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    Al momento giusto, nel posto giusto. L'irresistibile ascesa di Francesco Cossiga

    (20 Agosto 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

    Nella sua rapida e brillante carriera politica, Francesco Cossiga è sempre stato partecipe dei momenti più oscuri della storia della Repubblica, destreggiandosi tra complotti, trame golpiste e terrorismo. In queste oscure vicende, ha conosciuto «uomini e cose», che poi ha utilizzato per favorire le soluzioni più moderate della borghesia italiana: un progresso senza avventure, sempre sulle spalle dei proletari.

    Il suo esordio governativo avvenne nel 1966, in qualità di sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro.
    In questa veste, presiedette all’apposizione degli «omissis» sul rapporto Manes, ovvero la relazione conclusiva della commissione ministeriale di inchiesta sul piano Solo, che la Commissione parlamentare sul Sifar ricevette dal Governo pesantemente censurata «per esigenze di segreto militare» e che, invece, conteneva la prova della natura golpista del progetto messo a punto dal generale De Lorenzo, con la connivenza di eminenti esponenti democristiani. In questo clima di sospetti, appassì la breve stagione di riforme economico-sociali varata dal centro-sinistra.

    UN GATTO CHE GIOCA CON IL TOPO, CON L’AIUTO DEI SERVIZI SEGRETI

    Nel marzo 1976, Cossiga divenne ministro degli Interni e vi rimase fino all’11 maggio 1978. In quel periodo, la Democrazia cristiana rischiava di essere sorpassata dal Partito comunista italiano. Cossiga recuperò il terreno perduto. Erano i cosiddetti anni di «piombo» ed egli sfruttò a fondo la logica democristiana degli «opposti estremismi». Nella lotta al «terrorismo», giocò come il gatto con il topo: secondo le circostanze, allentò o tirò la briglia repressiva, alternando il bastone con la carota, secondo interessati criteri politici.

    Il bastone lo usò pesantemente a Bologna, nel marzo 1977, quando mandò contro i giovani i nuovi blindati Fiat. Contemporaneamente, rinforzò i legami con i servizi segreti. Con la riforma del gennaio 1978, dette loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007; creò i reparti speciali della polizia, i Nocs, e dei carabinieri, i Gis. Dopo di che, non ebbe a difficoltà a seminare «collaboratori» fedeli nei più diversi ambienti politici, dalla destra estrema alla sinistra estrema … passando per il centro.

    Capolavoro di gesuitico cinismo fu la sua gestione del rapimento Moro (marzo-maggio 1978). Discreto animatore del «partito della fermezza», quando si trovò di fronte al tragico esito, con le sue lacrimose dimissioni ne spostò la responsabilità sul Pci. Non per nulla, seppe giocare come il gatto con il topo anche con il Pci, allora tutto compreso nella strategia del «compromesso storico». Coinvolgendolo in posizione subalterna nella campagna per l’ordine pubblico, lo costrinse a svelare il suo volto più reazionario, facendone presto scordare le velleità innovative. I risultati si videro alle elezioni del maggio 1979: dopo tre anni di «governo delle astensioni», il Pci arretrò dal 34,37 % al 30,38%, un milione e mezzo di voti in meno.

    LA MALA PIANTA DEL PENTITISMO E IL CATTIVO MAESTRO

    Ricondotto il Pci a dimensioni fisiologiche, l’emergenza poteva dirsi finita. Restavano da smorzare gli ultimi fuochi di guerriglia. E quando fu a capo del governo, dall’agosto 1979 all’ottobre 1980, Cossiga li smorzò con sanguinaria durezza.

    Dopo di che, tirò fuori la carota, per favorire un processo di conciliazione nazionale, richiamando all’ovile le pecorelle smarrite del «partito armato». Erede del più schietto cattolicesimo controriformista, si fece portavoce del «pentitismo» e del conseguente «perdono», avviando una putrida spirale di delazioni, che spesso colpirono compagni del tutto estranei a vicende «armate». Sull’altra sponda, l’appello trovò le sensibili orecchie di Toni Negri che, nei suoi scritti, iniziò a formulare l’aberrante ipotesi della «dissociazione», suggerendo allo Stato di concedere benefici giudiziari a quei detenuti politici che, pubblicamente, ripudiano l’uso della violenza e che dichiarano oggettivamente conclusa la guerra contro lo Stato. Inutile dire che nei confronti di quei prigionieri che non rinnegheranno le loro scelte lo Stato sarà giustificato a usare il pugno di ferro.

    Nessuna meraviglia, tout se tient … nel mondo dei padroni. Sono molte le cose che legano Cossiga a Negri: si conobbero in gioventù nelle file dell’Azione Cattolica, entrambi hanno giocato come il gatto con il topo ed entrambi sono ferventi apologeti dello Stato. Sempre da riformare, mai da abbattere.

    Dino Erba

    19 agosto 2010

    www.webalice.it/mario.gangarossa

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