alla periferia. In autostrada migliaia di persone si spostano su veicoli individuali, con un costo in carburante, in perdita di tempo, in stanchezza enormemente superiore a quello di un trasporto pubblico, almeno dove questi funzionano decentemente. La concorrenza, distruggendo molte industrie locali, impone un enorme incremento dei trasporti, file interminabili di camion, milioni di container, espansione continua dei trasporti aerei. Elettrodomestici, formaggi, salumi italiani viaggiano verso la Germania, mentre elettrodomestici, formaggi e salumi tedeschi arrivano in Italia. La pianificazione internazionale, possibile solo in un’economia socialista, eliminerebbe buona parte di questo traffico inutile, e anche gli squilibri sociali, inevitabili finché domina la concorrenza.

C’è poi la questione dei brevetti. Spesso frutto di ricerche importantissime, sovente vengono acquistati dalle imprese al solo scopo di non lasciarli ai concorrenti, e tenuti in un cassetto, con gravi ritardi per lo sviluppo tecnologico. Quando si tratta di farmaci, gli alti prezzi permessi dalla proprietà del brevetto tagliano fuori settori amplissimi di pazienti e interi paesi. Le spese delle imprese per azioni legali, per praticare lo spionaggio industriale o per difendersene sono ingenti. La prassi di molti industriali di risparmiare sulla sicurezza, o provoca continue morti, o danni spesso irreparabili alla salute dei lavoratori, con costi umani e sociali enormi.

Il capitale richiede una continua distruzione dei prodotti. Se un oggetto dura a lungo, le vendite ristagnano. Addio alle auto di un tempo, che duravano una vita, dopo pochi anni il prodotto deve essere buttato. Non è frutto dell’immoralità del consumatore, che ha volto le spalle alla sobrietà e morigeratezza di un tempo, non è una scelta morale (o immorale), ma è un’esigenza del capitale. Non ci si può fermare a protestare contro gli effetti, bisogna colpire la causa, e la causa è il capitalismo.

I marxisti di una volta parlavano dell’alternativa socialismo o barbarie. Nella barbarie siamo ormai fino al collo, e la crudeltà della guerra - fatta col fosforo bianco, l’uranio impoverito, le cluster bomb e il continuo uso dei mercenari assassini - i lager di Guantanamo e di Abu Ghraib, il crescente abbandono delle protezioni sociali, la corruzione e l’incanaglirsi della vita pubblica lo provano. Se la lotta per il socialismo non riprendesse su vasta scala, sulle sorti dell’umanità non varrebbe la pena di scommettere un soldo bucato.

I marxisti erano rimasti i soli, fino a qualche anno fa, a parlare di grandi crisi economiche come quella del 1929, mentre economisti ufficiali e media sostenevano che ormai gli stati avevano i mezzi per evitarle, riducendole a semplici recessioni. Sono ancora i soli a parlare di autentiche rivoluzioni – e non di quelle colorate, pure mascherature di colpi di stato filoamericani. Il crescente divario sociale che si sviluppa da decenni non può essere colmato con mezzi ordinari. Un detto cinese dell’antichità affermava che alla rivoluzione nessuno crede, prima che questa si manifesti. Vedremo se i marxisti avranno avuto ragione anche questa volta.

30 aprile 2010

Michele Basso

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