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(20 Agosto 2010) Enzo Apicella
L'esercito usa si ritira dall'Iraq

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    Di nuovo a Bagdad /5

    1 agosto 2003: Bombe sul mercato

    (7 Agosto 2003)

    Questa mattina siamo andati a nord di Baghdad, nel quartiere di Al Shaiab, vicino al mercato dove nei primi giorni di guerra gli americani sganciarono due bombe intelligenti. Siamo andati a vedere gli effetti di queste bombe e le immagini che ora porto dentro mi hanno gelato.

    Palazzi distrutti, resti di autovetture carbonizzate, polvere pesante che avvolge ogni cosa.

    Subito alcuni irakeni ci chiamano, vogliono sapere chi siamo e cosa facciamo e poi ci invitano a casa loro per mostrarci gli effetti del bombardamento. Entriamo in una misera casa al primo piano di un edificio pericolante a causa delle bombe, Jerjes Bashaj, giovane irakeno, ci invita a sederci ed ad ascoltare la sua storia. In casa ci sono anche Afaf Ahmed Hadi, una donna energica e con un grande sorriso ed il suo bambino, Karrar.

    Jerjes ci racconta che quel giorno era in casa, ad un certo punto ha sentito un boato terribile, non ha capito piu’ nulla, i vetri delle finestre sono esplosi e lui ha visto molto sangue uscire dal suo braccio sinistro. Oggi ci mostra una cicatrice profonda al braccio, le schegge gli hanno reciso i tendini e lui non muove piu’ le dita. Karrar si trovava li’ vicino e le schegge lo hanno colpito alla testa, al collo, alla spalla sinistra. Sorride mentre ci mostra le ferite e sua madre ci dice “il presidente Bush ha chiesto scusa, ha promesso dei risarcimenti, ma noi, come tutti quelli colpiti, non abbiamo visto niente”.

    Forse mister Bush ha dimenticato che le sue due bombe intelligenti quel giorno provocarono 85 morti e circa 100 feriti.....

    Sia Jerjes che Afaf ci chiedono che possono fare per essere aiutati, dove potranno curarsi e, soprattutto, come, visto che non hanno soldi.

    “Molti giornalisti di tutto il mondo sono venuti qui, promettendoci aiuto, ma non e’ successo nulla”. Manca tutto in casa, acqua, elettricita’, ovunque si poggia lo sguardo colgo un senso di miseria, di assenza assoluta del minimo piu’ minimo indispensabile per sopravvivere.

    Jerjes si lascia scappare una frase, forse detta piu’ per disperazione che per reale convincimento “Meglio Saddam che Bush a questo punto”.

    Afaf aggiunge che gli americani hanno portato una liberta’ che vuol dire che puoi ammazzare, rubare, rapire, non vivere del tuo lavoro in pace nel tuo paese. Che liberta’ e’ questa?

    Ci invitano a rimanere a pranzo ed ancora una volta mostrano la loro generosita’, spontanea e naturale, non pensano che non hanno niente per se stessi; le bombe americane li hanno colpiti nel corpo e nello spirito, ma non hanno potuto cancellare in alcun modo la loro dignita’, la loro voglia di vivere e di stabilire relazioni, regalando a noi le piu’ intense delle emozioni.

    Entriamo in un altro edificio bombardato lo stesso giorno, escono bambine, due donne ed alcuni uomini. Sui loro volti le stesse sofferenze di Afaf e Jerjes, le stesse domande, la stessa rabbia.

    Sabrina e Simona delegazione "Un ponte per……."

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