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Que viva Fidel

Que viva Fidel

(23 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Fidel appare in pubblico per smentire la propaganda imperialista che lo dava per morto

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(Dalla parte di Cuba)

Cuba, fratelli coltelli? una rivoluzione al bivio (e buone notizie dall'iraq)

(31 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in fulviogrimaldi.blogspot.com


Se, cubanofili o cubanofobi, vi prende la fregola di sapere subito
quanto di straordinario e inedito sta accadendo nell'isola, andate più sotto.


Dove il potere è padrone, la giustizia è serva
(Proverbio)
Meglio morire in piedi che sopravvivere in ginocchio
(Dolores Ibarruri)
Talvolta il nemico marcia alla nostra testa
(Bertold Brecht)

Ai cubani, per quanto bravi in genere, non piacciono molto le critiche.
Ma di questo e di quelli che sembrano dei veri e propri sconvolgimenti politici in atto nell'isola della cinquantennale rivoluzione, parliamo tra un attimo. Prima un paio di aggiornamenti .

Chi non muore, Iraq!
Ricordate i reportages dall'Iraq sulle, ormai lontane di cinque mesi, elezioni generali?
Tutti embedded, dalla Sgrena del "manifesto" a qualsiasi velinaro della dependance imperiale; "Tutto va bene, madama la marchesa " era l'inno sciolto da questi corifei dell'impero alla presunta normalizzazione e democratizzazione all'ombra di 120mila soldati Usa, di esercito e polizia del regime fantoccio, il più corrotto del mondo insieme agli altri messi su dalle Grandi Democrazie, delle milizie assassine scite filo-iraniane. Stando così le cose, i sinistri, già anti-guerra, potevano riposarsi sugli allori del voto pro-intervento in Afghanistan e di un movimento per la pace che ormai ha altre pippe da farsi.

E invece col cazzo! Per darvi un bagliore di verità sugli ultimi 18 mesi di fortissima ripresa della resistenza armata e civile, ovviamente da Sgrena ed embedded vari diffamata in "Al Qaida", mi limito a citarvi il bollettino della guerriglia diffuso dall'Associated Press il 29 luglio scorso. Definendo tale guerriglia ovviamente "Al Qaida", per inserirla nel quadro del "terrorismo islamico", una costernata Associated Press è costretta ad ammettere, alla luce degli eventi di sole 48 ore, che gli "insorti" sono all'offensiva, che ogni illusione di pacificazione va riesaminata a fondo, che la promessa del vicepresidente Joe Biden, di pochi giorni prima, per cui non vi sarebbe stata più una ripresa della "violenza", che la resistenza ha riguadagnato forza in uomini, armi, operatività e retroterra. Ne gioiamo. Ed ecco il bollettino:

"16 ufficiali delle forze di sicurezza fantoccio sono stati uccisi da un'azione coordinata di 20 attaccanti ad Azimiyah, Baghdad, e sul quartiere sventola la bandiera nazionale dell'Iraq di Saddam (descritta come di "Al Qaida"), nessun attaccante è stato colpito o catturato; in altre parti del paese la guerriglia ha ucciso 23 tra militari e forze di sicurezza varie; giorni prima gli insorti hanno attaccato e svuotato con un comando, in pieno giorno, la Banca Centrale irachena; a Tikrit, città natale di Saddam, un minibus telecomandato è stato lanciato contro una base dell'esercito, provocando almeno 4 morti; a Fallujah, due ordigni esplosivi (IED, Improvised Explosive Device) hanno ucciso due soldati e un numero imprecisato di poliziotti e funzionari; a Mosul, altra roccaforte degli insorti, una bomba fissata su un blindato della polizia ha ucciso un agente e ne ha feriti altri due; a Baghdad gli insorti hanno fatto saltare per aria la sede della televisione araba "Al Arabiya", nota per la sua posizione pro-occupanti e definita dalla resistenza "canale corotto e traditore", uccidendo sei addetti; da un capo all'altro del paese si sono succeduti attacchi alla mina, all'autobomba e al cecchino. Poche settimane prima, erano stati fatti saltare ben tre ministeri nella protettissima "Zona Verde", peraltro ripetitamente colpita da mortai e razzi.
Quanto a noi, tutto questo si direbbe un buon viatico per l'Iraq e per nostre vacanze di soddisfazione.

Wikileaks e chi ci crede
Se occorreva qualche ulteriore indizio, oltre alle certezze che derivano dall'invariabile e stereotipato modus operandi e dagli interessi strategici degli Usa, che la bomba dei 90mila documenti segreti rivelati dai giornali dell'Impero su imbeccata di Wikileaks, avesse come obiettivo, oltre a quello di gonfiare a bue rane che già tutti conoscevano, il rilancio dell'aggressione USraeliana a Iran, Afghanistan e Pakistan, ecco due conferme. La prima, a firma della capo-lobby ebraica del "manifesto", Marina Forti, che, accorrendo alla bisogna, stila un pezzo in cui si ammette che la "vera notizia è una sola". Quale? "Che per la prima volta emerge che i Taliban hanno acquistato missili terra-aria". E ci mancherebbe: era questa la notizia che occorreva per far venire l'acquolina in bocca al noto macellaio Petraeus, che ora può potenziare senza limiti le regole d'ingaggio; per giustificare gli ulteriori 30mila soldati Usa votati dal Congresso su sollecitazione dell'Obama Nero (quello Bianco, in Puglia, plaude al padrino), nonché l'aumento dei militari italiani che, di nascosto dal parlamento, prima Prodi e poi Berlusconi hanno concordato con il sovrano. Ma non è, per Forti, la sola "rivelazione" significativa e gravida di conseguenze. "Non è davvero una novità la rivelazione dei contatti organici tra l'ISI (servizi pakistani) e i Taliban afghani". A ulteriore criminalizzazione del Pakistan, che ha portato già allo sterminio con droni e squadre speciali di migliaia di civili nel Nord, ma che deve lubrificare la definitiva distruzione del paese musulmano, Forti aggiunge che fu quell'ISI infame ad aiutare la nascita dei Taliban negli anni '90. Strano, finora l'universo mondo sapeva che quei Taliban erano stati lanciati contro i sovietici e i comunisti locali dai servizi statunitensi. Cosa non si fa contro quel demone di Pakistan, "paese che ha fatto del terrorismo uno strumento della sua politica". Parrebbe che qui si parli degli Usa, o di Israele. Macchè, Forti parla del Pakistan in corso di sbranamento. E conclude con un soffietto finale alle mire obamiane su quel paese, inconsultamente nucleare: "Visto che SIS e leader ribelli si incontrano ogni mese a Quetta, per promuovere buoni rapporti e azioni comuni, risultano confermati tutti i sospetti Usa verso il loro alleato". E come ciliegina sulla torta di cacca imbanditaci da Wikileaks (almeno stavolta), ecco una notiziola, ovviamente nascosta da tutti: prima di pubblicare quanto l'eroico blogger aveva fatto circolare, il giornale più integralista ebraico e imperialista di tutti, il New York Times, ne aveva chiesto il permesso al Pentagono. Che l'ha dato istantaneamente, ringraziando. Se Wikileaks fosse quel vindice della controinformazione sui crimini di guerra e contro l'umanità USraeliani, pensate che al suo responsabile rimarrebbe un'ora di vita o di libertà? Sono migliaia i killer Cia che s'aggirano per ogni dove. Sono centinaia le prigioni segrete Usa dove si scompare senza lasciare traccia. Sono quasi 200 i giornalisti veri ammazzati dagli Usa in Iraq e 17 quelli trucidati dai loro ascari in Honduras. Comunque sia, manteniamo aperta una finestrella: se attraverso questa, Wikileaks ci passa qualche notizia-bomba sulle trame assassine e di guerra degli Usa contro il Venezuela, siamo disposti a riflettere.

Per trascuratezza, forse determinata dalla fretta di rilanciare i fini veri delle "rivelazioni", Forti si dimentica dell'altro proiettile sparato da quel cannone dell'"informazione libera", stavolta contro l'Iran: l'accusa di sostenere e armare i Taliban. Non bastava che l'Iran gli avesse fregato trequarti di Iraq, che si erano fatti passare studi nucleari a scopo civile e medico da fabbricazione di bombe atomiche, che si accompagnassero colazione, pranzo e cena con avvertimenti a tamburo che Iran, Hezbollah e Hamas stavano per innescare guerre dal Medioriente all'America Latina. Ora, con questa "rivelazione", la misura è colma. L'intervento umanitario contro il terrorismo congiunto iraniano-afghano-pakistano, nell'ammutolimento delle sinistre farlocche, trova piena giustificazione.

?Que linda es Cuba?Ai cubani le critiche piacciono poco. Forse perché sanno di essere i migliori. Ma anche in paradiso a volte c'è qualcosa da ridire. Specie se non facciamo i chierichetti del governo cubano, ma gli amici del suo popolo. Ricordo quel responsabile della gioventù comunista, a Caimito, venuto a trovare la nostra brigata di lavoro, cui chiesi ragione dei fedeli che affollavano le chiese millenariste evangeliche, dai Testimoni di Jehova agli Avventisti del Settimo Giorno, alla Chiesa di Dio, ai battisti, in una Cuba che soleva impartire ai suoi giovani la più rigorosa e felice istruzione rivoluzionaria. Cosa cercava quella gente, tanta, nei templi di queste astute avanguardie della corruzione ideologica e dell'infiltrazione di valori reazionari? Un po' infastidito, il giovanotto mi rispose con uno slogan: "A Cuba c'è libertà di religione". Problema risolto.

Eppure a Cuba il diritto di critica, specie tra i giovani e gli studenti, è praticato e accettato alla grande. Sono innumerevoli le occasioni in cui negli ultimi anni si sono levate voci, anche di protagonisti della società e della cultura cubane, che hanno denunciato pecche e rallentamenti, squilibri e carenze. Pensate ai grandi film come "Fragola e Cioccolato", o "Lista d'attesa", formidabili atti d'accusa a certi ottusi quadri della rivoluzione. Vorremmo che anche noi, da sempre sostenitori di Cuba, anche a duro prezzo, fossimo messi sullo stesso piano e ascoltati un poco. A parole te lo concedono, ma nei fatti molto meno. Ne so qualcosa personalmente. Dai cubani a Cuba, dalla loro ambasciata e neppure dell'associazione italiana di amicizia, per i quali da anni ci diamo da fare al meglio delle nostre possibilità, abbiamo avuto il benché minimo appoggio nella vertenza con "Liberazione", il giornale che mi voleva fare pagare un prezzo spietato per aver difeso Cuba contro calunnie e falsità.

Chi libera, la rivoluzione o i preti?Molta libertà religiosa c'è, in effetti, a Cuba, tanto che la Chiesa cattolica, nella persona del cardinale dell'Avana, Jaime Ortega, ha potuto strappare al governo e al partito l'iniziativa tattica. Speriamo che l'iniziativa da tattica non diventi strategica. Ed è da lì che pare essersi aperta nella società e nella rivoluzione una contraddizione senza precedenti. Con sulla scena due schieramenti ben distinti. La sinistra latinoamericana e molte voci cubane, a quanto pare capeggiate dal redivivo Fidel, non sembrano aver gradito il ruolo attribuito alla Chiesa nella liberazione dei 52 prigionieri. Fino all'aprile scorso, Raul li definiva "terroristi" e "mercenari dell'impero" ("Davanti al ricatto di Usa e UE, Cuba non cederà, succeda quel che succeda"); oggi accetta l'accordo dettatogli da un imperversante emissario di Ratzinger. Accordo che avalla la descrizione, fatta da costui e da tutta la banda dirittoumanista mondiale, Amnesty e Human Rights Watch in testa, di quei detenuti come "prigionieri politici", "prigionieri di coscienza". Rappresentanti dello stesso Ratzinger hanno sostenuto il colpo di Stato fascista in Honduras, i complotti antirivoluzionari e il sodalizio con le dittature e oligarchie di destra in tutta l'America Latina. Non parrebbe il migliore dei biglietti da visita di un negoziatore con dirigenti comunisti.

Allo spazio aperto alle sette evangeliche, missionarie del Dipartimento di Stato, si affianca ora il vasto spazio politico e morale offerto al Vaticano. 52 persone, delle quali nel 2003 era stata dimostrata, al di là di ogni dubbio, la complicità con le politiche di destabilizzazione Usa, che avevano dirottato armi alla mano battelli carichi di famiglie, che stavano preparando una nuova ondata di terrorismo sul tipo di quelle che avevano seminato oltre tremila morti a Cuba, compresa quella di Fabio Di Celmo, che erano stati filmati mentre intascavano il soldo nell'ufficio d'affari Usa, sono diventate grazie a un po' di acqua santa "prigionieri di coscienza". Mercenari di uno Stato nemico aggressore, avevano scontato 7 anni di galera, ben nutriti e ben curati (altro che Guantanamo, o un nostro Cie), laddove in qualsiasi paesi sarebbero stati passibili della pena prevista per alto tradimento, la massima. La ricaduta? Che Obama, reduce da invasione del Costarica, occupazione militare di Haiti, golpe honduregno, basi d'attacco tutt'intorno al Venezuela, trame in tutti i paesi progressisti, IV Flotta riattivata doppo 60 anni a minacciare le coste latinoamericane, il più vasto narcotraffico del mondo e i più feroci squadroni della morte USraeliani, allentasse un pochino il cinquantennale embargo? Che facesse affluire milioni di turisti Usa? Che l'UE sospendesse la sua scandalosa "Posizione Comune" contro Cuba, voluta dal fascista Aznar? La coerenza politica sacrificata sull'altare della captatio benevolentiae nei confronti di chi da cinquant'anni diffama, aggredisce, affama, terrorizza il popolo cubano? Economisti marxisti hanno calcolato che, per le dimensioni delle sue difficoltà economiche, a Cuba occorrerebbero dieci miliardi di dollari. Possibile che tra un Venezuela da sempre ultrageneroso con Cuba (ma meno in questa fase), la Cina, la Russia, il dinamicissimo neoliberista ma "comunista" Vietnam, non si possa mettere insieme questa somma per ristrutturare l'economia del paese, anche mista alla Raul, senza dover pagare prezzi politici e ideologici così alti?
Volete sapere quale è stata nell'immediato la risposta Usa alle "disponibilità" di Raul? Il 21 luglio, negli stessi giorni in cui venivano liberati - e implicitamente riabilitati - i terroristi cubani, Gerardo Hernandez Nordelo, uno dei cinque cubani sequestrati innocenti da 12 anni nelle carceri statunitensi, è stato per la terza volta rinchiuso nella "buca". La "buca" è un orrendo spazio senza finestre di 2,5 x 1,20 metri, del tipo in cui i giapponesi costringevano ieri e gli israeliani oggi (ho visto la "buca" israeliana a Kiam, in Libano) i prigionieri "indisciplinati". Gerardo vi è stato rinchiuso insieme a un altro detenuto. Non per qualche infrazione. Come nelle altre occasioni, solo per aver inoltrato un appello al tribunale, o per sbertucciare il liberatore degli scagnozzi USA a Cuba. Insomma, a Cuba gli Usa, che si volevano ammorbidire, rispondono con una picconata sui denti. Ottima strategia diplomatica.

Obiettivi comprensibili, quelli della sospensione del blocco e delle angherie collegate, nel paese in preda a una crisi economica e sociale gravissima, in massima parte dovuta all'embargo, ma anche a inefficienze e corruttele proprie dello Stato che non ha più saputo gestire e motivare i suoi apparati pubblici: un'agricoltura a ramengo, lo zucchero importato, sacche di povertà in crescita, l'industria di base mai decollata, un decimo della popolazione senza lavoro, l'assurda doppia valuta, per poveri e per ricchi, l'emergere, in una società che si voleva senza classi, di un ceto parassita arrampicato sul turismo. Roba contro cui in passato, finchè poteva, Fidel aveva tuonato e rituonato. Ma poi erano arrivati la malattia e il fratello giovinetto Raul. E si sono allargate le maglie: la libreta, che garantiva l'essenziale per la sopravvivenza alimentare, in corso di smantellamento, l'omogeneità dei salari all'interno di una scala ristrettissima abolita, il ritorno progressivo alla proprietà privata, una generazione nuova di dirigenti annichilita e sostituita dai militari del giro di Raul.
Esempio che ancora oggi sconcerta: la cacciata su due piedi, con motivazioni tardive e tanto infamanti quanto risibili, di due massimi dirigenti, universalmente amati e rispettati, individuati come successori al vertice: il miglior ministro degli esteri mai spuntato in Latinoamerica, Felipe Perez Roque, per vent'anni segretario di Fidel, e il vicepresidenfe Carlos Lage, che aveva salvato il paese dalla catastrofe del periodo especial. Si arrivò a dire che i due in disgrazia avevano firmato una lettera di autoaccusa. Era un falso. Sembrava essere tornati alle famigerate purghe degli anni'30 in Urss. Di quell'URSS così incombente a Cuba fino al 1989 e per la quale il Che nutriva comprensibili diffidenze. E poi, uno dopo l'altro, altri ministri tirati via, come le ciliege. Hugo Chavez, che di Perez Roque aveva una stima sconfinata, ne rimase sbigottito - questo lo so da fonte diretta - e i frequenti e affettuosi incontri con Fidel non furono sostituiti da quelli con il nuovo presidente. La prova che quell'autoaccusa non era mai stata firmata la conserva il presidente venezuelano.

Qualche stranezza nella coerenza rivoluzionaria dello stesso Fidel, forse per assecondare la successione senza contraccolpi del fratello, le sinistre rivoluzionarie latinoamericane l'avevano già percepita. Quando, intervenendo senza titoli, biasimò le FARC colombiane per la lotta armata e, incredibilmente, per non cedere i loro prigionieri, arnesi militari e politici del narcofascista Uribe, senza pretendere la liberazione dei 500 combattenti nelle carceri della tortura di Bogotà. Oppure quando elogiò la scelta, che definire paradossale è un eufemismo, di dare all'assassini di massa Obama, impegnato ad allargare il terrorismo di Stato a sempre nuovi paesi, il Premio Nobel della pace. O, ancora, quando avallò la liquidazione dei dirigenti Perez Roque e Lage, imputandola a loro intesa col nemico, mentre invece molti sospettarono che il dissenso di costoro era verso la politica aperturista e liberista del neopresidente. Ma poi sembrerebbe che per Fidel, rimessosi, si sia fatto da parte del fratello il passo più lungo della gamba. E nel giro di pochi giorni il comandante - e nessuno a Cuba mette in dubbio che, segretario generale del PC, sia ancora tale, al di là delle investiture formali - si presentò al suo popolo sei clamorose e significative volte di seguito. Compresa la più recente quando, rompendo una tradizione di mezzo secolo, festeggiò il 26 luglio, anniversario dell'assalto al Moncada del 1956, inizio della rivoluzione, separato dal fratello: Fidel nella capitale, Raul a Santa Clara. Tutti e due silenziosi. Non era mai successo. Gioco delle parti? Difficile.

Si potrebbe pensare che quella liberazione di detenuti, così gravata da benevoli, quanto indebiti ripensamenti circa il loro ruolo di mercenari provocatori e così prodiga di prestigio e autorevolezza per la Chiesa e per tutti gli avvoltoi che di quei soggetti avevano rivendicato la probità dissidente, sia stata la classica goccia. La rivoluzione, i suoi organi di difesa, il suo apparato di giustizia, la sua valutazione degli interessi giusti o predatori, avevano permesso che qualcun altro, la totalmente infida Chiesa Cattolica e i suoi fiancheggiatori umanitari, vi si sostituisse. E mentre la controparte cubana della nostra Associazione di Amicizia e la stessa ambasciata non perdono occasione per stimolarci alle campagne per i cinque cubani imprigionati da 12 anni negli Usa per aver denunciato i propositi terroristici della mafia cubana, campagne che da anni facciamo con accanimento, s'impone una domanda drammatica: come è possibile che, alla luce di questa, che da anni risulta un'assoluta priorità della politica estera cubana, Raul Castro non abbia chiesto agli sponsor dei falsi "prigionieri di coscienza" in cambio - pubblicamente ! - la liberazione dei veri prigionieri politici cubani negli Usa? Magari lo ha fatto sottobanco, ma allora sono dignità nazionale e politica del popolo che vanno a farsi fottere. Al punto che Obama ha chiuso Gerardo nella "buca".

Ricordiamo. Il problema dei detenuti a Cuba non è mai stata questione di diritti umani, bensì di manovre imperialiste per distruggere la rivoluzione. Coloro che hanno alzato il vessillo della loro promozione a "prigionieri di coscienza" e della loro liberazione sono il cardinale Ortega, il ministro degli esteri spagnolo, Moratinos, la destra del parlamento europeo, i provocatori delle ong dirittoumaniste, con il direttore tecnico seduto nella Sala Ovale. Hanno vinto e, per la prima volta dai giorni della conquista del potere, la rivoluzione ha ceduto a pressioni dall'esterno. Non sono stati il Partito Comunista o il governo cubano, in piena autonomia, a liberare i detenuti. Il credito pubblico mondiale dell'operazione ricade su altri protagonisti, sicuramente non ben intenzionati. La Chiesa Cattolica, fomentatrice di restaurazioni reazionarie in tutto il continente, si presenta alle luci della ribalta come il soggetto del cambio progressista.

Se non si tratta di un astuto gioco delle parti, quella che si è aperta con fracasso a Cuba è una divergenza strategica. E io penso che tutti gli amici del popolo cubano, il quale più di tanti ha saputo manifestare la sua capacità e volontà di resistenza all'imperialismo e di difesa e rilancio della rivoluzione, debbano prenderne atto, con pieno diritto di dire la loro. Ogni altro atteggiamento veleggerebbe tra blindatura stalinista e compatibilità togliattiane e, soprattutto, irrobustirebbe quella che è la maggiore debolezza di Cuba, la sclerosi burocratica con i connessi e connaturati fenomeni di privilegio, nepotismo e corruzione. La prima cosa che occorre a Cuba per la continuità e la rivitalizzazione della sua rivoluzione è trasparenza e, dunque, una voce più potente della sua gente. Dal basso.

La reazione del Venezuela, ogni giorno di più a rischio di aggressione da Colombia e Usa, è eloquente. Negli stessi giorni in cui Chiesa e presidente concludevano l'accordo sui detenuti, Hugo Chavez ribadiva con forza il "Chi è" del terrorismo, arrestando a Caracas e poi estradando a Cuba, sui piedi di Raul, Francisco Chavez Abarca, un vecchio delinquente dell'industria terroristica anticubana. Abarca, braccio destro di Luis Posada Carriles, dal 1960 massimo operativo del terrorismo Cia in America Latina, pluri-attentatore a Fidel, aveva messo nel 1997 quelle bombe nei ritrovi pubblici di Cuba che costarono la vita anche al nostro Fabio Di Celmo. Arrestarlo e consegnarlo alle vittime dei suoi attentati, nel momento in cui suoi compari venivano ribattezzati "di coscienza" e spediti all'estero per prolungare, liberi, la campagna di odio e violenza contro Cuba, non poteva non avere, insieme alle rivelazioni sulla campagna di terrore di cui gli Usa avevano incaricato Abarca in Venezuela, il significato di un chiaro messaggio di Hugo a Raul: tu liberi e implicitamente riscatti la stessa risma di terroristi che, dopo aver colpito il tuo paese, vuole distruggere il mio. Ora ti consegno uno di questi, responsabile di sangue e distruzione nel tuo paese. Libererai anche lui in quanto promosso dal Vaticano e affini a "prigioniero politico e di coscienza"?

Ci sono poi state le fragorose uscite in serie di un Fidel 84enne, convalescente, ma ben rimpannucciato, del tutto analoghe a quelle di Chavez e in implicita dissonanza con gli accomodamenti perseguiti dal nuovo gruppo dirigente. Questi si sono inventati il termine evolucion. Fidel insiste: revolucion. In ogni intervento i due leader rivoluzionari latinoamericani hanno riproposto i contenuti e le ragioni dello scontro mortale con l'imperialismo, sia che Fidel denunciasse in termini sconvolgenti la galoppante distruzione del pianeta ad opera del cannibalismo capitalista, sia che entrambi alzassero al livello rosso l'allarme di nuove imminenti guerre imperialiste contro Iran, Libano, Pakistan, Yemen, Somalia, Venezuela. Tutti fenomeni al cui servizio militavano, prezzolati, gli sporchi congiurati liberati all'Avana, o quello catturato ed estradato in Venezuela. E per coronare questa robusta conferma di chi è nemico e chi va combattuto, pena la disfatta, ecco che Fidel annuncia la tempestiva pubblicazione di una sua "piccola biografia" , intitolata "La vittoria strategica", che copre la fase rivoluzionaria della guerriglia sulla Sierra Maestra. Un altro messaggio, neanche tanto obliquo, per contrapporre a un temuto cedimento, per incerti ritorni, un ritorno alla forza vincente della lotta per sovranità e giustizia in tutte le sue forme? Una lotta che la rivoluzione la rinnova, ma che non ne farà mai una evolucion. Quello è concetto borghese e riformista. Porta malissimo.

Se qualche cubano, o filocubano doc, ora si risente di quanto qui ho scritto, se non capisce se queste righe siano di amore per il popolo cubano e la sua rivoluzione, o di malevola e magari equivoca polemica anticubana, ebbene mi rassegnerò. Non è di questi cubani che noi o Cuba abbiamo bisogno. Ne conosco di migliori.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 10.31

fulviogrimaldi.blogspot.com

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