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(23 Ottobre 2010) Enzo Apicella
Wikileaks pubblica nuovi file segreti sui massacri in Iraq

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    (Iraq occupato)

    Di nuovo a Bagdad /4

    29 e 30 luglio 2003: Manifestazione

    (7 Agosto 2003)

    E’ il 29 luglio ci troviamo in Al Rashid Street, sta per iniziare la manifestazione organizzata dall’Unione dei Disoccupati Irakeni cui ha aderito il Partito Comunista dei Lavoratori. Ci sono gia’ molti uomini di tutte le eta’ che oggi sfileranno per le strade di Baghdad rivendicando un posto di lavoro ed un salario, dato che sono 4 mesi che nessuno di loro percepisce uno stipendio. Dalle prime parole che ascoltiamo sentiamo un profondo senso di rabbia misto ad impotenza, ma non a rassegnazione ed oggi lo vogliono dimostrare. “Andremo a manifestare davanti agli americani che hanno occupato il nostro paese” uno di loro ci dice. Hanno creato questa Unione appena finita la guerra, “voglio e posso lavorare, i miei anni vanno veloci ed io non faro’ niente, non parlo solo per me, ma per i tanti come me.”
    Il corteo comincia a muoversi, arrivano tante persone, notiamo in seconda fila uno striscione dell’Organizzazione delle Donne Irakene, portato pero’ da uomini e inoltre ci accorgiamo che ci sono solo 3 o 4 donne. Durante il percorso lo slogan urlato e ripetuto continuamente e’ “ we want job”; alcuni giovani distribuiscono volantini e questo ci da’ la sensazione che ci sia stata una preparazione per la riuscita dell’iniziativa.
    Arriviamo davanti all’ex palazzo presidenziale bombardato durante la guerra oggi interamente circondato di filo spinato, di carri armanti e trasformato nel quartier generale di Paul Bremer. Il corteo si ferma al centro dell’incrocio per bloccare il traffico e farsi vedere ed ascoltare, mentre i marines sono pronti con le loro armi. Subito dopo di fronte al palazzo viene allestita una tenda, vengono disposti attorno gli striscioni e gli irakeni si preparano a resistere, chiedendo fermamente di essere ascoltati.
    Fra i volti intorno a noi notiamo una ragazza, ci avviciniamo per conoscerla e per sentire ogni tanto una voce di donna fra tante voci maschili. Si chiama Fatma, e’ una giornalista, lavora in un giornale di opposizione e partecipa alla manifestazione. Ce l’ha con gli americani e non vuole che il futuro del suo paese venga deciso da loro, ci dice che gli americani non fanno nulla per loro ed anche un intervento ONU, suggerito da uno del gruppo, non le ispira particolare fiducia. Conclude dicendoci che dopo la guerra la situazione per le donne e’ peggiorata terribilmente e non hanno piu’ alcuna liberta’ di movimento.
    Girando fra le persone vicino alla tenda raccogliamo ogni tanto qualche testimonianza resa sempre spontaneamente; sono sempre loro a cercarci, a raccontarci e soprattutto a chiederci di essere la loro voce almeno nel nostro paese. Ci chiedono di raccontare la verita’, quella vera non quella artificialmente costruita dai mass-media internazionale che stanno ricoprendo di menzogne il presente di questo paese.
    Hussein Al-Amsan ci ferma e ci spiega “e’ un anno circa che non lavoro, ero contro il regime di Saddam ed oggi non ricevo niente. Non posso rubare e quindi non so come vivere”. Il suo sguardo e’ triste, ma non sembra un uomo rassegnato.
    Youssuf, nostro amico di Baghdad, si guarda intorno; notiamo il suo sguardo stupito e gli chiediamo perche’, ci sorride e ci risponde “ una cosa del genere non si era mai vista a Bagdad”.
    Nonostante la mancanza assoluta di forme di organizzazione sociale in Iraq, oggi guardando queste centinaia di persone unite su una piattaforma comune di rivendicazione sociale e politica in quanto chiedono lavoro, ma chiedono anche la fine dell’occupazione americana, ci appare possibile la prospettiva di un popolo che sapra’ unirsi sempre di piu’ e condividere una lotta complessiva e soprattutto collettiva per la conquista di diritti troppo a lungo negati.
    Finita la manifestazione veniamo salutati dai sorrisi, dal calore, dal loro grazie “shukram”.
    In serata veniamo avvertiti da una pacifista polacca che all’alba i marines hanno deciso di rimuovere la tenda dei disoccupati.

    All’alba del 30 luglio torniamo di fronte al quartier generale degli americani.
    La tenda allestita dai disoccupati non c’e’ piu’, alle 2 di notte sono arrivati i marines che all’ordine del capitano Neuman, come scopriremo piu’ tardi, hanno eliminato la tenda, con violenza, buttando a terra i contenitori dell’acqua che avevano gli irakeni. E’ terribile la scena di desolazione e quasi di sconfitta che abbiamo davanti, gli irakeni non hanno diritto a vivere, ne’ a manifestare.
    La pacifista polacca ci dice che nella notte 19 di loro sono stati arrestati e portati dentro all’ex palazzo presidenziale dai marines e non se ne sa alcuna nulla. Decidiamo di andare a parlare con i marines che presidiano l’ingresso del palazzo, ci avviciniamo e chiediamo ad uno di loro dove siano e perche’ siano stati arrestati, visto che la polizia irakena aveva autorizzato sia la manifestazione che la tenda. Il marine balbetta qualche parola, chiaramente impreparato alle nostre domande, e se la cava dicendoci che le persone arrestate avevano violato il coprifuoco.
    Torniamo indietro visto l’inutilita’ di questo colloquio.
    Dopo un paio d’ore tornando nella piazza vediamo la tenda di nuovo montate ed una presenza enorme ed inquietante di marines armati che ci circondano con il dito pronto sul grilletto; l’atmosfera si fa pesante, elicotteri attraversano continuamente il cielo, gli irakeni gridano la loro rabbia e noi decidiamo di rimanere, perche’ la loro lotta e’ anche la nostra.
    Dopo una difficile e tesa trattativa con uno dei capi americani una piccola delegazione di irakeni viene ricevuta all’interno del palazzo; tutti noi rimaniamo ad aspettare con un senso di preoccupazione misto a rabbia per l’arroganza e la violenza dimostrata come al solito dagli americani.
    Passa un’ora e finalemente e’ il momento dei sorrisi,degli applausi, della gioia di una vittoria che puo’ sembrare piccola, ma che in realta’ e’ densa di significati: i 19 irakeni sono stati liberati e tornano dai loro compagni sotto la tenda, che esiste ancora con i suoi striscioni e con la voglia di lottare di tutti coloro che l’hanno costruita. E’ un momento intenso, uno di quei momenti in cui senti che vale la pena vivere, abbiamo condiviso una esperienza straordinaria, in cui abbiamo toccato con mano la vitalita’, nonostante tutto, di questa gente.
    Kassim, segretario generale dell’Unione dei Disoccupati, e’ stato uno dei 19 arrestati; ci racconta “ ieri avevamo chiesto il permesso per la tenda anche alle forze americane, ma non e’ servito a nulla”. Il suo volto e’ stravolto, ma i suoi occhi brillano di gioia per la liberta’ sua e dei suoi compagni. Ci dice “ gli americani sono venuti in 6 con una grande macchina, ci hanno svegliato, ci hanno dato dei calci e ci hanno portato dentro il palazzo, in una stanza sporca dove per 8 ore siamo stati solo per terra, senza acqua ne’ cibo. Un soldato voleva darci dell’acqua, ma un superiore lo ha impedito. Verso le 6 del mattino un compagno si e’ sentito male, ma non solo non ha ricevuto aiuto, ma i soldati hanno detto che fingeva”. Ci saluta, desidera stare fra i suoi compagni e ci ringrazia per essere stati li’.
    Questo shukram, come tutti quelli ricevuti in questi giorni intensi, ci fa tremare il cuore e ci restituisce il senso della partecipazione attiva e concreta alla lotta di questo popolo che oggi comincia a far sentire la sua voce.
    E sara’ una voce che non si spegnera’.

    Sabrina e Simona delegazione "Un ponte per……."

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