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E' morto Cossiga, presidente di Gladio

(18 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

Fonte: Il Manifesto

Francesco Cossiga si è spento ieri per una crisi cardiaca, aprendo in articulo mortis un ultimo misterioso capitolo del suo già oscuro rapporto con la politica: 4 lettere dal contenuto ignoto indirizzate alle massime cariche dello stato (Napolitano, Schifani, Fini e Berlusconi). La sua lunga carriera politico-istituzionale, dall'arrivo al ministero dell'interno nel 1976 alle dimissioni da presidente della repubblica nel 1992, è stata contrassegnata da una lunga serie di episodi opachi connessi a complotti, stragi, terrorismo e golpismo, e da un ambiguo e mutevole rapporto con le forze politiche di destra e di sinistra. Per ricordare uno dei momenti culminanti di questa carriera - la "scoperta" di Gladio - pubblichiamo di seguito un articolo scritto il 2 novembre 1990 da Luigi Pintor.

II presidente Cossiga ha una strana concezione dello Stato e di se stesso, una concezione deviata. Forse non si è reso conto della enormità delle sue dichiarazioni londinesi, dell'ombra cupa che gettano su di lui e sul Quirinale. O forse ha voluto lanciare una sfida, confidando nell'impunità. Nell'un caso e nell'altro noi pensiamo che debba lasciare senza indugio la sua carica, o essere indotto a lasciarla, non potendosi più oltre riconoscere in lui il rappresentante della comunità dei cittadini. Molti lo pensano, noi lo diciamo, appunto come cittadini: quei semplici cittadini contro i quali l'on. Cossiga si è vantato di aver predisposto a suo tempo un vero e proprio piano di proscrizione, affidato a una struttura armata clandestina.
Questo e non altro è l'operazione Gladio. Concepita non solo fuori e contro la Costituzione di questo paese da chi le aveva giurato fedeltà, ma contro una parte della società e della popolazione, mettendo in conto forme di guerriglia o
guerra civile. Progettata non contro la democrazia in senso vago, ma contro la sovranità popolare e il suffragio universale ove avessero messo in forse il potere democristiano. Intrecciata infine al Sifar e al golpismo del generale De Lorenzo, alla Rosa dei venti e ai Servizi cosiddetti deviati, e quindi verosimilmente implicata o contigua alla strategia della tensione e delle stragi.
Se questa implicazione sanguinosa, sulla quale molti tornano a interrogarsi con sbalordimento, risultasse prima o poi non solo verosimile ma vera e provata, allora ci troveremo di fronte non più a una responsabilità amministrativa e
politica dei passati governi (o di singoli uomini di governo) ma a un caso di concorso morale in reati che preferiamo non definire, una materia penale da cui la nostra mente rifugge. Ma anche se così non fosse, inalterata resta la natura
eversiva di quella banda armata e di quel piano di proscrizione che nessuna clausola ufficiale o segreta degli accordi Nato, nessuna logica di guerra fredda, nessuna presunta emergenza militare può giuridicamente e politicamente
legittimare.
Una simile struttura e un simile piano, anche ammesso per assurdo che siano stati originariamente pensati in vista di una invasione straniera, sono stati attivati o riattivati nell'ultimo ventennio e fino ad oggi dai governi e dagli uomini
della De (anzi da una rosa ristretta di persone all'interno dei governi) come una polizza d'assicurazione contro l'ascesa politica ed elettorale dei comunisti e della sinistra e contro i moti sociali di quegli anni. Non più leggi speciali, polizia e carabinieri o divisioni corazzate, e neppure i Servizi in quanto tali, ma un'arma segreta di pronto intervento esente da qualsiasi controllo istituzionale, totalmente sconosciuta al Parlamento, appoggiata semmai a centrali extranazionali: forse Berlinguer non ne sapeva niente, ma la sua riflessione sulla tragedia cilena si può applicare perfettamente a questo scenario italiano.
L'on. Cossiga si dice orgoglioso di aver conservato questo segreto per 45 anni alle spalle della gente, ma il merito non è solo suo. L'on. Andreotti, l'on. Forlani, alcuni degli uomini più rappresentativi dei governi di questi anni, hanno fatto altrettanto. Il loro senso dello Stato, il loro rispetto della sovranità popolare, è sotto questo aspetto non dissimile da quello che ha improntato i regimi dell'est europeo, anche se una democrazia condizionata è meglio di una democrazia nulla.
Senonché lì è caduto il Muro, ma qui non è caduto affatto: è il Muro della illegalità democristiana, l'anomalia e il peccato originale della nostra vita pubblica. Quanti grandi Vecchi, quanti Belzebù, quanti Burattinai abbiamo avuto
in questi anni? Forse più di uno, forse una rosa di venti, che hanno tuttavia operato tuttidietro quel Muro e abitato tutti nelle stesse stanze: le stanze del potere, un potere insieme pubblico e occulto. Perché ci meravigliamo che il
sistema politico sia marcito, le istituzioni siano spossessate e sfibrate, la finanza pubblica sia dissestata, la malavita sia insediata nella macchina statale? L'illegalità è indivisibile.
Eppure oggi questo regime, questa classe politica, anzi questo personale politico (poiché sono sempre gli stessi uomini, con nome e cognome) rivendicano tranquillamente il loro operato e si concedono l'amnistia: il passato è passato, abbiamo tutti i nostri scheletri nell'armadio, non parliamone più, i comunisti si sono ravveduti, riformiamo insieme le istituzioni e governiamo in pacifica alternanza o meglio in convergenza più o meno parallela. L'on. Andreotti ha lanciato la prima pietra forse per dimostrare d'essere senza peccato, l'on. Cossiga l'ha rilanciata con pari improntitudine e leggerezza: forse pensano che chi ragiona così, chi mostra questo senso dell'impunità, susciti in questo paese frastornato più ammirazione che scandalo. Qui non siamo in America, che sotto questo aspetto invidiamo, e noi che diciamo queste cose non siamo il New York Times.
Ma non crediamo neppure di trovarci, malgrado tutto, in un regime sudamericano. Pensiamo che esista ancora un'opposizione capace, in Parlamento e fuori, di reagire con i molti mezzi di cui dispone. Non si tratta di pretendere un ovvio scioglimento postumo della struttura clandestina ma di incriminarne i promotori. Non si tratta di chiedere una commissione di inchiesta a coloro che debbono essere inquisiti ma di istituirne una propria che porti questa
vicenda in un'aula di giustizia. Giacché i reati di attentato alla Costituzione e di banda armata tanto più sono configurabili quanto più siano commessi o favoriti non da comuni cittadini o associazioni private ma da alte autorità che vengono meno al loro mandato o lo tradiscono. È troppo? Può darsi, il quadro è tale che vien voglia di chiudere gli occhi e arretrare. Ma guai a farlo.
Ha ragione Occhietto, quando dice che bisogna rifondare la Repubblica (assai più del Pci). Ha ragione Craxi, che ha l'attenuante di esser stato al governo per poco tempo e per conto terzi, quando sente aria di congiura. Comprendiamo
anche gli on. La Malfa e Spadolini, quando si schermiscono. Ma finché non tireranno tutte le conseguenze da vicende gigantesche come questa, e non picconeranno il Muro democristiano con tutto il calmo furore necessario, sarà come se avessero torto. Quali che siano oggi i rapporti di forza, non è che muteranno mai per grazia di dio, né si può sperare che la coscienza avvilita e distratta di questo paese si risvegli se ad essa nessuno fa appello con quanto fiato ha in gola.

www.radiocittaperta.it

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