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    Cronache della crisi: l'Ungheria sospende i negoziati con FMI e UE. Nell'Italia meridionale si acutizzano disoccupazione giovanile e miseria

    (20 Luglio 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

    Redazione Radio Città Aperta

    20-07-2010/13:37
    --- Il governo ungherese è rimasto fermo sull'introduzione di un'imposta finanziaria e ha escluso ulteriori misure di austerità, ha detto stamattina il ministro dell'Economia nello spiegare l'interruzione dei negoziati con Unione europea e Fondo monetario internazionale, sospesi sabato senza concludere la verifica sull'attuazione del programma di risanamento ungherese. Fmi e Ue, ha detto stamattina il ministro Gyorgy Matolcsy al canale televisivo M1, hanno espresso contrarietà all'imposta da 200 miliardi di fiorini che il governo vuole introdurre per chiudere il buco nei conti insieme a una legge che ridurrebbe lo stipendio del governatore della banca centrale. "L'Ungheria ha messo in atto un programma di austerità negli ultimi cinque anni, abbiamo ereditato questa situazione dai governi precedenti e vorremmo risparmiarci le conseguenze sventurate di quella prassi", ha detto Matolcsy. "Abbiamo detto ai nostri partner che ulteriori pacchetti di austerità sono fuori questione". Dal canto suo, il Fmi ha dichiarato attraverso una nota sabato che l'Ungheria dovrà varare manovre aggiuntive per centrare i suoi obiettivi di bilancio quest'anno e il prossimo, secondo quanto fissato dall'accordo di finanziamento e gli impegni assunti nei confronti dell'Unione europea. Una nota separata della Commissione di Bruxelles afferma che ridurre il deficit ungherese entro il prossimo anno "richiederà decisioni difficili, soprattutto in merito alla spesa". Il nuovo governo a Budapest si è impegnato a rispettare l'obiettivo di un deficit per il 2010 al 3,8% del pil, come ha ribadito Matolcsy in televisione stamattina, ma intende arrivare a tale cifra soprattutto attraverso l'imposizione sulle banche.

    La crisi ha fatto fare al Meridione d'Italia un salto indietro di 10 anni. Il prodotto interno lordo del Sud, che da otto anni cresce meno del Centro-Nord, nel 2009 è tornato ai livelli del 2000, con "6 milioni e 830mila persone che sono a rischio povertà". E’ questa la fotografia impietosa scattata dallo Svimez nel suo rapporto sull'economia del Mezzogiorno 2010.
    Nel 2009 il Pil del Sud è calato del 4,5%, un valore molto più negativo del -1,5% registrato nel 2008. Il Pil per abitante nel Meridione è pari a 17.317 euro, il che equivale al 58,8% di quello medio del Centro-Nord (29.449 euro).
    Ma è stata l'industria nel meridione a fare le spese maggiori della crisi e ad essere ormai secondo lo Svimez a "rischio estinzione" dopo un crollo del valore aggiunto industriale nel 2009 del 15,8%, mentre le produzioni manifatturiere hanno segnato un calo del 16,6%. Sul fronte occupazionale, l'industria del Mezzogiorno ha perso più di 100mila occupati (-12%), aggravando ulteriormente il gap con il Centro-Nord e il resto dell'Europa. Inoltre lo Svimez sottolinea che al Sud i lavoratori hanno molte meno tutele: al Nord per ogni persona che perde il lavoro, 2 hanno gli ammortizzatori sociale, mentre nel meridione è l'opposto, solo un lavoratore su 3 ottiene la Cig.

    I giovani, tra i 15 e i 24, ma anche quelli fino ai 34 anni, sono stati infatti molto più colpiti rispetto alle altre fasce d'età. Lo rivela il Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro che ha pubblicato il suo rapporto sul mercato del lavoro 2009-2010. Nel rapporto si legge infatti che in termini assoluti tra il 2008 e il 2009 si sono persi 485mila posti di lavoro per persone fino ai 34 anni, mentre per le classi più mature (dai 35 anni in su) si registra un incremento di 125mila occupati, concentrati essenzialmente sulle età prossime al pensionamento. E in prospettiva, per i giovani attivi nel mercato del lavoro in Italia il rischio di essere disoccupati è triplo rispetto a quello di persone più anziane (anche nel resto dell'Ue si registra uno squilibrio, ma meno evidente). Ma la crisi ha agito in maniera diversa anche a livello di genere. Si sono infatti registrate perdite occupazionali maggiori tra i maschi, più presenti nell'industria e nell'edilizia e per i lavoratori con livelli d`istruzione inferiori. E se fino al 2008 le donne rappresentavano la maggioranza dei disoccupati, sebbene le differenze con gli uomini fossero limitate (rispettivamente 52 e 48% dei disoccupati), dal 2009 la situazione si invece ribaltata: gli uomini costituiscono ora la maggioranza (51,4%) dei senzalavoro. Intanto, al di là delle distinzioni - avverte ancora il Cnel - nel 2010 la disoccupazione potrebbe salire all'8,7% (pari a circa 241mila persone senza lavoro in più), ma nello scenario peggiore rischia di toccare il 9% (circa 315mila persone in più). Mentre la perdita di unità di lavoro, nell'ipotesi peggiore, potrebbe toccare quota 421mila. Naturalmente la maglia nera va al Sud da cui dipende sostanzialmente la generale contrazione degli occupati. Ma paradossalmente i disoccupati crescono al Nord, perché qui si fa sentire di meno l'effetto scoraggiamento.

    www.radiocittaperta.it

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