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(Iraq occupato)

Di nuovo a Bagdad /2

26 luglio 2003

(7 Agosto 2003)

Questa mattina siamo stati all’ospedale ALWYA specializzato in ginecologia-maternita, per vedere gli interventi realizzati dal ‘ponte per’. Sono stati installati depuratori d’acqua, raffreddatori di acqua, e sono stati distrubuiti prodotti di igiene, ossigeno ed accessori dell’impianto idrico.
Durante il giro nell’ospedale abbiamo notato che le donne sono sempre accompagnate dai mariti, vestite interamente con il chador nero, segno che l’integralismo islamico ha gia’ imposto le sue regole.
Ci siamo recati all’ospedale da campo della Croce Rossa Italiana ‘protetto’ dai mezzi militari dei carabinieri italiani che ci hanno impedito di fotografare e di filmare. Al termine del colloquio di Giovanni Dani, nostro capo delegazione, con il responsabile del campo non c’e’ stato possibile entrare e ci hanno dato appuntamento nel tardo pomeriggio.

Nel pomeriggio, cercando il caffè degli artisti per incontrare il pittore Al Sabti, siamo entrati in un teatro dove un gruppo di attori irakeni stava provando “Aspettando Godot” di Beckett; questi attori ci hanno indicato il caffè degli artisti e inoltre ci hanno invitato a passare di nuovo per assistere ad una prova del loro spettacolo.
Al caffè degli artisti “HEWAR art gallery” abbiamo visitato una mostra fotografica di fotografi irakeni e poi abbiamo avuto la fortuna di conoscere Qasim Al Sabti fotografo, pittore e responsabile della galleria.
Chiacchierando con lui ci ha raccontato che sicuramente durante gli anni dell’embargo la situazione del paese è stata molto dura, però pur definendo il governo di Saddam un regime dittatoriale ha dichiarato che gli artisti godevano di una certa libertà di movimento ed erano garantiti economicamente; inoltre ha aggiunto che le forze americane sono entrate in Baghdad con i tanks distruggendo con accanimento tutti i luoghi di cultura: università, biblioteche, musei, sottolineando con ironia “gli americani i pezzi migliori se li sono messi nel taschino” la sua domanda ripetuta più volte è stata “perché distruggono la nostra cultura?” perché vogliono annientare la radicata identità culturale.
Nel salutarci ci ha invitato a pranzo e questo per l’ennesima volta ci ha rivelato la grande generosità e la voglia di comunicare del popolo irakeno violentemente isolato da anni e costretto ad una fortissima limitazione delle relazioni esterne.

Ritornati al Teatro AL_TALIAA in un teatro distrutto, senza luci, con una povera scenografia, con una platea di sedili sfondati , ci siamo resi conto che la polvere posata ovunque non ha spento la loro arte né il desiderio di comunicarla e condividerla.
In un Paese dove la guerra non è mai finita questo momento vissuto con questi artisti teatrali ci ha restituito l’intensità della loro voglia di vivere, di dare espressione al loro mondo interiore fatto di sogni legittimi e speranze non del tutto offuscate dalla violenta occupazione che stanno subendo.

Diretti all’ospedale da campo della Croce Rossa Italiana abbiamo notato che sia il Mausoleo dei Caduti della Guerra Iraq-Iran sia lo stadio sono occupati dalle truppe americane con postazioni di controllo.
Arrivati all’ospedale, dopo alcuni minuti di attesa alla temperatura di 50 gradi controllati dai carabinieri del Tuscania, comandati dal tenente Emanuele Barbieri, abbiamo incontrato Antonio Morrone, responsabile del campo, e il dottore Di Cosmo direttore sanitario dell’ospedale.
Una delle cose che ci ha subito colpito è che oltre il personale medico e paramedico italiano, prestano la loro attività come volontari anche medici irakeni altamente qualificati.
La cosiddetta “guerra umanitaria” ha fatto sì che irakene ed irakeni di tutte le età si rivolgano all’ospedale della CRI a causa delle gravissime ustioni riportate per lo scoppio di lampade a cherosene e dei vari combustibili utilizzati in casa per la mancanza di energia elettrica. Una pediatra, che lavora presso l’ospedale Gaslini di Genova, ci ha detto che in quarantanni di attività professionale non aveva mai trattato, ma solo studiato sui libri, malattie storiche e ha definito l’ambulatorio pediatrico ‘una corte dei miracoli’.

Sabrina e Simona delegazione "Un ponte per……."

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