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    Se Napolitano facesse Pereira

    (12 Giugno 2010)

    Pereira

    Già prima dell’ennesimo assalto alla libera espressione, rappresentato dalla legge etichettata come bavaglio, il quarto governo Berlusconi aveva blindato con trentantatre voti di fiducia il dibattito parlamentare. Ancora una volta ha privato l’organo rappresentativo di quella linfa vitale che sono il confronto e la contrapposizione fra tesi di maggioranza e opposizione. Prosegue nei declassamenti istituzionali e nel piano di trasformare la Costituzione in una carta a misura d’un Potere che cancella le prerogative democratiche e repubblicane dello Stato. Allora alla figura più rappresentativa della Repubblica Italiana, il suo Presidente, si può chiedere un gesto che vada oltre il rifiuto di firma e della conseguente promulgazione d’una legge liberticida. Fossero pur veri i suoi passati riferimenti ai limiti del ruolo o le recenti secche battute con cui bacchetta i chiacchieratori a vanvera, che a una mancata prima firma il Presidente debba giocoforza farne seguirne una imposta dall’osservanza delle regole e della tradizione, lo sostiene lui. Lo sostiene Napolitano. Se invece dall’uomo colto che è, il Presidente guardasse un orizzonte diverso potrebbe intraprendere il percorso di un altro personaggio, sicuramente meno autorevole ma altrettanto famoso. Il direttore del Lisboa Pereira reso celebre da Tabucchi e mirabilmente interpretato sul set da Mastroianni.

    Pereira sostiene che gli venne un’idea folle, ma forse poteva metterla in pratica, pensò. Pereira rientrò in casa. Poi andò nello studio e si sedette davanti alla macchina per scrivere. Scrisse come titolo: Assassinato un giornalista. Firmò soltanto Pereira, perché era così che tutti lo conoscevano. Si fermò al Café Orquidea e pensò che aveva tempo di sedersi cinque minuti. Una limonata dottor Pereira? Manuel tu hai un amico che riceve radio Londra, che notizie ci sono? Hanno parlato anche del Portogallo. Ah sì, disse Pereira, e cosa dicono di noi? Dicono che viviamo in una dittatura, rispose il cameriere. Lei che ne dice, dottor Pereira? Io dico che gli inglesi hanno ragione e prese un taxi per andare in tipografia. Trovò il proto tutto affannato, il giornale va in macchina fra un’ora, Pereira gli tese il foglio, il proto lo lesse e si grattò la testa. Dottor Pereira è una faccenda molto delicata non c’è il visto della censura. Senta signor Pedro le ho causato mai dei guai? La cosa migliore è telefonare direttamente alla censura. Pereira prese il telefono e fece il numero della clinica talassoterapia, sentì la voce del dottor Cardoso. Pronto maggiore, disse Pereira, sono qui in tipografia per inserire quell’articolo, veda un po’ di convincerlo. Il signor Pedro cominciò ad annuire. Allora? chiese Pereira. Dice che la polizia portoghese non ha paura di questi scandali e che il suo articolo deve uscire oggi, dottor Pereira. Lasciò il suo articolo, si sentiva esausto e aveva un gran rimescolamento negli intestini. Entrò in casa con cautela dette, uno sguardo al lenzuolo che copriva il corpo di Montero Rossi. Poi si dette uno sguardo intorno e consultò l’orologio. Era meglio affrettarsi, il Lisboa sarebbe uscito fra poco e non c’era tempo da perdere, sostiene Pereira”.

    Faccia come Pereira, Presidente. Una volta nella vita faccia un gesto eroico. Non firmi la legge bavaglio e attenda gli eventi. Uscirà dal Quirinale a testa alta e la Storia ricorderà il suo nome.

    11 giugno 2010

    Enrico Campofreda

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