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... e nemmeno Suleiman

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(11 Febbraio 2011) Enzp Apicella
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(Dove và la CGIL?)

La vacca ed il mungitore

(10 Maggio 2010)

La filosofia di Giuseppe Di Vittorio, il suo riformismo empirico frutto della sua storia personale e della storia del movimento operaio italiano, si riassumeva in questa esortazione: "compagni, mungiamo la vacca ma senza ucciderla ". Ovviamente si riferiva ad una politica di rivendicazioni che fossero compatibili con la buona salute dell'economia. Non si tratta della legge bronzea dei salari di Ricardo ma di un uso responsabile del conflitto sociale finalizzato a migliori condizioni dei lavoratori nella prosperità generale.

Questa è stata la politica riformista della CGIL. Una politica che ne ha fatto una grande forza nazionale rispettata dagli industriali ed amata dai lavoratori che ha assicurato all'Italia un lungo periodo di benessere dopo la ricostruzione e ben oltre l'autunno caldo. Per quanto lo slogan del "salario variabile indipendente" fosse la parola d'ordine della classe operaia nel 68, in realtà le richieste non sono mai andate oltre le ragionevoli possibilità del sistema. La serie storica dei salari italiani è esemplare per austerità non soltanto nell'industria privata ma anche nei grandi contratti del settore pubblico. Sanità e scuola ne sono esempio. Se qualcosa è stato fatto fuori da questo quadro non si deve al massimalismo della CGIL quanto al clientelismo della politica.

Ricordo perfettamente le vicende del contratto dei dipendenti della Regione Siciliana in cui ad una richiesta di cento, il governo rispondeva dando centoquaranta e l'assemblea legislativa che approvava la legge portava a duecento.

Ma oggi, con venti anni di riduzione dei salari alle spalle, iniziata con gli accordi di concertazione del 1993 e l'abolizione della scala mobile, la scelta della CGIL non è più quella di Di Vittorio. La vacca è ingrassata ed il mungitore rischia di essere ucciso. La situazione si è totalmente invertita. Oggi Di Vittorio direbbe: "salviamo il mungitore!" In questi anni si sono compiute scelte che rompono la coesione sociale e l'equilibrio delle forze produttive: il pacchetto Treu, la legge Biagi, gli accordi con il governo Prodi, l'allegato lavoro, la riforma del contratto, la riforma della scuola e della sanità hanno indebolito alla radice la posizione sociale e giuridica dei lavoratori. La camicia di forza imposta ai rinnovi contrattuali ha consentito un trasferimento di reddito nazionale dal lavoro dipendente al profitto, alla rendita ed alle professioni di proporzioni gigantesche. Il monte salari si è rimpicciolito. La spoliazione è stata terribile. La stessa qualità della vita dei lavoratori è degradata.

Celebrare un Congresso all'insegna della moderazione, non presentare alcuna proposta di aumento delle retribuzioni, non mettere in discussione il precariato e le pensioni, accettare la riduzione della qualità del welfare disarma e consegna inermi i lavoratori al padronato e non fa neppure gli interessi del paese oggi ingrigito da una diminuzione dei consumi essenziali.

La CGIL non avrebbe dovuto accettare la discussione sulla sostituzione dello Statuto dei Lavori a quello dei Lavoratori. Avrebbe dovuto dire no a muso duro e proclamare fin d'ora lo sciopero generale. Non credo proprio che con il suo dissenso il governo e le forze politiche andrebbero avanti lo stesso. Ma, probabilmente, il gruppo liberista che oramai ispira la segreteria della Confederazione e che ha sostituito la cultura socialista con i precetti di Monti, Ichino e Boeri considera lo Statuto dei Diritti una sorta di rudere archeologico che confligge con l'idea di una flessibilità senza limiti del lavoro. Si può flettere il lavoratore fino a spezzargli la schiena se ci sono ancora diritti che lo vietano?

L'involuzione culturale della CGIL è profonda. Basta vedere le elaborazioni del suo ufficio studi.

L'immobilismo salariale e la disponibilità a sottrarre diritti pongono una grande questione democratica. Può un paese sopportare il fatto che venti milioni di lavoratori siano rappresentati da sindacati che non ne curano gli interessi vitali? Fino a quando la democrazia potrà reggere dopo la rottura della coesione sociale e lo scivolamento continuo di milioni di persone indifese verso la povertà?

Se al conflitto sociale ben organizzato dentro una cultura civile che non mortificava nessuno si sostituisce l'inerzia di una massa informe di persone abbandonate all'arbitrio di un padronato senza freni, isolate e disperate, verso quale società ci avviamo?

Dopo la Grecia, l'Unione Europea non mancherà di proporre un forte giro di vite della condizione dei lavoratori. Nella guerra finanziaria scatenata dagli USA contro l'Europa i lavoratori saranno i soli a pagarne le spese.

Non dubito che CGIl CISL UIL agiteranno lo spauracchio della crisi e della catastrofe per spaventare i lavoratori ed indurli a dare sempre di più senza nulla chiedere.

Ma in questo non c'è alcuna saggezza. Non si é né patriottici né responsabili ma soltanto complici della barbarie del capitalismo.

Pietro Ancona

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