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(17 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Abolire i padroni !

(28 Agosto 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa


Fra gli apprezzamenti di una platea di cattolici doc, quale può essere solo quella di 'Comunione e Liberazione' già avvezza agli applausi, di certo poco francescani, al ministro Tremonti (quello che Bersani vorrebbe a capo di un governo di transizione) che considera un “lusso” cercare di evitare che qualche operaio crepi o finisca maciullato fra gli ingranaggi di una macchina o voli giù da un’impalcatura traballante, il padrone Marchionne ha espresso con chiarezza il suo pensiero: «Non siamo più negli anni '60 e occorre abbandonare il modello di pensiero che vede una lotta fra capitale e lavoro e fra padroni e operai.» Occorre «un patto sociale per condividere gli impegni, le responsabilità e i sacrifici e per dare al Paese la possibilità di andare avanti.»

E’ il sogno di tutti i padroni. Il sogno di una società dove ognuno sappia stare al suo posto. L’operaio in fabbrica legato alla sua macchina (nel senso che è lui ad esserne un’appendice) per tutto il tempo imposto dai ritmi e dalle necessità della produzione … e il padrone in giro per convegni e dibattiti a distillare banalità che schiere di giornalisti pennivendoli pubblicizzeranno come profonde analisi economiche.

Basta con la lotta fra operai e padroni! Basta con il conflitto! Sacrifici proporzionalmente condivisi! Chi è più abituato a farne da sempre dia il maggior contributo in cambio di una “responsabilizzazione” maggiore, magari “concretizzata” dalla distribuzione di qualche azione svalutata che i Marchionne non riescono a collocare diversamente.
Il Paese (con la P maiuscola) deve andare avanti e bisogna che chi sta ai remi smetta di cazzeggiare e dia fondo a tutte le sue energie. I conti correnti nei paradisi fiscali rischiano di ridimensionarsi e bisogna rimpinguarli con iniezioni di nuovi profitti.
Abbandoniamo il modello di pensiero obsoleto degli anni ’60 e torniamo ... agli anni ’30: al buon sano corporativismo fascista, portatore di vagonate di profitti per i padroni della Patria (con la P maiuscola). Al confino per chi propaganda “la lotta fra le classi”.

Abolire il conflitto ? E’ il sogno di tutti i padroni e dei loro interessati sostenitori, ma è un’idea impraticabile prima ancora che reazionaria.
Si possono abolire, momentaneamente, le forme organizzate di quel conflitto. Sciogliere i partiti comunisti, vietare l’organizzazione sindacale, negare il diritto di sciopero. Ma il capitalista non può fare a meno della classe a lui antagonista, non può organizzare la sua attività produttiva in maniera NON conflittuale con chi lavora nella sua fabbrica.
Non può produrre senza operai (cosa che gli operai possono fare benissimo senza i Marchionne sul groppone) e non può nella sua “normale” attività NON entrare in conflitto con i LORO interessi e i LORO bisogni.

Non c’entra nulla un “modello di pensiero superato” e nemmeno la pervicace e “antinazionale” volontà distruttiva di qualche comunista isolato o di qualche sindacalista poco propenso al “dialogo” e alla comprensione del buon diritto della controparte.
Non sono le “idee” che generano il conflitto di classe, anche se è sul terreno della battaglia politica che quel conflitto si trasforma in coscienza organizzata e diventa una forza “costruttiva”.
Con buona pace di Marchionne, il conflitto è insito nell’organizzazione stessa del lavoro capitalistica, ne è parte integrante, così come era parte integrante della società schiavista l’odio del servo verso il padrone.

L’operaio ha tutto l’interesse (spesso il bisogno!) di lavorare di meno, con ritmi meno intensi, di non ammalarsi e perfino (pensate un po’) di portare a casa una fetta più consistente del frutto del SUO lavoro.
L’operaio spontaneamente – prima ancora che qualcuno gli spieghi scientificamente il suo ruolo nella produzione capitalistica – sente la sua condizione come una condizione “ingiusta”. Un'ingiustizia che brucia ancora di più di fronte all'arroganza di un benessere ostentato, senza pudore, dalle classi ricche di un paese che si fermerebbe di colpo se solo lui, e i suoi compagni, decidessero di incrociare le braccia.

Il padrone al contrario ha tutto l’interesse (il bisogno, se non vuole perire sotto le ganasce degli altri padroni concorrenti) a che il SUO operaio lavori di più, più intensamente, produca di più e a minor costo. Vede ogni minuto “rubato” alla produzione e alla valorizzazione del SUO capitale come un oltraggio imperdonabile, ogni azione in contrasto con gli interessi del SUO portafoglio come un “sabotaggio”.

Stanno qui – in maniera elementare – le origini NON eliminabili del conflitto sociale.

Abolirlo è possibile solo abolendo la parte inutile del processo produttivo, il capitalista, che non crea nessuna ricchezza e che ha un unico scopo: accrescere all’infinito il SUO capitale succhiando quotidianamente il sangue vivo dell’operaio che produce per se e per il resto del paese.
Abolire la lotta di classe senza eliminare la classe dominante vuol dire solo una cosa: condannare alla schiavitù perpetua la classe dominata.

Ma questo Marchionne lo sa benissimo. Così come lo sanno benissimo gli Ichino i Bonanni e gli Angeletti. Anche loro, in fondo, sono un prodotto – magari un po’ avariato – di quella lotta di classe che si affannano a negare.
Senza il conflitto sociale non ci sarebbe bisogno della loro opera di “mediazione” e corruzione delle coscienze. Non troverebbero nessun padrone disposto a pagarli e, loro malgrado, sarebbero costretti a svolgere un lavoro più onesto e onorevole. Chissà magari, spinti dal bisogno, finirebbero a fare i braccianti a Villa Literno o a Crotone.
E magari, visto che la realtà dello sfruttamento vissuta sulla propria pelle “educa” al conflitto più velocemente delle tante cazzate ascoltate nei convegni alla moda, correremmo perfino il rischio di trovarceli accanto … compagni di lotta.

Mario Gangarossa

28 agosto 2010

www.webalice.it/mario.gangarossa

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