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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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L'inutilità dell'antiberlusconismo e la necessità di un altro percorso

(13 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.contropiano.org

All'indomani delle elezioni regionali la vittoria della destra (ottenuta nonostante una consistente perdita di voti), ha prodotto il grido d'allarme sulla democrazia.

Non sono passate nemmeno tre settimane e, caso unico nella nostra storia dopo una vittoria elettorale, la destra entra in crisi con la spaccatura del PDL.

Ma insomma questa destra, indubbiamente impresentabile nella sua immagine e identità, è veramente pericolosa o i nostri antiberlusconiani di sinistra non ci hanno capito niente?

Come Rete dei Comunisti, abbiamo sempre criticato un approccio che se negli anni '90 poteva sembrare forse più convincente della nostra ipotesi, oggi mostra definitivamente la corda con la sua incapacità di interpretare i continui e sempre apparentemente inaspettati sviluppi: Ci riferiamo alla coazione a ripetere del meno peggio che, nella cultura della sinistra italiana, non riesce nemmeno per un momento ad oggettivarsied a coglierne i propri limiti.

Eppure non sarebbe troppo difficile, basterebbe riprendere i famosi attrezzi della nostra cassetta, (lasciati ad arrugginire) per trovare delle chiavi di lettura meno disperanti o volutamente disperanti, che i "dirigenti" politici ci ripropongono senza sosta. Basterebbe, infatti, usare la vecchia e cara analisi di classe per avvicinarsi a capire la natura effettiva dei governi della destra.

Se andiamo ad analizzare le caratteristiche del blocco sociale e politico che sostiene Berlusconi, quello che emerge è la sua contraddittorietà e la conseguente debolezza, debolezza evidente rispetto ai nodi strategici che pone il livello di sviluppo complessivo imposto nella competizione globale, il che mostra non una incapacità ma una impossibilità per la destra di definire una strategia adeguata per il nostro paese nel contesto della Unione Europea.

Questa impossibilità nasce dagli interessi contraddittori e dalle diverse visioni che questa alleanza eterogenea mostra al suo interno ed a cui la destra vorrebbe dare rappresentanza. Convivono infatti nella struttura politica del centrodestra - PDL, Lega e frattaglie varie - gli interessi della piccola impresa in crisi del nordest ed il voto operaio ancora più in crisi del nordovest (un dato che già era emerso nel 1994), le aree sviluppate del Nord con la questione meridionale, il produttivismo leghista con l'apparato statalista degli ex di AN, l'esaltazione delle leggi di mercato con la malavita organizzata, la Padania con l'Unità Nazionale, gli interessi del monopolista Berlusconi con gli ondivaghi sostegni della Confindustria. La lista potrebbe continuare a lungo se volessimo entrare ancora più nel merito.

Il centrodestra ha dunque un intoppo che gli viene dalle contraddizioni interne e che gli impedisce di essere progettuale, ovvero di ipotizzare un determinato sviluppo per il nostro paese e perseguirlo in modo forte e coerente. Ma ha anche un intoppo che gli viene dall'alto dei poteri forti europei con i quali Berlusconi è stato costretto a mediare e dai quali ottenere il qualche modo garanzie, un fatto questo dimostrato dalla posizione subalterno assunta da un noto e feroce antieuropeista come Tremonti. Costui è divenuto infatti il cane da guardia della stabilità monetaria europea - ancora meglio dello stesso Padoa Schioppa - tanto da far aumentare le difficoltà al suo schieramento politico con i continui tagli e contenimenti della spesa pubblica.

Ma allora come mai Berlusconi è cresciuto e si è rafforzato in questo quindicennio?

La risposta è sotto gli occhi di tutti: grazie alle politiche dei governi di centrosinistra con i partiti della sinistra al proprio interno e subordinati. Questi infatti hanno distrutto, polverizzato e disperso quella che era la base sociale storica di una forte tradizione popolare e culturale di sinistra senza riuscire a mostrare uno straccio di alternativa. D'altra parte come si fa a chiedere il voto operaio al Nord quando la CGIL, che abbaia durante i governi di destra, accetta tutte le scelte antisociali dei governi di centro-sinistra? Come si fa a chiedere il voto al Sud quando l'unico modello di governance del meridione si è rivelato il "bassolinismo"?

Come si fa ad essere credibili verso i settori produttivi moderni quando assistiamo a scene da basso impero alla regione Lazio e al comune di Bologna?

Tutto questo, e va ricordato bene, è accaduto sistematicamente in alleanza con i partiti di sinistra e con l'affermarsi di una cultura politica, diffusasi ampiamente anche nei suoi attivisti, che vede l'ombelico del mondo collocato nelle relazioni istituzionali tra partiti; cioè in quella "politica" metafisica che ritiene secondari e strumentali quegli interessi sociali che hanno prodotto invece nei decenni passati la forza dei comunisti e del movimento di sinistra e democratico.

Se le cose stanno così - e stanno così perché il centrodestra è imploso proprio nel momento di maggior debolezza dell'opposizione - perché continuare ad agitare l'antiberlusconismo come se fosse la questione principale? Perché non porsi il problema delle caratteristiche del blocco sociale della destra e di come destrutturarlo con un adeguato intervento sociale oltre che politico? La risposta non può essere quella offerta ad esempio dal compagno Claudio Grassi e da settori del PRC quando la sera stessa dei risultati elettorali si sono affrettati a dichiarare morta ogni possibilità di indipendenza della sinistra alternativa dalla alleanza con il PD in quanto, se non ci si allea con il PD, non si prendono i rappresentanti istituzionali.

Le ipotesi prodotte, ad esempio da Grassi, da Vendola e da altri ancora, danno per scontato che in questo paese la sinistra, ed a maggior ragione i comunisti, non hanno alcuna possibilità di presenza politica indipendente, e lo pensano mentre continuano ad affermare esattamente il contrario, nè più nè meno come faceva Bertinotti con il suo "parlare a sinistra per andare a destra". Così facendo commettono due gravi errori: il primo è pensare che il popolo comunista e della sinistra possa seguire all'infinito delle mistificazioni. Se è vero che sono stati ottenuti dei rappresentanti istituzionali alle regionali anche grazie ai meccanismi elettorali del maggioritario, è altrettanto vero che le due formazioni di sinistra hanno continuato drammaticamente a perdere voti, questa volta circa il 30% rispetto a solo dieci mesi fa.

Viene inoltre commesso un altro errore, forse più grave perché autolesionista, quando si pensa che la propria disponibilità ad allearsi con il PD rappresenti la propria salvezza. La vicenda Fini, in quanto riflesso delle contraddizioni strutturali della destra, cambia nettamente lo scenario politico italiano.

Infatti la rottura di Fini con Berlusconi, quando si determinerà, provocherà una modifica sostanziale dell'opposizione che dovrà scalzare Berlusconi trovando il punto di equilibrio all'interno dei soggetti politici moderati e ultramoderati presenti nelle istituzioni. Questo equilibrio non potrà avere nulla a che vedere nè con la Federazione della Sinistra, (ipotizzare una falce e martello in quel tipo di alleanza con Fini, Casini, Montezemolo, Pisanu etc.è veramente difficile) nè con la velleità vendoliana di mettersi a capo della coalizione di centro sinistra doppiando così l'esperienza pugliese. Casini e tantomeno Fini e i loro azionisti di riferimento - per quanto oggi ancora ipotetico - non potrebbero accettare questo scenario.

Ritorna così sempre più forte la necessità della indipendenza politica della sinistra antagonista dal quadro istituzionale e dal PD, rispetto ai quali le politiche della rimozione, del pragmatismo velleitario, del tatticismo estremo mostrano ormai pubblicamente la corda.

Indipendenza politica e organizzazione sono- a nostro avviso ovviamente- i riferimenti per la ripresa dei comunisti e della sinistra, ma sono anche passaggi ineludibili per una dialettica democratica che parta dai settori sociali che nel nostro paese vanno riconquistati alla solidarietà di classe.

Indipendenza ed organizzazione anche di fronte al fallimento della CGIL e non solo sul piano sindacale, ma di fronte alla sua ininfluenza politica e culturale rivelata con l'incapacità di contrastare tra i lavoratori del Nord l'ideologia reazionaria della Lega.

La Rete dei Comunisti su questo ha avanzato analisi e proposte, chiavi di lettura e elementi di programma che sono stati messi a disposizione di tutti i soggetti politici della sinistra antagonista o che si richiamano più esplicitamente all'esperienza comunista.

Su questo intendiamo continuare ad agire e discutere nei prossimi mesi a tutti i livelli, consapevoli di non essere autosufficienti ma altrettanto consapevoli che non percorreremo la strade che hanno portato entrambi alla crisi.

* editoriale di Contropiano nr.2 del 2010

www.contropiano.org

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