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Arsenico Lupin

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(6 Dicembre 2010) Enzo Apicella
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    La penuria artificiale dell' idrocrazia delle multinazionali

    (7 Agosto 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comidad.org

    Nel 1992 la conferenza internazionale di Dublino sull'acqua e sull'ambiente stabilì l'ideologia e gli slogan su cui si doveva basare la privatizzazione dell'acqua: l'acqua è un bene sempre più raro e in via di esaurimento, l'acqua ha un costo economico e quindi deve essere soggetta a regole di mercato. Quando si tratti di slogan ufficiali, non ci si deve sforzare molto per capire quale sia la verità dietro il fumo della propaganda: di solito è l'esatto contrario di ciò che ci viene detto.
    Sono venti anni infatti che nel mondo non si fanno più investimenti significativi nella conservazione o nello sviluppo delle infrastrutture idriche. Nessuna delle multinazionali interessate al settore idrico, per lo più statunitensi o francesi, ha messo in campo nuove tecnologie contro lo spreco delle risorse. Gli slogan di Dublino (l'acqua è un bene raro, in via di esaurimento, che ha un costo economico), servirono a legittimare l'ingresso delle multinazionali in un settore che andava salvato dalla "irresponsabilità dell'assistenzialismo pubblico". Le multinazionali hanno invece sempre agito come se lo spreco dell'acqua non fosse un loro problema: tutto si è concentrato sul controllo delle risorse. In cosa investono le multinazionali del settore idrico? In ricerca tecnologica? In nuove infrastrutture? In manutenzione e preservazione delle infrastrutture esistenti?
    No, niente di tutto questo. Le multinazionali spendono soprattutto in "agenzie di pubbliche relazioni", cioè in propaganda e intossicazione dell'informazione; e infatti nei Paesi anglosassoni sono nate già delle agenzie di PR specializzate nel settore idrico, come l'Aqua PR. Ma ciò vale non solo per le rozze multinazionali statunitensi e britanniche, ma anche per le raffinate multinazionali francesi, come le mitiche Vivendi e Ondeo, le quali hanno dimostrato anch'esse di avere una predilezione per i business "poveri"; infatti, oltre che di acqua, si occupano di smaltimento di rifiuti: tutti business che una volta erano lasciati ai mafiosi.
    In Italia le prime "liberalizzazioni dei servizi idrici" (l'ipocrita eufemismo che indica la privatizzazione dell'acqua) avvennero addirittura a metà degli anni '90, ed all'avanguardia fu la "Toscana Rossa", dove i cittadini utenti hanno appreso ben presto che privatizzazione significa solo aumento delle tariffe e dell'incertezza del servizio.
    Gli ultimi investimenti nelle infrastrutture idriche italiane risalgono infatti alla fine degli anni '80. Se a quell'epoca le perdite idriche sulla rete assommavano a circa il 50%, oggi questa quota di perdite è stata abbondantemente superata. Le ultime leggi di Tremonti e Ronchi sulla privatizzazione dell'acqua non hanno indicato alcun programma di rinnovamento o adeguamento della rete, né hanno condizionato l'ingresso dei privati nel business-acqua all'impegno di operare questo tipo di investimenti.
    Quindi, se l'acqua è un bene in via di esaurimento, comunque ai privati non gliene frega nulla, dato che le multinazionali si comportano come se invece l'acqua fosse inesauribile, e l'unico problema consistesse nell'ottenerne il monopolio (altro che mercato!). Un monopolio da imporre non solo con la forza, ma anche con la propaganda.
    In Africa l'acqua è potere, perché in molte aree effettivamente scarseggia, anche se, con le opportune tecnologie, sarebbe reperibile. Ma queste tecnologie le multinazionali si guardano bene dall'applicarle; infatti, dove le risorse idriche naturali sono abbondanti, come nell'America Andina, l'acqua è stata fatta scarseggiare apposta, in modo da tenerne alto il prezzo.
    L'idrocrazia ha quindi necessità di creare penuria d'acqua. La scarsità legittima il controllo del territorio, e consente di ricattare e condizionare qualsiasi attività produttiva, a cominciare dall'agricoltura, la quale da sola utilizza più della metà delle risorse idriche. Quindi, chi negli anni '60 parlava di un capitalismo della "post-scarsità", aveva sognato un mondo esistente solo nei fumi della propaganda ufficiale, poiché la penuria e la miseria costituiscono le principali materie prime su cui si fonda il sistema sedicente capitalistico (in realtà affarismo privato assistito dallo Stato).
    Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, il Fondo Monetario Internazionale e la consorella Banca Mondiale (i due grandi enti assistenziali addetti a coccolare e vezzeggiare le multinazionali) avevano conquistato il completo controllo dell'economia internazionale. Questo successo fu festeggiato a metà degli anni '90 generando la terza persona della trinità, cioè l'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), una vera e propria polizia internazionale del commercio, che veglia contro le "barriere doganali e i protezionismi", etichette di comodo che indicano ogni cosa che possa ostacolare o infastidire la penetrazione coloniale delle multinazionali.
    Con la fine del pericolo comunista, la trinità FMI-BM-WTO ritenne che i propri "cocchi di mamma", cioè le multinazionali, potessero dedicarsi finalmente a dei business "di tutto riposo", a bassa concentrazione di investimenti e privi di rischi.
    La trovata è stata la "petrolizzazione" dell'acqua, cioè l'applicare all'acqua la propaganda già sperimentata e consolidata nel caso del petrolio; una propaganda per la quale siamo stati tutti già da tempo convinti che il petrolio sia molto costoso e sempre più raro. Infatti lo si chiama "oro nero" per giustificare un prezzo di mercato di ottanta dollari al barile, a fronte di un costo di produzione medio che renderebbe più che remunerativo un prezzo di tre dollari. Certo, era difficile far finta che l'acqua fosse costosa come il petrolio, ma ribattezzandola "oro blu", avvolgendola di angosce emergenziali, si sta riuscendo ad imporre i prezzi e le condizioni che si vogliono. Quando si controllano i governi e i media, nulla è impossibile.
    L'acqua è un business di tutto riposo, perché costa poco alle ditte private adottarlo, dato che trovano infrastrutture già pronte per l'uso, pagate con denaro pubblico; ed è un business che risulta remunerativo ancor prima di iniziare, perché consente di dividersi immediatamente le spoglie delle vecchie aziende idriche municipalizzate, ognuna delle quali aveva da parte un suo scrigno del tesoro, cioè un patrimonio immobiliare. L'anno scorso Giulio Tremonti è riuscito, come al solito, a farsi passare da intelligentone, perché, affermando di citare Marx, ha finto di ammonire severamente le banche, sparando la sentenza secondo cui non si può creare denaro dal denaro. Quello di Tremonti era il solito diversivo propagandistico, dato che le banche e tutti gli altri affaristi privati hanno sempre cercato di mettere, per prima cosa, le mani sulla ricchezza reale, cioè sui patrimoni immobiliari. E di questi patrimoni immobiliari le aziende idriche municipalizzate ne avevano davvero tanti.

    Pubblicato sul n.27/2010 di Umanità Nova col titolo "Idrocrazia"

    www.comidad.org

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