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Per i tre operai della Fiat

Per i tre operai della Fiat

(25 Agosto 2010) Enzo Apicella
Melfi. La Fiat licenzia tre operai, il giudice del lavoro li reintegra, la Fiat li invita a rimanere a casa!

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Melfi. Proposta indecente. Gli operai si appellano a Napolitano

(24 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.dirittidistorti.it

Martedì 24 Agosto 2010 09:15

Di Alessandra Valentini - Melfi. Prima il licenziamento, poi la sentenza che decide per il reintegro immediato dei tre operai licenziati dalla Fiat, infine, alla vigilia del loro ritorno al lavoro (il 23 agosto), il telegramma dell’azienda torinese con la proposta indecente di non presentarsi al lavoro, anche se formalmente reintegrati al proprio posto di lavoro...

La Fiat di fatto non intende rispettare la sentenza del giudice del Lavoro, vuole aspettare il 6 ottobre, quando verrà discusso il ricorso. I lavoratori non ci stanno e ieri si sono recati a lavoro. Alle 14,00 Barozzino, Lamorte e Pignatelli si sono presentati allo stabilimento ma sono stati bloccati dalla vigilanza e hanno dovuto lasciare la fabbrica dopo due ore.
E proprio Giovanni Barozzino, in questo momento di forte tensione e difficoltà, si è rivolto al Presidente Napolitano: “'lancio un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano: non ci faccia vergognare di essere italiani. Vogliamo solo il nostro lavoro, come ha deciso il giudice". Tutti e tre in queste ore hanno inviato a Napolitano con questa importante lettera-appello, che riportiamo quasi integralmente: "Ill.mo Presidente - si legge nella missiva a firma di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte, Marco Pignatelli -, ci rivolgiamo a Lei, quale massima carica dello Stato e supremo garante della Costituzione, per sottoporre alla sua attenzione una vicenda, la cui eco da diversi giorni ha raggiunto tutti gli organi della stampa nazionale, che non lede soltanto i nostri diritti di cittadini e di lavoratori ma colpisce direttamente i diritti collettivi e generali degli operai e dello stesso sindacato a cui siamo iscritti. Siamo i tre operai, Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, iscritti alla Fiom-Cgil, licenziati dalla Fiat-Sata di Melfi in occasione di uno sciopero indetto unitariamente da tutte le sigle sindacali facenti parte della RSU aziendale. Per l'azienda, ci saremmo resi responsabili di un reato avendo deliberatamente ostruito il transito a dei carrelli (Agv) che servono la linea di produzione all'interno dello stabilimento. In verità, non vi è mai stato alcun blocco dei predetti carrelli da parte nostra e men che mai può ritenersi sussistente alcuna fattispecie delittuosa a nostro carico, così come comprovato dalle testimonianze di tutti i lavoratori presenti in occasione dello sciopero innanzi detto e da tutta la RSU unitaria. Non si tratta soltanto della nostra versione dei fatti, la quale potrebbe risultare viziata dalla carità di parte, ma di ciò che ha stabilito il Tribunale di Melfi, in funzione di Giudice del lavoro, adito dalla Fiom-Cgil ai sensi e per gli effetti dell'art.28 della legge 300 del 1970. In pratica, il magistrato ha riconosciuto l'antisindacalità della condotta posta in essere dalla Fiat-Sata, ordinandole conseguentemente di reintegrarci immediatamente nel nostro posto di lavoro. Tuttavia – prosegue l‘appello -, sebbene il decreto del Tribunale di Melfi, depositato in cancelleria in data 9 agosto 2010 a conclusione del giudizio recante il numero 435/2010 Rgl, per espressa previsione di legge, abbia immediata efficacia esecutiva e non sia revocabile fino alla conclusione del giudizio di opposizione, l'azienda in un primo momento ci ha comunicato la reintegra sul posto di lavoro e, successivamente, con un telegramma, ci ha dato notizia della sua volontà di non avvalersi delle nostre prestazioni lavorative. Oggi, alla ripresa del lavoro dopo le ferie estive, nel momento in cui ci siamo recati in azienda per riprendere regolarmente (come peraltro annunciato alla Fiat Sata) il nostro lavoro, quest'ultima ci ha comunicato che avremmo potuto avere accesso allo stabilimento unicamente al fine di svolgere le nostre prerogative sindacali ma intimandoci di sostare, durante il turno di lavoro, presso la saletta adibita alle attività sindacali ai sensi dell'art.27 dello Statuto dei diritti dei Lavoratori". Infine, "signor Presidente, per sentirci uomini e non parassiti di questa società vogliamo guadagnarci il pane come ogni padre di famiglia e non percepire la retribuzione senza lavorare. Questo non è mai stato un nostro costume, né come semplici operai né come delegati sindacali aziendali, avendo sempre svolto con diligenza e professionalità il nostro lavoro. La decisione della Fiat-Sata di non reintegrarci nel nostro posto di lavoro è una palese violazione dell'art.28 della legge 300/70 e della norma penale da esso richiamata. In uno Stato di diritto non dovrebbe essere neppure consentito di dichiarare a tutti (stampa compresa) di voler disattendere un provvedimento legalmente impartito dalla Autorità Giudiziaria con ciò mostrando disprezzo per la Costituzione e per le leggi civili e penali del nostro ordinamento giuridico. Ci rivolgiamo a Lei, Presidente, perchè richiami i protagonisti di questa vicenda al rispetto delle leggi e perchè nel suo ruolo di massima carica dello Stato sia da garanzia del rispetto della democrazia, della Costituzione e dello Stato di diritto in modo da ripristinare e garantire il libero esercizio dei diritti sindacali nonché dei diritti costituzionalmente riconosciuti a tutti, all'interno dello stabilimento Fiat Sata di Melfi. Signor Presidente, le chiediamo di farci sentire lavoratori, uomini e padri".
Intanto, ieri sera i legali della Fiom hanno presentato un esposto denuncia contro la Fiat-Sata, riportando quanto accaduto nello stabilimento dell'area industriale. "In particolare – ha sottolineato l'avvocato Lina Grosso - abbiamo evidenziato che l'azienda non ha ottemperato ad un decreto del giudice del lavoro impedendo il rientro sulle linee dei tre operai, e quindi ha commesso un reato di natura penale". In queste ore i legali della Fiom stanno valutando se far presentare i lavoratori al turno odierno. Per l’azienda "la decisione di non avvalersi della sola prestazione di attività lavorativa dei tre interessati - spiega una nota - , che costituisce prassi consolidata nelle cause di lavoro e che ha l'obiettivo di evitare ulteriori occasioni di lite tra le parti in causa, trova, nel caso specifico, ampia e giustificata motivazione nei comportamenti contestati che, in attesa del completarsi degli accertamenti processuali, si riflettono negativamente sul rapporto fiduciario fra azienda e lavoratori. Si tratta peraltro di comportamenti per i quali è in corso anche indagine penale da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Melfi".
Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, la Fiat "offende la dignità dei lavoratori e non fa neanche l'interesse dell'immagine dell'azienda. Con questo accanimento l'opinione pubblica si schiera con chi ha ragione anche se è più debole e non con chi usa la forza senza ragione". La posizione della Cgil viene ribadita da Susanna Camuso che chiede alla Fiat il rispetto della sentenza, “non c'è nessuno che possa esimersi dal rispettare una sentenza della magistratura con nessuna motivazione e quelle peraltro fornite in questa occasione dalla Fiat sono del tutto pretestuose”.
Ma la ricetta del reintegro formale, mantenendo il lavoratore a casa, non è una invenzione della Fiat, infatti già nel 2006 le Fs fecero la stessa proposta a Dante De Angelis, macchinista e Rls, licenziato due volte e due volte reintegrato al suo posto di lavoro. E proprio De Angelis è intervenuto sulla vicenda: “vorrei dire a Marchionne che il lavoro non serve esclusivamente per ricevere lo stipendio ma rappresenta un fondamentale diritto di cittadinanza, l'identità sociale e la dignità di una persona. A Giovanni, Antonio e Marco esprimo la vicinanza mia e quella dei ferrovieri, invitandoli a non desistere perché la loro battaglia riguarda molto da vicino tutti i lavoratori italiani e si pone a presidio della civiltà giuridica nel nostro Paese. Anche le FS – ricorda De Angelis - in occasione del mio primo licenziamento del 2006, hanno tentato di tenermi fuori dall'azienda garantendomi lo stipendio; una scorciatoia antidemocratica ed antisindacale molto insidiosa ma che con i compagni di lavoro abbiamo respinto con forza perché finalizzata a separare fisicamente i lavoratori tra loro e dalla realtà lavorativa e a neutralizzare la loro attività”.

24-8-10

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