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Risoluta lotta di classe in Sudafrica

Dietro la vetrina dei Mondiali

(23 Agosto 2010)

Allarme rientrato per il bene dei Mondiali, con questo titolo un giornale borghese usciva nel luglio del 2009 quando, dopo più di una settimana di sciopero, circa 70.000 operai sudafricani ripresero a lavorare nei cantieri dei dieci stadi che avrebbero ospitato i Mondiali di calcio.

Tale generoso sciopero ad oltranza era stato intrapreso per ottenere un adeguamento del salario. Il Num, il sindacato dei minatori, tra i più importanti sindacati del paese, con molti iscritti anche fra gli edili, aveva chiesto un aumento del salario del 13%. Lo sciopero paralizzò per giorni i lavori nei dieci stadi in costruzione o in ristrutturazione, quelli nei cantieri per il treno rapido Gautrain-Johannesburg e nell’aeroporto di King Shasa, vicino Durban. Non sappiamo se alla fine quello firmato dai sindacati fu un buon accordo, ma siamo certi che i lavoratori sudafricani sono ben coscienti che solo la lotta di classe può migliorare o salvaguardare le loro condizioni.

È stata una lotta che ha fatto scuola. A pochi mesi dal Mondiale una nuova ondata di scioperi ha squarciato l’immagine patinata e la melensa retorica che in questa occasione dal Sudafrica sono arrivate al mondo intero. Un maestoso sciopero nel settore dei trasporti ha infatti nuovamente minacciato l’evento bloccandone, a pochi giorni dall’apertura, l’arrivo delle forniture. Quasi la totalità dei 54.000 lavoratori della società Transnet (società pubblica che ha la gestione dei porti, delle infrastrutture ferroviarie, degli oleodotti e partecipazioni anche nelle telecomunicazioni) hanno incrociato le braccia per diverse settimane e sono scesi in strada ritmando le parole “No 15%? No treni, no coppa del mondo!”.

I sindacati che appoggiavano questa robusta lotta erano il Satawu e lo Utatu.

Lo sciopero, iniziato il 10 maggio, era ad oltranza con interi porti paralizzati per settimane, ponti occupati dai lavoratori e manifestazioni di piazza numerose e partecipate con scontri con la polizia all’ordine del giorno. La lotta era indirizzata all’aumento del salario del 15% ma anche a migliori condizioni di lavoro.

Padroni, opinione pubblica, cioè borghese, e Banca centrale cercavano di far smettere lo sciopero dichiarando, calcolatrici alla mano, che le richieste dei sindacati erano troppo “esose”.

I padroni della Transfert proponevano un generosissimo 8%, continuando a pretendere che, con un’inflazione al 5,1%, non vi fossero presupposti reali per richiedere tanto. Niente da fare, gli operai non fecero un passo indietro fino a che, dopo circa due settimane di blocco totale, il fronte sindacale si divise: lo Utatu, forse il sindacato più rappresentativo, accettò l’ultima offerta della Transnet, salita all’ 11%; il Satawu invece proseguì la lotta, pur scendendo con la richiesta al 13%, invitando però alla mobilitazione e alla solidarietà anche i lavoratori non impiegati nel settore dei trasporti.

Così, con sorpresa e terrore dei padroni e dei loro servi, la lotta si andava allargando. Subito aderì il Psasa, dei dipendenti pubblici, invocando un simile trattamento anche per essi. Qualche giorno dopo sia la Prasa, che riunisce i dipendenti di Metrorail, società che fa viaggiare ogni giorno due milioni di sudafricani, sia il Hosptusa, una delle quattro sigle dei dipendenti della catena ospedaliera privata Netcare, aderirono allo sciopero, oramai divenuto generale, chiedendo per le loro categorie adeguamenti del salario.

In questo clima teso ma, come risulta dai resoconti, euforico per la classe operaia di questo travagliato paese, molti giovani operai oltre a sindacalizzarsi per la prima volta hanno conosciuto la gioia e la forza che solo la solidarietà dei loro fratelli di classe può dare, hanno capito da che parte sta il nuovo e democraticissimo Stato africano, raccogliendo la repressione degli apparati polizieschi non appena la loro organizzazione e rabbia sfociavano nelle strade.

La borghesia di questa nazione, a pochi giorni dal grande business del pallone ha davvero avuto paura di non poter contenere questa lotta. Ha infatti utilizzato tutte le sue armi, la repressione e la propaganda, facendo diffondere slogan interclassisti: “per la tutela del paese”, “per il bene della collettività”, “per un occasione mondiale che non possiamo perdere” etc. etc.

Il successivo 27 maggio il sindacato Satawu si è accordato con Transet per un aumento del 12% e la sospensione per un anno dei licenziamenti.

Le poche notizie che ci arrivano non ci fanno conoscere nei dettagli come si siano concluse le singole vertenze, e se siano definitivamente sopite. Quello che conta è la ritrovata combattività del proletariato sudafricano che per anni ha subito il capitalismo nella forma di apartheid ed ora lotta contro una faccia del capitale non meno spietata, la borghese ed interclassista democrazia.

Questa è appunto il peggior nemico per il proletariato, perché nasconde la reale sottomissione di classe. Contro la menzogna propagandata dai partiti di ogni colore, nessuna pace può esistere fra le classi e sotto qualunque regime la nostra prospettiva non cambia: guerra aperta alla borghesia sia essa bianca e vestita di nero fascista, sia oggi negra e vestita di bianco democratico.

L’apartheid e il razzismo sono stati strumenti utilizzati in Sudafrica dai capitalisti, allora prevalentemente bianchi, per sfruttare al meglio la forza lavoro del paese, prevalentemente negra. Oggi la democrazia serve, anche meglio e con minori “costi”, allo stesso identico scopo.

tratto da "Il Partito Comunista N.ro 341"

Partito Comunista Internazionale

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