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Caporalato?

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Il mostro animato del capitale e il dramma di Pomigliano

(20 Giugno 2010)

“Nella misura ... in cui il processo di produzione è nello stesso tempo processo di valorizzazione, nel suo svolgersi il capitalista consuma la capacità lavorativa dell’operaio, ovvero si appropria il lavoro vivo, come sangue vitale del capitale. La materia prima, l’oggetto del lavoro in generale, non serve qui che ad assorbire lavoro altrui, e lo strumento di lavoro non serve che da conduttore, da veicolo, per questo processo di assorbimento. Nell’incorporare la forza lavoro viva alle sue parti componenti oggettive, il capitale diventa così un mostro animato e comincia ad agire come se “avesse l’amore in corpo” .(1)

Effettivamente, il capitale vuole riprodursi. Non a caso gli antichi greci usavano lo stesso termine per indicare l’interesse dell’usura e il figlio. La riproduzione del capitale diventa il fattore determinante della società odierna, la ricerca ossessiva, monomaniaca di plusvalore, che diventa a sua volta nuovo capitale. Ogni altra esigenza, la vita intera della società le vengono sempre più subordinate. In questo mondo alienato, i capitalisti rappresentano la personificazione del capitale.

Dapprima il capitale si adatta alla situazione economica e politica esistente. Rileva dagli artigiani i vecchi telai, e coordina il loro lavoro a domicilio, poi introduce macchinari sempre più complessi e spazza via il lavoratore autonomo. Corteggia re e principi, ma quando questi diventano un ostacolo all’ulteriore sviluppo del capitale, lancia parole d’ordine democratiche e appoggia sanculotti e piccoli borghesi nella rivoluzione. Finché la chiesa è alleata con l’ancien régime, si distingue per l’anticlericalismo, ma appoggia i bacchettoni non appena la chiesa si adatta al capitalismo.

Ogni ostacolo viene travolto. Occorrono materie prime? Le occupazioni coloniali forniscono miniere e manodopera a costo infimo. Anche dopo la pretesa fine del colonialismo, basta un pretesto, come l’inesistente detenzione di armi di distruzione di massa, per giustificare una delle più grandi rapine di tutti i tempi, e il controllo delle vie del petrolio.

Quando il regime democratico non è in grado di controllare le masse, ecco che il capitale promuove e finanzia dittature e fascismi, per cambiare poi casacca e lodare la democrazia quando queste forme di governo hanno esaurito il loro compito.

Questa estrema spregiudicatezza del capitale nel campo politico e sociale trova una perfetta corrispondenza nel regime di fabbrica. Da un punto di vista astrattamente giuridico, imprenditore e operaio sono contraenti sul piano di parità. Il salariato vende la propria forza lavoro, e con ciò gran parte del suo tempo, anche perché occorre conteggiare quello trascorso in viaggio, su auto o mezzi pubblici. E’ costretto a vendere la propria salute, messa in pericolo dalla concreta possibilità di incidenti o di malattie professionali, visto che gli imprenditori risparmiano in materia di sicurezza. Il numero d’incidenti mortali non accenna a diminuire. Indicativo il caso della Umbria Olii: in un incendio morirono cinque operai. Giorgio Del Papa, amministratore delegato dell'azienda, ha chiesto alle famiglie degli operai morti un risarcimento di 35 milioni di euro, sostenendo che sarebbe stato provocato dall’incuria delle vittime.

Spesso la nocività è monetizzata – oggi, per salvare le apparenze, lo si fa in forme non ufficiali - e molte aziende, per bloccare processi intentati da famiglie di defunti per malattie professionali, hanno assunto i figli disoccupati, destinandoli così probabilmente alla stessa sorte.

La vicenda di Pomigliano ha vasta eco, ed è un esempio paradigmatico della perenne offensiva del capitale contro le condizioni di vita dei lavoratori. Dopo il fordismo e il toyotismo, la capacità di tortura delle imprese è ancora cresciuta. Il World class manufacturing (WCM) è uno sviluppo della cosiddetta “produzione snella” (Lean production). Ovviamente, chiede una crescente flessibilità, per correre dietro alle esigenze di mercato, ma impone anche posizioni del corpo particolarmente innaturali. Per aumentare la produttività, non sarà più permesso spostarsi (ci sono carrellini che contengono i materiali da utilizzare), e l’operaio dovrà rimanere fermo in piedi. Si tratta di una situazione che ricorda le batterie dei polli o la situazione delle oche per la produzione del foie gras, inchiodate ad assi perché il loro fegato degeneri e fornisca il materiale adatto per golosi. Ora, un analogo vergognoso e crudele trattamento è inflitto ai lavoratori. Per salvare la faccia, s’introduce anche la metodologia ErgoUas, che permette di individuare i movimenti e le posizioni più dannose per la salute, ma concede riposo solo nei casi più gravi. Nell’accordo del 1971 di Fiom- Fim- Uilm, erano previste possibilità di soste assai più ampie.(2)

Lo straordinario non avrà bisogno di preventivo accordo sindacale. Accettando ciò, i sindacati caudatarii si renderanno assolutamente inutili, perché persino nella pratica cortigiana occorre un margine di manovra, ed essi vi rinunciano. Quando non serviranno più, avranno un meritato calcio nel sedere dal padrone stesso.

Il caso di Pomigliano non è isolato, e neppure nuovo, ma si inscrive in una tendenza individuata già da oltre 150 anni. Marx spiega che, finché lo strumento di lavoro rimane tale – per esempio un telaio a mano – l’operaio rimane il protagonista, il “virtuoso”, anche se la proprietà dello strumento è del capitalista. Si giunge, poi, a un “sistema automatico di macchine (sistema di macchine; quello automatico è solo la forma più perfetta e adeguata del macchinario, che solo lo trasforma in sistema) messo in moto da un automa, forza motrice che muove se stessa; questo automa è costituito da numerosi organi meccanici e intellettuali, di modo che gli operai stessi sono determinati solo come organi coscienti di esso... La macchina possiede abilità e forza al posto dell’operaio, è essa stessa il virtuoso... L’attività dell’operaio, ridotta a una semplice astrazione di attività, è determinata e regolata da tutte le parti dal movimento del macchinario, e non viceversa”.

Il problema non sta nella macchina, che, usata diversamente, potrebbe ridurre lo sforzo e la durata del lavoro, ma nel suo uso capitalistico, che espropria l’operaio delle sue capacità e abilità, lo inchioda al posto di lavoro, riducendolo a schiavo della macchina. Al tempo di Marx, la fabbrica automatica non disponeva ancora dei controlli informatici, e questi ultimi hanno contribuito ancora di più a espropriare l’operaio delle proprie funzioni.

La scienza, asservita al capitale, si presenta come un potere estraneo, perché all’operaio non è permesso di conoscere la totalità del processo produttivo, ma gli viene affidato un compito monotono, limitato e spesso mortificante. “Il lavoro si presenta piuttosto soltanto come organo cosciente, in vari punti del sistema di macchine, nella forma di singoli operai vivi; frantumato, sussunto sotto il processo complessivo delle macchine, esso stesso solo un membro del sistema, la cui unità non esiste negli operai vivi, ma nel macchinario vivente (attivo), che di fronte all’operaio si presenta come un possente organismo contrapposto alla sua attività singola e insignificante”.(3) Si noti l’insistenza: “operai vivi”, quasi un segnale d’allarme per indicare che nel sistema di macchinari ci sono ostaggi che occorre liberare.

Si capisce così che la ribellione contro questo ordine opprimente non ha come solo scopo la salvaguardia del posto di lavoro o il salario, ma è anche una difesa dell’umanità del lavoratore, contro la sua robotizzazione. E’ anche una lotta per liberare la scienza, la tecnica, la cultura, l’arte, la vita stessa dalla avida tutela del capitale.

Bisogna capire, anzitutto, che tutti i grandi problemi della vita contemporanea sono legati all’urgenza di profitto del capitale, di cui i capitalisti, finita l’era dei “padroni del vapore”, sono ormai meri esecutori. L’inquinamento e la distruzioni dell’ambiente, il coesistere dello sfruttamento forsennato degli occupati e della disoccupazione di massa, il disprezzo per la cultura e la sua sostituzione con intrattenimenti commerciali, le nevrosi e la disperazione dell’uomo moderno, l’abuso edilizio e il dramma dei senza casa, le guerre per il petrolio e per le materie prime che devastano territori immensi in Asia e in Africa, le condizioni bestiali degli immigrati e la xenofobia dilagante, sono tutti effetti del capitalismo nella sua fase senescente. I verdi e i fautori della decrescita pensano di poter affrontare questi problemi, lasciando in sella “il mostro animato” del capitale. Riformista è chi crede di poter risolvere i problemi della società col controllo pubblico, o quello dal basso, con l’intervento dello stato o con le nazionalizzazioni, o con l’educazione delle masse al consumo compatibile, senza affrontare il cuore del problema, senza superare il sistema della schiavitù salariale. Diversi sistemi economico sociali si sono succeduti, qui in Europa prima del capitalismo. Hanno avuto grande sviluppo lo schiavismo greco – romano, e il feudalesimo. Nel loro periodo organico, hanno fatto importantissime conquiste di civiltà, nella loro vecchiaia hanno portato sconquassi senza fine. Oggi, siamo di fronte alla vecchiaia del capitalismo, almeno in Europa, Usa, Giappone. Ogni suo sviluppo porterà soltanto veleno, disintegrazione sociale, parassitismo, violenza, guerre, insicurezza e disperazione. Bisogna ritrovare la capacità di combatterlo e di distruggerlo.

Note

1) Questo passo del Capitolo VI inedito de “Il Capitale” è riprodotto nell’antologia “L’alienazione”, a cura di Marcello Musto, pp. 90/91.

2) Fiat: “WCM e sistema ErgoUas. La nuova organizzazione del lavoro e gli effetti sulle condizioni di lavoro. Diffuso dalla Fiom.

3) I brani citati, da “I lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica (1857/58) di Marx, sono riportati nell’antologia sopra citata, alle pagine 70/71 e ss.

Michele Basso

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