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La pietà delle banche

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(15 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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    Legge 30, il lavoro geneticamente modificato

    di Raffaello Renzacci - Direttivo Nazionale CGIL

    (16 Settembre 2003)

    Il consiglio dei ministri ha varato la versione definitiva del decreto attuativo della Legge 30.
    Sarebbe lungo richiamare il contenuto degli 86 articoli che compongono il decreto, pur tuttavia è utile ricordare qualche particolare. In un accesso al lavoro del tutto privatizzato, la funzione del collocamento potrà essere esercitata tra gli altri dai presidi delle scuole secondarie, dagli enti bilaterali costituiti da qualche associazione padronale e qualche sindacato, dagli stessi sindacati per iscritti e non, (ma alla fine vedrete che diventeranno tutti iscritti).
    All'articolo 10 del decreto si dispone che le agenzie per il lavoro non possano selezionare le persone in base agli orientamenti politici, sindacali, religiosi, sessuali, all'origine etnica e nazionale, allo stato di gravidanza, al colore della pelle, ecc. ed anche in base a controversie avute con precedenti datori di lavoro, a meno che, udite, udite, "non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa". Evidentemente l'arguto legislatore ha voluto con questo articolo proteggere le povere imprese, che hanno già tanti problemi, dall'assalto di comunisti, ebrei, omosessuali, negri, donne incinte, militanti sindacali, ecc.
    Vengono introdotte nuove forme di lavoro che con quelle già esistenti, portano il totale delle possibili tipologie di lavoro a 44. Non c'è paese al mondo che abbia un tale "supermercato del lavoro", compresi i prezzi scontati e i "prendi 3 e paghi 2".

    Il "lavoro intermittente", che fa venire in mente le lucine degli alberi di Natale, è quello dove il lavoratore, stando a disposizione, aspetta la telefonata dell'azienda: " Pronto, si, devo venire a lavorare domani notte? Purtroppo non posso perché mi sposo il giorno dopo". Nessun problema perché il decreto prevede che in caso di rifiuto, il lavoratore dovrà persino pagare alla ditta "un congruo risarcimento del danno".

    Il "lavoro accessorio" è il frutto di un’immaginazione perversa: andate dal tabaccaio, o qualcosa di simile, comprate un blocchetto di "buoni di prestazioni" da 7,5 Euro ciascuno e con quelli vi potete pagare, ad esempio, un extracomunitario, ma solo se ha perso il lavoro e entro i sei mesi successivi; gli fate fare, ad esempio, "la pulizia o la manutenzione di edifici e monumenti" e alla fine il poveretto, con i suoi buoni, torna dal tabaccaio e riceve la bellezza di "5,8 Euro per ogni ora di lavoro", ma affinché non si monti la testa può lavorare a buoni solo 30 giorni all'anno.
    Oltre a queste nuove forme di lavoro anormale, il decreto introduce 3 semplici possibilità di frantumazione aziendale: la cessione di ramo d'impresa, dove non è più richiesta la preesistenza dell'autonomia funzionale per il pezzo di impresa che si vuol vendere, lavoratori compresi; l'appalto di sola manodopera, cioè il caporalato; l'affitto di manodopera a tempo indeterminato, cioè la possibilità che uno lavori per una vita in un'azienda senza farne parte. Queste tre possibilità di spezzettamento aziendale sono in realtà tra i contenuti più pericolosi del decreto: rompono l'unità contrattuale, tolgono i diritti portando in alcuni casi sotto la soglia dei 15 dipendenti dove non si applica l'art.18, scindono la prestazione lavorativa dal rapporto di lavoro.

    UNA NUOVA FASE POLITICA E SINDACALE

    Con l'approvazione del decreto si conclude la fase di mobilitazione per impedire l'attuazione di quanto presentato nel libro bianco di Maroni due anni fa. Questo significa che dobbiamo rassegnarci alle nuove normative?
    Se lasciassimo agire il veleno che Berlusconi sta iniettando nel corpo sociale (e non solo nel mercato del lavoro), fra qualche anno ci troveremmo fra le mani una società sempre più feroce ed individualizzata, un mondo del lavoro disperso nella sua identità collettiva e geneticamente modificato. Chi pensa che non occorra agitarsi tanto e aspettare le elezioni del 2006, dimentica che siamo governati da un blocco politico Frankestein che tenta controriforme strutturali per rendere irreversibile la propria collocazione al potere.

    Come Cgil avevamo raccolto 5 milioni di firme anche a sostegno della possibilità di referendum abrogativi. Dopo il risultato del 15 e 16 giugno, può apparire arrischiato riproporre una battaglia referendaria, ma quali altre alternative sono in campo? A mio parere il problema è delicato ma non può essere scaricato sulla sola Cgil: tutte le forze democratiche di questo paese devono pronunciarsi se intendono opporsi all'attuazione della legge 30 e attraverso quali strumenti.

    LE SOLUZIONI NEI CONTRATTI NAZIONALI

    Sul fronte contrattuale i problemi che verranno introdotti dalla legge 30 sono particolarmente complessi, non solo per l'interferenza diretta sulla contrattazione ma soprattutto perché, anche senza essere recepiti e regolati dai contratti nazionali gli articoli del decreto saranno immediatamente operativi. Molti dei rinnovi contrattuali conclusi negli ultimi mesi, quello del Vetro, delle Piastrelle, delle Assicurazioni hanno rinviato la definizione di tutto il capitolo sul mercato del lavoro.
    Nei casi di rinvio, è obiettivamente difficile pensare che nell'ambito di un contratto unitario, si possano fare accordi separati su un singolo capitolo (anche se non è totalmente da escludere). Non dovrebbe essere quindi impossibile, per le categorie della Cgil, impedire formule di recepimento della controriforma del governo. Se però il risultato finale fosse una impossibilità di definire questi capitoli, il governo avrebbe comunque raggiunto il risultato di stabilire nuove regole scavalcando la funzione della contrattazione

    Altri rinnovi contrattuali si sono spinti più avanti misurandosi con i capitoli del tempo determinato e del part-time. Entrambi temi molto delicati: il primo per l'introduzione nel 2001 della L. 368, giudicata inapplicabile dalla Cgil; il secondo su un terreno che sarà ampiamente peggiorato dalla L.30.
    Senza ricavare dal tema specifico una valutazione d'insieme sulle singole conclusioni contrattuali, è però utile analizzare nei particolari l'approccio definito nei diversi accordi.
    In premessa occorre ricordare che la L. 368 liberalizza le causali, ovvero le motivazioni, in base al quale un'impresa può ricorrere ad assunzioni a tempo determinato, demandando alla contrattazione la fissazione di limiti quantitativi ma escludendo da questi limiti alcune causali: le fasi di avvio di nuove attività, le ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità, l'intensificazione dell'attività produttiva in determinati periodi dell'anno, i contratti di durata inferiore ai 7 mesi (art.10 comma 7).

    RISULTATI CONTRATTUALI NON ADEGUATI

    L'unico contratto recentemente sottoscritto, che contiene un riferimento esplicito alla L. 368, è quello dell'Industria Alimentare: prevede infatti l'individuazione di alcune causali, diverse e aggiuntive rispetto a quelle individuate all'art.10 comma 7, per le quali le assunzioni a tempo determinato non possono superare la percentuale del 14%. Stessa soluzione nel contratto delle Attività Ferroviarie, dove la percentuale massima è fissata al 10% e nel contratto nazionale delle Poste, 8% massimo. Pertanto le tre conclusioni contrattuali non intervengono su una limitazione complessiva delle causali, ma applicano quanto previsto dalla L. 368. Una regolazione contrattuale che non sarebbe in grado di impedire un’estensione generalizzata dei contratti a termine
    Il contratto delle Attività Ferroviarie ha però introdotto una limitazione significativa del contratto a termine, e del lavoro interinale, escludendo quelle mansioni "che possono comportare i maggiori rischi per la circolazione e per l'incolumità del lavoratore". Questo è un criterio estremamente importante, considerando che la più alta frequenza d’infortuni si concentra nel lavoro precario.

    Una soluzione diversa da quanto prevede la L.368 è stata trovata nel contratto del Turismo. Qui, rispetto al tempo determinato, non solo si fa riferimento all' "autonomia contrattuale" delle parti, ma si fissa una percentuale massima del 20% per un elenco di causali praticamente onnicomprensivo, incluse quelle per le quali la legge vieta di apporre un termine.
    Per quanto riguarda il part-time, mentre il contratto delle Attività Ferroviarie è positivamente equilibrato, i contratti degli Alimentaristi e delle Poste introducono espressamente il lavoro supplementare anche per il part-time a termine, dimenticando fra l'altro, di riportare nel testo contrattuale che l'eventuale rifiuto del lavoratore non solo non costituisce giustificato motivo di licenziamento ma neanche "infrazione disciplinare" (L.61/2000). Una dimenticanza un po' grave visto che non casualmente il testo del nuovo decreto si riferisce ai soli estremi del licenziamento. A differenza di quanto prevede la legge, (sia quella attuale che quella futura), il contratto degli Alimentaristi introduce la possibilità che il lavoro supplementare possa superare le 40 ore settimanali, vale a dire configurarsi nei fatti come lavoro straordinario, espressamente vietato dalla legge per il part-time orizzontale.

    UN NUOVO CAMBIAMENTO DI ROTTA

    L'entrata in vigore del decreto applicativo della L.30 segna l'esaurimento della spinta propulsiva della svolta impressa da Sergio Cofferati alla Cgil. Per i settori moderati l'esistenza di un nuovo quadro legislativo sarà la giustificazione per tornare ad un orientamento della confederazione un po' più "ragionevole". Per coloro che invece hanno creduto ed investito nella svolta, è l'occasione per imprimere alla Cgil un nuovo cambiamento di rotta. Non basta più la linea di tenuta generale sui diritti, occorre che la Cgil, con le sue categorie, si dia una nuova linea contrattuale che superi definitivamente la stagione della concertazione; una linea in grado di ripartire dalla condizione di lavoro e che sappia impedire l'applicazione della legge 30, almeno nei suoi aspetti più pericolosi. E' più difficile di prima: occorre portare il conflitto generale dentro i luoghi di lavoro. La Fiom con la scelta di aprire centinaia di vertenze per la firma di pre-contratti, ha già scelto questa strada, una strada che oltre a tentare di recuperare un contratto nazionale decente per i metalmeccanici, cerca di strappare alla singole imprese la disponibilità preventiva a non applicare quanto introdotto dal decreto attuativo.
    Non è un obiettivo velleitario se è vera la valutazione della Cgil che vede nel decreto del governo soprattutto un manifesto ideologico del turbo-liberismo, più che la risposta una pressante esigenza di nuova flessibilità da parte delle imprese. Con il conflitto, metteremo le imprese in condizione di scegliere tra i loro interessi reali o le avventure ideologiche. Articolare il conflitto generale non è una scelta di ripiego, è la strada per battere Confindustria e Governo.

    Raffaello Renzacci
    Direttivo Nazionale CGIL

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