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(20 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Continua la guerra mediatica (e non solo mediatica) all'Iran

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Il magma delle alleanze attorno al nucleare iraniano

(19 Maggio 2010)

Lula, Ahnadinejad, Erdogan

Nella partita sul contestato nucleare iraniano Ahmadinejad pare giocare le sue carte meglio di Obama che, riguardo alle sbandierate sanzioni, nella squadra dei cinque più uno (Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina) pare poter contare solo nei partner europei. Così la campagna sul controllo e contenimento degli armamenti nucleari, che per tutti i protagonisti ha un contro altare politico interno, vede il presidente pasdaran recuperare crediti anche a casa sua dopo quasi un anno dalla contestata rielezione. Questo perché nel quadro globale esistono variabili create da un’aumentata presenza di protagonisti desiderosi di occupare la prima fila della geopolitica mondiale e da fattori economici che vedono i dominatori statunitensi in profonda crisi finanziaria. Non è un segreto che attualmente un terzo dell’economia di questa nazione sia supportata esclusivamente da capitali cinesi e che Pechino operi in ogni direzione, naturalmente anche sul fronte diplomatico e strategico-militare, per diventare il colosso guida o uno di quelli che dominerà uno scenario internazionale che è già dietro l’angolo. Gli altri giganti sono Russia, dotata soprattutto della forza energetica, e India, altra fabbrica del pianeta con manodopera per ogni esigenza manuale e intellettuale. Se a questi aggiungiamo il Brasile, Gargantua dell’America latina tenuto per decenni dagli Usa in condizione post-coloniale e che mostra velleità di emancipazione da quella sovranità che l’ha bloccato per tutto il Novecento, ecco composto il poker riassunto negli ultimi tempi sotto l’acronimo Bric. Brasile, Russia, India, Cina appunto.

Queste - che non sono nazioni qualsiasi,pur destinate tutte a fare i conti con un variegato passato e contraddizioni tutt’ora presenti oltre a convenienze di mercato - non sono affatto intenzionate a conservare il basso profilo che gli iniziali o finali eventi storici del XX secolo gli hanno imposto nel tempo. La globalizzazione, tanto amata dal turbo-capitalismo dei decenni scorsi, le ha decisamente messe in gioco. Oggi se si considerano elementi come: popolazione (40% di quella planetaria), estensione (30%), prodotto interno lordo (15%) il quartetto fa già la differenza nella geopolitica ben più di un’Unione Europea, bella come idea ma totalmente subordinata al suo tutore d’oltreoceano tanto da subirne qualsiasi acciacco, paura e paranoia. Naturalmente i colossi in questione rispondono spesso a interessi nazionali anche contrastanti, però il comune denominatore per il futuro prossimo è disarcionare il cow boy americano e svilirne la boria con cui continua a ritenersi signore del mondo. Su tale terreno gli attori emergenti e quelli che si trovano in aree delicate dove l’imperialismo Usa per decenni ha usato popoli e Stati solo come alleanze tattiche servili, gli esempi di Turchia e Iran sono palesi, rappresentano alleati naturali. Ognuno è attratto da possibili nuovi accordi utili a spezzare l’omologazione targata Fmi, Nato e strutture che l’Occidente americanizzato ha introiettato dalla fine del secondo conflitto mondiale, che lo sbriciolamento del blocco sovietico e l’evaporazione del Fronte dei non allineati ribadivano giocoforza.

Anche se le leadership passano, e quelle alla Ahmenadinejad continuano a essere labili in un Paese che per salvare la sua fedeltà all’Islam può sbarazzarsi di lui, occhio al trio Lula-Ahmenadinejad-Erdogan che lunedì s’è abbracciato annunciando al mondo un accordo che lascia Obama a guardare sconsolato i disastri ecologici di una Louisiana devastata dai mercanti di quell’oro nero del cui commercio si vorrebbe privare il governo degli ayatollah. Come gli si vuole espropriare il diritto a un’energia nucleare per uso civile che gli Usa con oltre cento centrali, la Francia con 60, il Giappone con 54 sfruttano e incrementano. La vicenda del nucleare iraniano, che da mesi vede l’amministrazione statunitense impegnata in un fittizio braccio di ferro al quale credono solo alcuni codini dell’allenza Europea quali l’Italia, può diventare l’ennesimo flop dell’attuale inquilino della Casa Bianca. L’accordo stipulato a Teheran, che prevede uno scambio fra le parti di 1200 kg di uranio a basso arricchimento prodotto in Iran con 120 kg di combustibile nucleare utilizzato da quella nazione per ricerche mediche, non si discosta molto da ciò che solo mesi fa Ahmadinejad si rifiutava di firmare sotto la supervisione dell’Aiea. Il valore del passo sta nella diversità dei soggetti e nella parziale rottura dell’accerchiamento subìto dal Paese islamico. Avviene col contributo dell’Islam turco con cui Erdogan fa convivere modernità secolare e l’orgoglio nazionale che si spoglia della subalternità all’occidente soprattutto statunitense e il ruolo di outsider ai grandi del mondo che Lula prova a rivestire. Tutto avviene sotto lo sguardo sornione dei Mevdev e Wen Jabao. Ciascuno fa il suo gioco e ciascuno sarà pure un occasionale compagno di viaggio, ma il loro cammino spariglia abbastanza gli schieramenti.

18 maggio 2010

Enrico Campofreda

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