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Un altro contributo alla discussione sul Padova Social Forum

(18 Febbraio 2003)

DAL GLOBALE

Crediamo che il dato principale da cui partire, nella nostra discussione, sia che dai giorni di Seattle alle centinaia di manifestazioni contro la guerra del 15 febbraio un grande movimento ha saputo vivere, (nonostante chi ha tentato di fermarlo), crescere (allargando la sua influenza e la partecipazione alle sue mobilitazioni) e svilupparsi (costruendo diverse piattaforme su cui confrontarsi e parole d’ordine comuni, sapendo coordinare sul piano mondiale la mobilitazione contro la guerra), contro le grandi ingiustizie economiche e sociali del mondo, contro la devastazione ambientale che questo sistema di produzione comporta e che affligge l’intero pianeta, contro una spartizione delle risorse mondiali che aggrava giorno dopo giorno il divario tra paesi ricchi e paesi poveri e all’interno di ogni paese tra classi sfruttatrici e classi sfruttate.

Questo movimento, capace di rompere l’egemonia mondiale che il capitale ha conquistato nel ventennio neoliberista, è stato capace di connettere i grandi percorsi di resistenza che in questo ventennio si sono sviluppati: dalle rivolte per il pane e contro i Piani di aggiustamento strutturale del Fondo Monetario alle lotte operaie per difendere salari e posti di lavoro, dallo sciopero dei minatori inglesi dell’84 alle battaglie ambientaliste in difesa della foresta amazzonica, dai contadini indiani che lottavano per le proprie colture e le proprie culture contro le multinazionali europee ed americane alle comunità indie del sudamerica che ritornavano protagoniste di un movimento continentale per la loro sopravvivenza, dalla lotta in Italia a difesa delle pensioni nel 94 al lungo sciopero francese dell’anno successivo.

Un movimento che ha uno dei suoi principali punti di forza nella propria composizione articolata, nella capacità di connettere i lavoratori produttivi -dalle fabbriche alle società di servizi come alle tante forme di precariato-, i disoccupati e il proletariato urbano delle grandi metropoli, il mondo contadino industrializzato come quello comunitario, le po-polazioni che stanno vedendo oggi una nuova devastante irruzione del mercato capitalistico nella loro vita come quelle che da decenni vivono lo sfruttamento e le povertà dei paesi a capitalismo avanzato.

Un movimento che nel suo percorso, dalle cento manifestazioni di Seattle ai cortei contrapposti di Durban, dalle molte piazze tematiche di Genova ai tre gruppi di affinità di Praga, dalla molteplice composizione di Firenze alla folla di Roma, ha saputo connettere e confrontare diverse radici sociali, diverse organizzazioni politiche, diverse prospettive teoriche, diversi progetti per un altro mondo possibile.

Una molteplicità di punti di vista e di prospettive che però hanno saputo anche costruire un fronte comune di lotta su alcune questioni: contro le politiche neoliberiste, contro la guerra, contro l’estensione del profitto e dello sfruttamento.

All’interno dell’articolazione e delle diversità del movimento, in cui idee e proposte sono legittimamente differenti, noi pensiamo che la prospettiva di una lotta “contro lo stato di cose presenti”, contro le barbarie del sistema capitalista, stia nell’occasione che questo movimento offre di una ricomposizione di classe, sul piano nazionale e internazionale, tra le sue diverse componenti divise dall’azione del capitale, dalle trasformazioni del sistema produttivo, dalle contraddizioni di un mercato mondiale. A nostro giudizio, per riuscire a crescere e ad affrontare un livello di crisi e conflitto crescente, è importante che il movimento abbia la capacità di sviluppare la propria impostazione programmatica, nuovi conflitti, ed una propria autonomia dalle forze che intendono mantenere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo come base economica della nostra società. Un movimento che da un terreno antiliberista sviluppi la propria iniziativa su un terreno anticapitalista, nella direzione di un reale cambiamento del modo di produzione.

AL LOCALE

In questo contesto riteniamo che sia sbagliato, e anche impossibile sul piano concreto, racchiudere la ricchezza e l’articolazione politica e sociale del movimento in una sua qualsiasi forma rap-pre-sentativa od organizzativa. Il tentativo di costruire un social forum senza fare i conti con questa realtà, impostando di fatto un direttorio o un coordinamento politico, con statuti e finalità pre o post elettorali, ci sembra francamente inutile. E’ importante, soprattutto in questa fase, che ogni componente, organizzata e non organizzata, possa trovare le forme ed i percorsi per trovarsi, partecipare ed organizzarsi all’interno del movimento e del percorso che insieme decidiamo di costituire.

Nel contempo pensiamo che sia difficile mantenere questo movimento unicamente sul piano delle mobilitazioni generali, manifestazioni che comunque sul piano nazionale ed internazionale hanno saputo tenere insieme questo percorso (pur con differenze e problemi, pensiamo ad Assisi, a Roma a novembre, al percorso della CGIL, ecc). Lo snodo che oggi, soprattutto dopo la grande mobilitazione di Roma, ci si trova di fronte è quello della capacità di saper articolare la lotta e di saper radicare territorialmente il conflitto. Da questo punto di vista, riteniamo limitativo costruire forme di coordinamento monotematico o su singole questioni, ricreando in questo modo degli intergruppi, tavoli e coordinamenti a geometria variabile, che servono probabilmente solo a mantenere la centralità delle organizzazioni più grandi e radicate e gli equilibri già esistenti. Esperienze che, tra l’altro, sono state già vissute da tutti noi, in questa città come nella costruzione di manifestazioni nazionali, indipendentemente dal percorso avviato a Seattle. Se ci limitiamo a riproporre delle occasioni di incontro fra le diverse organizzazioni ed associazioni per l’organizzazione di singoli appuntamenti, di manifestazioni o campagne su singole questioni, riteniamo che progres-sivamente si vada a sminuire la forza e la novità di questo movimento, la capacità di saper trasmettere e confrontare le diverse mobilitazioni ed i diversi percorsi.

In questa situazione che è di fatto contraddittoria, in cui crediamo sia necessario tenere presente istanze e necessità opposte, pensiamo debba essere costruita una strada in grado di salvaguardare al contempo le diversità con la radicalità e la consistenza politica della prospettiva del movimento. Per questo la proposta che ci sembra giusto avanzare è quella di social FORUM, cioè di spazi di confronto teorico, di indicazione di mobilitazioni e lotte, di costruzione di percorsi di sviluppo del movimento in cui ogni soggetto, organizzato o meno, possa trovarsi, intervenire, discutere, differenziarsi, trovare le proprie diverse piattaforme ed i propri diversi modi di articolare la lotta e la modalità di scendere in piazza. Un percorso di confronto in cui sia visibile il carattere di incontro fra le diverse sensibilità del movimento, in grado di rilanciare la discussione, le mobilitazioni, la creazione di nuove istanze e nuovi momenti di connessione anche sul territorio.

AL GLOBALE

Un forum quindi, uno spazio di confronto politico e di accrescimento comune, che per noi deve sapersi articolare intorno a tre elementi che hanno caratterizzato il percorso sin qui fatto dal movimento a livello nazionale ed internazionale:

1) Contro la guerra
Occorre passare dalle manifestazioni di massa al blocco delle basi e dei trasporti militari, in forme e modalità non avventuriste (ci sembra difficilmente sostenibile l’invasione e l’occupazione di strutture militari, se non in forma marginalmente dimostrativa), forme e modalità capaci di tenere insieme le diverse anime e forme di lotta del movimento come si è già riusciti a fare a Comiso nei primi anni 80. Forme e modalità di lotta in grado di incidere materialmente sullo svolgimento della guerra e, a maggior ragione se si arriverà alla partecipazione dell’esercito italiano, dirette anche a costruire le condizioni per uno sciopero generale contro la guerra, non rituale ed episodico, ma partecipato e vissuto come strumento efficace e determinante, come sintesi di massa di un percorso di opposizione concreta alla guerra.

2) Contro lo sfruttamento
Allo stesso tempo la lotta alla guerra per noi non può esser sganciata dalla lotta di classe: questa guerra trova le sue ragioni non solo nella volontà di supremazia americana, nel controllo delle fonti petrolifere ma anche e soprattutto nello sviluppo delle contraddizioni capitaliste, nell’approfondirsi della crisi economica. Una dinamica di guerra che se non sarà fermata si allargherà inevitabilmente, arrivando a coinvolgere anche gli altri poli imperialisti. Per questo è importante, all’interno del movimento contro la guerra, costruire una lotta in grado di unire i lavoratori contro le borghesie nazionali ed internazionali. La guerra ha un rapporto diretto con il peggioramento delle condizioni di vita di lavoratori e lavoratrici, con la crisi, con i licenziamenti, con la chiusura di interi comparti industriali, con il taglio dei salari diretti e indiretti. Anche per questo in questi mesi non possiamo abbandonare come social forum il fronte della lotta sociale: le battaglie per l’allargamento dei diritti dei lavoratori, contro i licenziamenti e le chiusure di interi comparti industriali, per la difesa dei contratti nazionali, contro la riforma delle pensioni e contro la precarizzazione sono strategicamente fondamentali. Per questo come movimento no global dobbiamo essere in prima fila per attivare e costruire i comitati per il sì al referendum sull’art. 18, oltre che negli scioperi in difesa dei lavoratori, nella battaglia per la fiat, nella lotta contro la legge delega 848 sul mercato del lavoro.

3) Contro le privatizzazioni
La stessa dinamica di crisi economica mondiale che porta gli eserciti della "civiltà occidentale" nel Golfo Persico spinge il capitale a valorizzare (capitalisticamente) a livello globale tutti gli ambiti di vita, fino a quelli di sussistenza (acqua, cibo, medicine, ecc). Anche in Italia questa tendenza all’allargamento degli ambiti di creazione del profitto, promossa da organismi come il WTO, il FMI, la Banca Mondiale, la Commissione Europea, contro cui il movimento ha manifestato e lottato in questi anni, si esplica attraverso la privatizzazione dei servizi e la loro sottrazione al controllo delle comunità. Pensioni, scuole, sanità, trasporti, acquedotti, asporto rifiuti, farmacie comunali, case popolari sono oggi i terreni che vengono trasformati in nuovi mercati rapinando il patrimonio comune della collettività. Non è quindi scindibile dalle battaglie contro la guerra e contro lo sfruttamento del lavoro anche una battaglia, ad ogni livello territoriale, per bloccare le privatizzazioni e rimunicipalizzare/rinazionalizzare questi beni collettivi.


Padova, 18 febbraio 2003

Gino Bortolozzo
Isabella Cecchi
Luca Scacchi

(progetto comunista – sinistra prc - padova)

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