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Terroristi

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(4 Gennaio 2011) Enzo Apicella
Dopo Pomigliano anche a Mirafiori il ricatto di Marchionne: o lavorare schiavi o non lavorare più

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Perché vivere come schiavi?

(11 Giugno 2010)

Accetterebbe il piano Marchionne senza se e senza ma? “Da mamma che deve crescere i figli direi: firmate. Da persona con un po’ di dignità rispondo: perché vivere come schiavi? Tanto vale farci lavorare a frustate.”
Così una lavoratrice della Fiat di Pomigliano risponde alla domanda di un giornalista (1) spiegando, con la concretezza tipica di chi usa le parole per descrivere e non per nascondere la realtà, i termini esatti della drammatica scelta di fronte alla quale si trovano lei e i suoi compagni.

Sopravvivere da schiavi o morire di fame.

Sopravvivere da schiavi incatenati alle macchine per turni inumani e massacranti (ordinari e straordinari), senza nemmeno le naturali pause per mangiare e per andare a cesso, senza nemmeno il diritto a essere pagati se ci si ammala, e senza neppure la “soddisfazione” di poter incrociare le braccia - a proprie spese! - in qualche ora di sciopero che, se pure fa poco danno al ciclo produttivo, ne fa certamente di più all’immagine di un’azienda che vuole imporre il proprio diritto indiscusso di estorcere profitti senza se e senza ma.

Senza orpelli e freni che il sistema del lavoro salariato - grazie alle lotte di generazioni - pur prevede, ricacciando il “libero” operaio nella condizione dello schiavo costretto a lavorare a frustate. Con la differenza - il che non è poco - che allo schiavo, il padrone - fosse solo per l’interesse che aveva a mantenere integro un bene da rivendere a un prezzo remunerativo - garantiva comunque il vitto e l’alloggio.

Vitto e alloggio che il moderno capitalismo non ti garantisce più una volta che ti espelle dalla fabbrica, magari per costruirne un’altra in posti dove il lavoro è più ricattabile e ricattato.

Nessuna condanna morale. E’ la lotta di classe ai tempi della crisi, quando l’unico modo che i padroni hanno per mantenere i profitti di sempre (le loro barche, le loro ville, le loro puttane e i loro cortigiani prezzolati) è aumentare lo sfruttamento in deroga a leggi e a contratti.

E se quei contratti prevedono qualche limite al loro insaziabile bisogno di trasformare in denaro contante il sudore e i sacrifici di chi è nato nella parte sbagliata della società, i contratti si cambiano. C’è sempre un Bonanni pronto a firmare nuovi accordi. A strillare : “Non perdiamo l’occasione”, “facciamo l’accordo con chi ci sta. Tanti saluti agli altri”.

C’è sempre un sindacalista (?!) pronto a svolgere il lavoro per il quale è pagato. Del resto c’è poco da recriminare. Lui (e tanti altri come lui) sta lì a “trattare” perché scelto da una parte consistente di quegli stessi schiavi che contribuisce concretamente a incatenare.

Nessuna condanna morale. E’ la lotta di classe. E i padroni sanno come condurla. Siamo noi che abbiamo dimenticato la concretezza e la durezza della “contraddizione” che oppone il salario al capitale, corrotti da decenni di politiche “riformiste”. Siamo noi che abbiamo scambiato le briciole (spesso frutto dello sfruttamento di aree tanto lontane da renderci indifferenti alle miserie di tanta parte del pianeta su cui cresceva il nostro benessere) per stabili conquiste, siamo noi che abbiamo immaginato che il capitalismo “dal volto umano” fosse la regola e non l’eccezione di una fase.

Qualcuno sogna ancora i bei tempi passati, i tavoli dove si concertavano le sconfitte soft in cui si perdeva ...ma solo un pochino, si rinunciava a qualche diritto e a qualche garanzia ma si guadagnava comunque qualcosina. Si gettavano nella miseria fette sempre più consistenti di popolazione ma ...a piccoli passi, un pezzo alla volta, dividendo, blandendo, rassicurando, garantendo chi accettava il compromesso e rendendo meno dure le condizioni di chi veniva escluso dalla tavola.

Oggi non è più possibile nemmeno trattare le sconfitte. Lo scontro è per la sopravvivenza dell’intera classe e non sono solo i lavoratori di Pomigliano a dover scegliere fra la fame o una vita da schiavi.

Qualcuno sogna ancora (la Fiom) di poter trattare “nel rispetto delle leggi nazionali”. Peccato che quelle leggi le stanno cambiando sotto il naso e il Nano di Arcore, da sempre sensibile ai desiderata della sua classe di appartenenza e agli interessi del suo portafoglio, ha già pronta una bella modifica all’articolo 41 della Costituzione, quello che recita che l’iniziativa privata “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Fra poco sarà perfettamente legale imporre condizioni di lavoro “in contrasto con la dignità umana” e, statene certi, che si troverà sempre qualche toga (rossa!?) disposta a applicare con severità le leggi dello Stato borghese in difesa della libertà dei mercati e del diritto dei Marchionne di “frustare” chi si rifiuta di accettare le “nuove” regole.

E’ la lotta di classe.

Quanto tempo occorrerà perché chi questa lotta la subisce si convinca che è arrivato il momento di combattere ?

10 giugno 2010

Note
1. Il Fatto Quotidiano 10-06-2010

Mario Gangarossa

Fonte

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