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La borsa o la vita

La borsa o la vita

(15 Giugno 2010) Enzo Apicella
Il ricatto della Fiat: "Sopravvivere da schiavi o morire di fame"

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Marchionne con il marchio fmi, come tremonti, veltroni e di pietro

(1 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comidad.org

Il mancato plebiscito al referendum della FIAT di Pomigliano ha un po' appannato sui media la stella di Marchionne, ed alcuni suoi cantori di ieri si sono spinti al punto di domandarsi se sia davvero lui il messia tanto atteso, oppure bisogna attenderne un altro. Ma il problema non era solo il messia, bensì proprio la religione, cioè il "Mercato" e la "globalizzazione", cioè tutti quegli slogan mitologici che hanno dimostrato di andare incontro ad una crescente miscredenza. Eppure stavolta a sostenere le esigenze ineluttabili della globalizzazione era sceso in campo persino il ministro Tremonti, che si era invece costruito una mistificata notorietà come "critico" della globalizzazione.
Vi è una curiosa affinità tra la strategia mediatica di Marchionne e quella di Tremonti, poiché entrambi si sono fabbricati un mito personale buttando lì battute senza impegno in varie interviste. Quattro anni fa Marchionne aveva riscosso le simpatie di una parte della sinistra dichiarando a "La Repubblica" che colpire il costo del lavoro ha una minima incidenza sui bilanci delle imprese, e quindi la questione del risanamento delle aziende non si sarebbe risolta dando addosso agli operai. Gli intellettuali di "sinistra" che hanno abboccato a questa esca mediatica, non hanno tenuto conto del fatto che se la massima compressione del costo del lavoro costituisce un obiettivo primario del sistema affaristico, ciò non è dovuto a banali esigenze di bilanci aziendali, ma perché il creare miseria rompe le difese sociali e quindi consente ai pochi di accumulare ricchezze.
Oggi la FIAT è soprattutto una finanziaria ed un'immobiliare che usa la produzione di auto come grimaldello coloniale. Con l'alibi di qualche migliaio di posti di lavoro, la FIAT ha arraffato in Polonia enormi concessioni immobiliari, cioè pezzi interi di territorio polacco. Il vero affare della FIAT in Polonia non consiste nelle auto, ma nei terreni su cui sono costruiti gli stabilimenti. Negli anni '50 a Torino la FIAT si regolava nello stesso modo: otteneva ad un prezzo simbolico dal Comune o dallo Stato un terreno pubblico per costruirci una fabbrica, poi su un piccolo pezzo di suolo ci alzava un capannone, mentre tutto il resto veniva lottizzato come terreno edificabile.
Solo con la fame di lavoro il governo polacco può giustificare davanti al suo popolo simili concessioni ad una azienda straniera, ed ecco perché l'Unione Europea impone agli Stati di non creare aziende pubbliche. La contrapposizione tra "capitalismo produttivo" da una parte e capitalismo finanziario-speculativo" dall'altra (che era cara sia a Mussolini che a Gianni Agnelli), si rivela perciò come propaganda e fumo negli occhi, per nascondere che esiste soltanto l'affarismo privato, in combutta con i pubblici poteri per saccheggiare il patrimonio pubblico. L'industrializzazione è sempre stata intrecciata alla speculazione immobiliare, in base all'artificio giuridico per il quale un semplice terreno agricolo moltiplica di migliaia di volte il suo valore se un piano regolatore comunale lo fa diventare terreno edificabile.
Anche Tremonti ha utilizzato questi due anni di governo per privatizzare i patrimoni immobiliari pubblici e consegnarli alla cementificazione: ha cominciato con la Legge 133/2008, che privatizzava i patrimoni immobiliari delle Università e delle aziende idriche municipalizzate; poi altre privatizzazioni attraverso il cosiddetto federalismo demaniale; e, con l'attuale manovra finanziaria, si prepara anche la privatizzazione di una serie di beni culturali.
I giornali della destra hanno cercato di far credere che la questione si riducesse al far mancare i fondi al Centro Sperimentale di Cinematografia, che è notoriamente un feudo del Partito Democratico. In realtà sono soprattutto i musei e gli istituti archeologici ad essere messi sul lastrico, perciò tra poco potremo vedere ceduti ai privati anche opere d'arte del Rinascimento o i papiri di Ercolano. Con la sua abituale supponenza Tremonti ritiene di essere bravo solo lui a privatizzare, perciò ha commesso la gaffe di inserire nella lista degli enti culturali a cui far mancare i finanziamenti anche il Vittoriale, la casa/museo di Gabriele D'Annunzio. Il Vittoriale era stato in effetti già privatizzato lo scorso anno dal ministro alla privatizzazione dei Beni Culturali, Sandro Bondi, il quale ha fatto sapere di essere rimasto male per questo mancato riconoscimento. Bondi in questi giorni è riuscito anche a far passare in parlamento la privatizzazione degli Enti lirici, e non perché ai privati interessi la musica, ma solo i patrimoni immobiliari degli Enti in questione. Tramite l'espediente giuridico delle "fondazioni", già sperimentato con le Università, i privati non dovranno versare nulla per entrare in possesso dei patrimoni immobiliari degli Enti Lirici.
Come Marchionne, anche Tremonti è riuscito a gettare un velo sulla sua funzione di agente della speculazione immobiliare, e ciò semplicemente ingraziandosi la destra "antagonista", pronunciando nella trasmissione di Santoro qualche battuta contro gli "Illuminati", la setta segreta che reggerebbe le sorti del mondo. Per Tremonti è molto facile prendersela con gli "Illuminati", dato che questi non esistono o - se esistono - costituiscono soltanto una operazione di pubbliche relazioni, come la Trilateral o il gruppo Bilderberg; meeting ai quali i vertici della Federal Reserve e del Fondo Monetario Internazionale invitano anche qualche servitore delle proprie colonie, giusto per farlo sentire importante. Per l'Italia, oltre che Tremonti, sono stati invitati al Bilderberg anche Emma Bonino e Walter Veltroni. La "caratura" dei personaggi esclude quindi che si tratti di artefici dei destini del mondo, ma la presenza a quelle riunioni spiega il loro entusiasmo nel ripetere ossessivamente le formule pseudo-economiche del FMI. La scorsa settimana Walter Veltroni ha peraltro dimostrato di essere ancora colui che detta la linea politica del Partito Democratico, imponendo al segretario del PD Bersani ed al segretario della CGIL Epifani di contribuire all'isolamento della FIOM per la vertenza dello stabilimento di Pomigliano d'Arco. Veltroni non è nuovo all'imposizione di questi diktat; e già alla fine del 2006, quando il PD non esisteva ancora, impedì al governo Prodi di abolire la Legge 30/2003 sulla prercarizzazione del lavoro.
Il Fondo Monetario Internazionale non è una setta segreta, ma i suoi dirigenti sono noti e i suoi documenti sono ufficiali, perciò si sa benissimo chi sia che in questi anni ha imposto sia le privatizzazioni che la precarizzazione. Il 24 giugno ultimo scorso il quotidiano britannico "Guardian" ha annunciato che il governo greco sta per privatizzare centinaia di isole dell'Egeo, tra cui anche Rodi e Mykonos, e tutto ciò per obbedire alle direttive del Fondo Monetario Internazionale. La formula adottata per "salvare" la Grecia dalla sua crisi finanziaria è stata perciò quella prevedibile e prevista: aiuti di carta in cambio di territorio. Il successo della previsione si è basato non sulla capacità di prevedere il futuro, bensì di ricordare il passato, dato che si tratta del consueto capestro a cui il FMI ha sempre inchiodato i Paesi che ha mandato in rovina. Dal 1946 il credo del FMI si riduce alla solita formula secondo cui i poveri "vivono al di sopra dei propri mezzi", cioè non sono mai abbastanza poveri. Il patrimonio pubblico, per quanto mal gestito, è comunque una risorsa dei poveri, perciò va loro sottratto per essere regalato ai ricchi.
L'Italia non ha avuto invece bisogno di nessun "default" per avviare le stesse scelte di privatizzazione del territorio che sta già adottando il governo greco: sono bastati il "federalismo demaniale" e la "manovra finanziaria", che ha fatto mancare i fondi agli enti locali. Con il pretesto emergenziale di reperire finanziamenti, Comuni e Regioni hanno cominciato a mettere in "vendita" i terreni e i monumenti che lo Stato aveva loro appena ceduto. Questa operazione non avrebbe potuto compierla direttamente lo Stato, perché poi la Corte dei Conti avrebbe dovuto intervenire per valutare la congruità dei prezzi di vendita. Con il trucco del "federalismo demaniale" questo ostacolo legale è stato aggirato, e così i patrimoni immobiliari potranno passare a cosche private per prezzi simbolici. Insomma, veri e propri furti.
Tremonti aveva già tentato la privatizzazione dei patrimoni del Demanio dello Stato quando era ministro dell'Economia tra il 2001 e il 2004, ma si era impantanato negli ostacoli giuridici, ed inoltre il carattere smaccato dell'operazione aveva contribuito al suo discredito ed alle sue dimissioni. Nel 2008 Tremonti però ha potuto rifarsi una verginità come critico della globalizzazione, grazie anche al palcoscenico che gli hanno offerto giornalisti "insospettabili" come Michele Santoro e Gad Lerner. Vista l'entità dell'appoggio mediatico di cui si è avvalso Tremonti in questi ultimi due anni e mezzo, non c'è da dubitare che tra i beneficiari dei regali di pubblici patrimoni immobiliari vi saranno anche le basi militari USA e NATO, a conferma del dato che oggi il Pentagono costituisce la più grande agenzia di speculazione immobiliare del pianeta.
Chi negava, come Antonio Di Pietro, che il "federalismo demaniale" fosse solo un artificio legale per consentire privatizzazioni e cementificazioni a tappeto, oggi dovrebbe risponderne davanti ai suoi sostenitori; i quali, a loro volta, dovrebbero non farsi distrarre dalle disavventure giudiziarie del loro idolo, ma badare al sodo, domandandosi se anche Di Pietro non porti anche lui, tatuato da qualche parte, il marchio FMI.

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