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Il corteo degli operai fiat a torino: alcuni chiarimenti.

(18 Maggio 2009)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.proletaria.it



Vari

18/05/2009 10:58

COBAS:

UNA MANIFESTAZIONE CONSAPEVOLE E PARTECIPATA E UNA CONCLUSIONE CHE EVIDENZIA DRAMMATICAMENTE L’ASSENZA DI RAPPRESENTANZA E DI UN PROGETTO CONTRO L’ARROGANZA E LO STRAPOTERE FIAT.

Sabato 16 maggio a Torino il corteo contro la prospettata chiusura degli stabilimenti
Fiat di Pomigliano e Termini Imerese e l’ulteriore ridimensionamento di Mirafiori è
stato molto lungo e vivo, sia per la presenza degli operai torinesi sia per l’arrivo di
numerose delegazioni da tutta Italia, Pomigliano in testa. La volontà unitaria di dare
una risposta a Marchionne e la consapevolezza della posta in gioco – il tentativo
dei padroni di utilizzare la loro crisi per costruire un’altra sconfitta del movimento dei
lavoratori – hanno contraddistinto la manifestazione che durante tutto il percorso ha
ricevuto il sostegno della popolazione nelle strade, dalle finestre e dai balconi.
I lavoratori sono sfilati a migliaia senza rigide divisioni organizzative tra le sigle
sindacali, con una naturale e spontanea ricerca di una risposta solidale e collettiva,
ma anche con la preoccupazione di scongiurare un film già visto, ovvero
l’ennesimo epilogo fatto di deserto industriale e di accordi di gestione di migliaia di
licenziamenti collettivi mentre i profitti della Fiat continuano a essere garantiti
soprattutto dal denaro pubblico. Una preoccupazione legittima, visto la sequenza di
accordi a perdere cui tutti i sindacati concertativi ci hanno abituato in questi ultimi
vent’anni.
Per offuscare questo quadro sociale scandaloso puntualmente i mass-media
anziché interrogarsi su come e quanto questa crisi sia stata costruita e venga
utilizzata dai padroni, preferiscono invece inventarsi una violenza di piazza - meglio
se targata “Cobas” - e a strumentalizzare la conclusione della manifestazione nel
comizio davanti al Lingotto: di fronte ad una contestazione verbale, ma comunque
comprensibile, a fronte della richiesta di intervento dal palco dello Slai-Cobas di
Pomigliano il servizio d’ordine dei sindacati confederali non ha trovato di meglio che
opporre resistenza fisica e la chiusura dell’impianto voce.
Ben più grave e preoccupante della caduta dal palco (in realtà una piattaforma a
mezzo metro dal suolo) del segretario Fiom Rinaldini – peraltro trattenuto da un
esponente dello Slai-Cobas, come si nota dalle stesse foto dei quotidiani – caduta
causata dal parapiglia conseguente al tentativo dei vertici confederali di impedire
un intervento già concordato dei lavoratori di Nola, è il prossimo venturo ennesimo
scivolamento politico e sociale di un sindacato concertativo le cui sigle si dividono
tra chi - come Cisl, Uil e Ugl - è pronto a soddisfare qualsiasi progetto di Confindustria
e chi - come la Cgil - si autorappresenta come baluardo democratico, ma paga il
peso non indifferente di aver comunque concertato un quindicennio di perdita di
diritti e di potere delle lavoratrici e dei lavoratori.
Oggi il problema è quello di ricostruire una rappresentanza dei diritti sociali negati, di
ridare voce, peso e dignità a milioni di lavoratori che sono soggetti sociali e politici,
e non semplici fruitori di ammortizzatori sociali. La Confederazione Cobas sta
cercando – sicuramente con fatica – di costruire questo percorso, senza
proclamarsi a solutrice ma ricercando con tutte le forze disponibili un cammino
comune e condiviso. Contro tutte le arroganze del potere, e anche contro le sue
ricorrenti strumentalizzazioni e invenzioni mediatiche.

Torino, 17 maggio 2009 Confederazione Cobas

Una deleteria conventio ad excludendum
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La condanna del "Manifesto" della rude contestazione subita da Rinaldini è giusta ma superficiale, sommaria, alla fine altrettanto criticabile del comportamento dei contestatori di Torino. Scrive Campetti: " in 85, contati e targati Slai Cobas, decidono,alla fine di una manifestazione straordinaria, di aiutare la crisi ed i padroni, assaltano il camioncino montato di fronte al Lingotto dal quale intervengono i dirigenti sindacali, buttano giù dal palco il segretario della Fiom Gianni Rinaldini, si impossessano del microfono per gridare il loro odio non contro quello che hanno alle spalle -il simbolo del potere Fiat -ma contro il più vicino a sinistra, segnando così la loro estraneità dalla sinistra, da quel poco di sinistra che resta.
Vorrei innanzitutto ricordare che episodi di rude, anche pericolosa contestazione operaia non sono nuovi nella storia del movimento. Ricordo un episodio di lancio di pesanti bulloni contro Trentin e Garavini in una fabbrica del Nord in occasione di un duro scontro originato dalla proposta Cisl di introdurre una trattenuta dello 0,5O per cento sul salario per destinarla al una sorta di fondo di solidarietà nazionale, una proposta che al di là del merito si calava in una realtà produttiva forte, lontana dalle crisi occupazionali che stiamo conoscendo ora. Eppure Trentin era il dirigente della Fiom più amato dai lavoratori. Garavini era la sinistra torinese della CGIL. Ci sono stati altri momenti di dura contestazione ( i lavoratori non hanno molti mezzi per farsi sentire, non posseggono giornali, telev isioni, mezzi di propaganda...) ma lo sforzo dei dirigenti della sinistra è sempre stato quello di interpretare e mai di criminalizzare se non nei casi in cui è stata palese la malafede o la strumentalizzazione del "nemico". Mi auguro che, almeno il Manifesto, conservi il sangue freddo necessario per valutare non soltanto la "bellezza estetica" delle manifestazioni, la retorica degli slogans di lotta, la commozione nel vedere i nostri ragazzi accanto ai più anziani cominciare la loro vita dalla cassa integrazione o dal licenziamento, ma la verità che hanno anche i gesti più deprecabili ed insensati. I Cobas che sono stati contati da Campetti in 85, senza chiedersi se magari non avessero i mezzi per essere di più essendo forse costretti a pagarsi di tasca il biglietto per Torino, sono i reietti, gli esclusi, gli emarginati, dappertutto, nei posti di lavoro dove vengono criminalizzati, subiscono vere e proprie persecuzioni senza ricevere una occhiata di solidarietà o un aiuto da nessuno, vengono isolati, molti dei loro dirigenti vengono licenziati, puniti, trasferiti, maltrattati nel silenzio più mortale delle organizzazioni sindacali confederali presenti nel posto di lavoro. Si potrebbe fare un lunghissimo elenco di perseguitati e di vittime che, al momento del dunque, del redde rationem con l'azienda o il padroncino, si sono trovati disperatamente soli. Inoltre, mentre CGIL,CISL,UIL e UG hanno rapporti intensi
con ambienti governativi e con il PD, i Cobas sono parte della grande galassia della sinistra alternativa che ora è ancora più discriminata ed emarginata dal momento che ha perduto la rappresentanza parlamentare.
Mi domando perchè la manifestazione fosse organizzata dai confederali con un sindacato come la Fismic (che Campetti dice di origini "gialle"), perchè non fosse previsto un oratore dei Cobas tra i comizianti, insomma perchè anche in occasione di un momento durissimo e gravido di pericoli come questo si continui la politica confederale di discriminazione verso i Cobas. C'è poi da chiedersi se dobbiamo considerare la politica dei sindacati confederali come un dogma indiscutubile quando questa si riduce spesso soltanto ad una mera riduzione del danno delle proposte confindustriali, (vedi accordo Cisl,UIL,UGL sul modello contrattuale che la CGIL sta facendo filtrare attraverso le categorie), o quando si traduce in un vero e proprio danno conclamato per i lavoratori come l'accordo di luglio con il governo Prodi che riduce ad appena il 35% della retribuzione la pensione a regime, consolida il precariato facendone la forma principale di rapporto di lavoro, riduce il welfare. La legge sulla sicurezza dei lavoratori violentata da Sacconi e dalla confindustria non suscita alcuna reazione tra i dirigenti della Cisl che a suo tempo la accettarono con molte riserve e le riforme di Brunetta non sembra incontrino ostacoli insormontabili tra le Confederazioni Sindacali. Inoltre, il gruppo di riferimento PD della CGIL, è costituito da personaggi che lavorano intensamente per demolire i pochi diritti che restano ai lavoratori: mi riferisco ad Ichino,Letta,Treu,Damiano ed alla proposta di contratto unico e di modifica della legge sui licenziamenti individuali. Insomma, i Cobas sono tuttora l'unica area sindacale dei lavoratori che non si è piegata al progetto di neocorporativismo voluto dalla Confindustria e da Sacconi non ostacolato da un progetto diverso, alternativo, anzi..... Si stanno creando nella realtà le condizioni per un regime di sindacalismo paragovernativo, parastatale, paraconfindustriale che trova negli enti bilaterali uno dei suoi punti di forza. C'è una conventio ad excludendum verso i Cobas, cioè verso un'area sensibile, autonoma.,cosciente del movimento operaio.....Niente comizi insieme, niente tavoli in comune per i contratti, niente trattative.......
Oggi i Cobas vivono la vita delle aziende come la CGIL negli anni cinquanta. Non credo che sia una buona politica quella della loro emarginazione. Non si può chiamare estremismo ed estremistici quanti difendono senza se e senza ma la condizione "operaia". Il Sindacato deve essere "fazioso "dal momento che difende interesse di parte, gli interessi della forza lavoro. Il Sindacato che non è fazioso, che si fa carico della sintesi,
che si fa carico della situazione generale che non controlla e non controllerà mai neppure in un regime comunista, non assolve alla sua funzione ma la tradisce e, tradendola, danneggia anche gli interessi generali che vorrebbe tutelare. Se oggi, attraverso un sindacato meno piangente per la "crisi", avessimo una massa salariale superiore di un dieci o venti per cento di quella che abbiamo ci troveremmo nella condizione dei francesi che perdono soltanto bricioline insignificanti di Pil mentre l'Italia è sotto del sei per cento!!.
Spero che l'errore torinese dei Cobas non venga strumentalizzato per criminalizzare con loro le ragioni della lotta Fiat e giungere alla conclusione che le ragioni della chiusura delle fabbriche "improduttive" siano di interesse generale e nazionale e che chi contesta è pazzo, utopista, fuori dalla realtà. Ma gli operai non sono nazionalisti quando difendono Termini Imerese e Pomigliano. A quale Italia serve una Fiat multinazionale che
ha il corpo fuori dal Paese?

Pietro Ancona
già segretario generale CGIL sicilia
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it

www.proletaria.it

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