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Fiat voluntas Pomigliani

Fiat voluntas Pomigliani

(19 Giugno 2010) Enzo Apicella
A Pomigliano ci si prepara al referendum truffa che dovrebbe sancire il ricatto padronale

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A Pomigliano ha vinto il no

(ed ha perso il becchino col maglione)

(26 Giugno 2010)

Specie in un referendum come quello di Pomigliano dobbiamo rifuggire dalla facile matematica del consenso ed applicare la nota formula secondo cui i voti si pesano e non si contano. Andiamo quindi a vedere cosa è veramente successo, cominciando proprio da quel 62,2% di Sì, che sulla carta avrebbe vinto.

Sarebbe fin troppo facile manifestare il proprio “spirito rivoluzionario” prendendosela con gli operai che hanno approvato l'accordo-capestro di Pomigliano. Noi dobbiamo essere capaci di analizzare le circostanze e le condizioni concrete di questo risultato, ossia dobbiamo discernere e separare il Sì degli operai dal Sì dei lestofanti.

Chi si è espresso a favore dell'accordo non può essere considerato complice dei banditi che lo tenevano sotto la minaccia del licenziamento, della disoccupazione, che in alcune situazioni, come nel meridione, vuol dire sotto la minaccia della vita stessa.

Come scriveva Lenin “si deve imparare a distinguere l’uomo che ha dato denaro e armi ai banditi per ridurre il male che i banditi commettono e facilitarne l‘arresto e la fucilazione, dall’uomo che dà denaro e armi ai banditi per spartire con essi la refurtiva.....chi volesse escogitare una ricetta per gli operai, che offrisse loro decisioni preparate in anticipo per tutti i casi della vita, o promettesse loro che nella politica del proletariato rivoluzionario non ci saranno mai difficoltà e situazioni complicate, sarebbe semplicemente un ciarlatano”.

E la situazione non era certo facile. Migliaia di operai FIAT e indotto ricattati da Marchionne con la chiusura della fabbrica, ingannati con la bufala della Panda, minacciati dalle rappresaglie padronali e dalle “riassunzioni individuali”, sottoposti alle intimidazioni dei capi, con due anni di cassaintegrazione a 750 euro mensili sulle spalle, con l’affitto da pagare e i figli da sfamare, con i “corsi professionali” per convincere gli indecisi, con l’intero governo a spalleggiare Marchionne, con Confindustria pronta ad alzare nuove forche, con la camorra fuori dai cancelli a fregarsi le mani, con tutti i sindacalisti venduti, con tutti i mass media borghesi e tutti i partiti parlamentari dalla parte del capitale, con tutti i preti, gli sbirri, i ciarlatani, gli sciacalli e i ruffiani schierati a favore dell'accordo, con l'assenza di prospettive occupazionali ….non c’erano molti dubbi su chi avrebbe vinto matematicamente il referendum, perché non c’era vera libertà di scelta.

A volerli leggere bene molti di quei Sì sono solo dei No alla chiusura della fabbrica, dei No alla disoccupazione, e non un’approvazione dell’addizionale spremitura di plusvalore.

Paura? Incoerenza? Certo, ma gli operai sono “uomini in carne ed ossa” come scriveva Gramsci, con i loro limiti e le loro debolezze, la loro disperazione ed estenuazione, i loro problemi concreti. Indubbiamente da un punto di vista rivoluzionario si deve porre il difficile problema della lotta contro le influenze piccolo-borghesi dentro al movimento operaio, di cui sarà possibile liberarsi solo nel corso di una lotta lunga e difficile, e solo disponendo di un autentico partito comunista.

Diverso è il discorso per i lestofanti, specialmente quelli riformisti. La loro complicità col banditismo padronale che ha puntato la pistola alla tempia degli operai chiedendo loro di rinunciare ai diritti, di moltiplicare i turni di lavoro, in cambio della promessa del lavoro, è stata totale.

Difficile immaginare comportamento più ignobile, più vigliacco, più perfido di quello dei vertici della CGIL, che hanno pugnalato alle spalle gli stessi operai iscritti alla FIOM, e di quello del PD e della stragrande maggioranza dei parlamentari della cosiddetta opposizione, che hanno fatto a gara nel salire sul rullo compressore antioperaio.

Come era già scritto il risultato, così non potevano esserci incertezze sul fatto che l'unica possibilità rimasta agli operai più combattivi e coscienti, sapendo di essere condannati alla sconfitta, era quella di andare a votare No per mettere un cuneo in questa situazione e ripartire con la lotta appena possibile, già dallo sciopero del 25 giugno.

Il problema non era dunque la vittoria scontata del Si, ma la percentuale dei No, cioè della opposizione irriducibile degli operai ai piani padronali. Il problema era la solidarietà e la lotta operaia che è ripartita nel gruppo FIAT da Mirafiori alla Sevel, dalla Piaggio alla Marelli, da Termini Imerese alla Itca, proprio in questi giorni.

Possiamo allora dire che la FIAT ha perso la partita a cui più teneva, quella del plebiscito operaio ai suoi piani per garantirsi la tenuta dell'accordo, quella della sterilizzazione della conflittualità che sola poteva assicurare una certa pace sociale per qualche tempo.

Senza la “gestibilità” dell'accordo il 62,2% di Sì vale ben poco. Di qui la delusione di Marchionne e soci che hanno voluto applicare alla classe operaia la logica della carta straccia con cui giocano in borsa. Ma per disciplinare la classe operaia non bastano né plebisciti, né manganelli, figuriamoci un mucchietto di Sì estorti col ricatto.

Quel 36% di No all'accordo rappresenta un macigno che ha un peso specifico doppio di quello dei Si. Le schede con cui è stato bocciato l’accordo-capestro sono schede d’acciaio ed in numero sufficiente per difendere la fabbrica e i diritti. Veramente ammirevole è stato il coraggio, la determinazione, la forza d'animo di quegli operai (il 48% se guardiamo il solo voto operaio), che hanno deciso di non cedere al ricatto e hanno votato NO al referendum. Un grande esempio di dignità proletaria, che milioni di lavoratori hanno salutato con gioia, ringraziando quegli operai e dicendo “bisogna ripartire da lì, bisogna fare come loro”, intuendo che quel No ha rafforzato il campo del lavoro e indebolito quello del capitale.

E' l’opposizione ai piani padronali del settore della classe operaia più attivo ed organizzato (non il consenso, come dice Landini!) che impedirà la cancellazione delle conquiste operaie, del contratto nazionale, che impedirà alla FIAT e al governo Berlusconi di portare avanti il progetto reazionario.

Molto dipenderà dalla tenuta di questo blocco, dalla sua capacità di non compiere passi indietro, di trascinare i più arretrati alla lotta, di impedire agli apparati sindacali le solite manovre di “rientro”. Il No operaio può e deve proseguire nel modo più coerente la battaglia per l’occupazione, per i diritti, contro i turni e la flessibilità, facendola diventare una questione di “ordine pubblico”, legandola alla prospettiva di un governo degli operai e degli altri lavoratori sfruttati. Ha cioè la possibilità di trasformarsi in un Sì al socialismo.

Ha voglia il ministro Sacconi a dire che “prevale la collaborazioni fra le parti”. La borghesia sa che da quelle urne non è uscita la pace sociale, bensì nuove nubi che si aggiungono a quelle presenti. Anche l’anticomunista “Melchiorre” sa perfettamente che la musica cambierà quando gli operai avranno la possibilità di esprimersi a modo loro. Allora voteranno con i piedi, allora saranno gli sfruttati a rovesciare il tavolo e non il manager. Se ne accorgeranno anche i collaborazionisti che ora lo implorano di “non fare scherzi”, di “procedere senza tentennamenti”, perché avvertono tempeste in arrivo.

23 giugno 2010

Piattaforma Comunista

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