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    Per una CGIL senza se e senza ma

    Documento del Coordinamento regionale di “Lavoro Società-Cambiare Rotta” del Piemonte al Seminario nazionale di Roma, 12-13 settembre 2003

    (22 Settembre 2003)

    Questo testo è il documento, assunto dal Coordinamento regionale allargato dell’Area, l’11 settembre scorso, sulla base delle scelte decise dall’assemblea regionale del 19 giugno scorso e delle osservazioni avanzate dai compagni/e nella riunione del coordinamento del 22 luglio sv. E’ un contributo alla discussione che si è avviata nell’Area Programmatica a livello nazionale, sulla situazione politico sindacale, che abbiamo proposto nella riunione seminariale nazionale di Lavoro Società del 12-13 settembre e che ha inciso positivamente sulla scelta di predisporre un documento preparatorio allo svolgimento dell’assemblea nazionale, prevista nei prossimi mesi. Il documento redatto dal Coordinamento nazionale di Lavoro Società-Cambiare Rotta, sarà discusso e approfondito, nella realtà piemontese, in specifiche assemblee di tutti i compagni e le compagne dell’Area, di Categoria e Camera del Lavoro.

    La scelta della guerra contro l’Iraq, praticata nonostante il grande ed articolato movimento per la pace e le contraddizioni apertesi tra le principali potenze imperialiste, ha ancora una volta messo in luce i profondi limiti e le debolezze della globalizzazione liberista. Mentre la guerra permanente si presenta come uno strumento ordinario nella gestione del potere mondiale, anche il Giappone ha superato i vincoli che impedivano una politica interventista, gli effetti che produce sono ben lontani dal portare a risoluzione problemi internazionali e garantire un mondo pacificato sotto il dominio delle leggi del mercato e del profitto.

    L’alternativa per l’Italia e per l’Europa non è tra la politica di Blair - totalmente complice e subalterna alle decisioni dell’impero USA - o quella di Chirac e Schroeder che, attraverso la creazione di una potenza militare europea, sembra tentata di porsi in relativa concorrenza con la politica estera statunitense. Ogni paese, ogni popolo e tutta l’Europa saranno chiamati, molto più che nel passato, a decidere se aderire a questa nuova politica di potenza militare o scegliere una collocazione pacifica e nettamente antimilitarista. Per quanto riguarda il nostro paese, occorre una mobilitazione permanente contro la guerra che sia in grado di scoraggiare sul nascere qualsiasi tentazione interventista e che porti al ritiro incondizionato di tutti i contingenti italiani sparsi per il mondo. La Cgil deve mobilitarsi a fianco del movimento dei Social Forum, per il pieno rispetto della Costituzione Italiana che destina alle nostre forze armate un ruolo esclusivamente difensivo, entro i confini del Paese.

    IL CONTESTO POLITICO ED ECONOMICO

    L’economia italiana, dopo un difficile 2002, che ha visto un aumento del PIL dello 0,4% pressoché nullo e un’inflazione rilevata del 2,7% (ben più bassa di quella reale) ancora rimarchevole rispetto alla media europea, ha conosciuto nel 2003 un forte rallentamento: -1,6% della produzione industriale nel mese di marzo (con un -9% dei beni durevoli e un -3,7% dei beni strumentali), sino alla forte caduta della produzione industriale del mese di maggio -7%, con tutti i riflessi negativi che questo potrà comportare sui livelli occupazionali del nostro paese.

    Diversi sono i settori produttivi in difficoltà: settore auto, tessile, siderurgia, informatica; così come importanti ristrutturazioni investono telecomunicazioni, banche, assicurazioni e poste.

    A questa situazione il padronato italiano risponde con il metodo tradizionale della riduzione dei costi. Invece di puntare sulla qualità di prodotto, su innovazione, investimenti produttivi, ricerca, formazione e sull’aumento dei redditi per favorire i consumi, rilancia la politica socialmente nefasta dei licenziamenti, mobilità, prepensionamenti, aumento dei ritmi, forte precarizzazione del lavoro e riduzione delle retribuzioni reali.

    Il Governo Berlusconi ha esercitato con estrema (per lui) coerenza, il ruolo di ampio e incondizionato sostegno agli interessi degli industriali nostrani. Dalla riforma fiscale che ha privilegiato gli alti redditi, al taglio dei finanziamenti agli enti locali e sanità, con conseguente rilancio delle privatizzazioni ed esternalizzazioni dei servizi pubblici, l’attacco alla Scuola pubblica, la controriforma previdenziale, le numerose leggi che prospettano una profonda revisione delle normative di salvaguardia su ambiente, salute e sicurezza, informazione, giustizia e conflitto di interessi, sono l’espressione di un tentativo di controrivoluzione liberista che modifichi, strutturalmente ed in senso autoritario, il profilo democratico del nostro paese.

    La nuova proposta di DPEF che ripropone tagli ai servizi pubblici, una previsione di crescita irrealistica del 2%, e un inflazione programmata per il 2004 del 1,7% (meno della metà di quella rilevata dall’ISTAT), inciderà pesantemente in negativo rispetto alle retribuzioni nei rinnovi contrattuali.

    Anche sul versante del mondo del lavoro, l’attacco alla legislazione vigente e ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, portato avanti dal Governo Berlusconi, si è concretizzato con la definizione del decreto attuativo della L.30, e l’intenzione di arrivare in tempi brevi all’approvazione della L. 848/bis sulla modifica dell’art.18.

    L’orientamento del centrodestra rispetto al mercato del lavoro appare chiaro: attraverso le nuove norme quali: la somministrazione di manodopera a tempo indeterminato, il lavoro a chiamata, la liberalizzazione degli appalti e la cessione di ramo di impresa, l’eliminazione della legge sull’intermediazione di manodopera, gli enti bilaterali e la certificazione, si vuole totalmente deregolamentare la contrattazione nei luoghi di lavoro, colpire la centralità del contratto nazionale di lavoro, ridefinire il ruolo e la funzione del sindacato nel nostro paese, da organismo di rappresentanza e di lotta dei lavoratori a struttura corporativa istituzionalizzata.

    L’ATTACCO ALLE PENSIONI

    La necessità di fare cassa da parte del Governo, per ridurre il deficit e recuperare risorse da dirottare alle imprese, ha determinato un nuovo rilevante attacco alla previdenza pubblica. L’attuale tenuta unitaria con CISL e UIL contro le varie opzioni che il centrodestra sta da tempo mettendo in campo: decontribuzione, aumento dell‘età pensionabile, trasferimento forzato del TFR alla previdenza complementare, contributivo per tutti ecc., non basta a rilanciare una reale iniziativa a difesa della previdenza pubblica e al diritto ad avere una pensione dignitosa.

    Più di 6 milioni di lavoratori e lavoratrici precari e atipici (25% della forza lavoro in Italia), sono di fatto oggi esclusi dalla possibilità di raggiungere il minimo contributivo o una pensione decente: situazione che prefigura nei prossimi anni un aumento significativo dei pensionati poveri (già oggi ben presenti nel nostro Paese) e un rilevante problema sociale da risolvere.

    In questo contesto diventa essenziale l’obiettivo che lo Stato garantisca con il sistema pubblico una pensione dignitosa per tutti.

    Appare essenziale oggi, anche attraverso la contribuzione figurativa e/o a politiche di sostegno al reddito, a carico della fiscalità generale, garantire una soglia accettabile di pensione per tutti, in particolare per i precari e gli atipici. Vi è la necessità di difendere la centralità della previdenza pubblica. Il 2002 è stato un anno estremamente negativo per i rendimenti dei fondi complementari: quelli “chiusi”, contrattuali, hanno perso il 7%; quelli “aperti”, delle banche e delle assicurazioni, sono scesi del 14%. Questi risultati pongono con forza la necessità, anche per la CGIL, di riconsiderare l’attuale scelta dei fondi di previdenza complementare. Così come appare importante sostenere la lotta per la rivalutazione automatica delle pensioni, per un effettivo recupero dell’aumento del costo della vita.

    FERMARE LE PRIVATIZZAZIONI

    E’ importante sviluppare un vero e proprio movimento contro il processo di smantellamento dello stato sociale e la politica delle privatizzazioni ed esternalizzazioni (appalti), superando i limiti e le profonde contraddizioni, che hanno in passato caratterizzato la linea della CGIL. Oggi il panorama è desolante: privatizzazione dei grandi servizi pubblici come trasporti, telecomunicazioni e poste; la scelta di trasformare le aziende pubbliche locali (energia, acqua, gas, rifiuti) in SPA; la riduzione dei finanziamenti statali perpetrata dal governo Berlusconi, come strumento di contenimento del deficit, che sta comportando la dismissione di servizi pubblici di grande rilevanza nei settori della Sanità, Assistenza, Previdenza, Scuola, con la messa in forse di diritti sociali primari.

    Con la costituzione delle SPA, l’obiettivo del raggiungimento dell’utile d’impresa va a discapito delle esigenze sociali.

    La politica delle privatizzazioni, con gli appalti al massimo ribasso, sta portando nei fatti ad un aumento dei costi per i cittadini che devono acquistare i servizi, ad una riduzione della qualità delle prestazioni ed un aumento della precarietà e dei diritti per settori sempre più ampi di lavoratrici e lavoratori.

    Va rilanciata con forza una politica di ricomposizione delle normative contrattuali, oggi assai differenziate, che attualmente regolamentano l’attività dei lavoratori pubblici e privati che operano congiuntamente nella gestione dei servizi della pubblica Amministrazione, a partire dal fatto che a parità di prestazione e professionalità, sia prevista uguale retribuzione.

    E’ pertanto importante che la CGIL ponga al centro della propria iniziativa politica la difesa e il miglioramento dello Stato Sociale ed il ruolo centrale e preminente che deve mantenere lo Stato nella salvaguardia dell’interesse generale, rispetto alle logiche di mercato. Questo a partire dalla messa in campo di una proposta di nuova politica fiscale, che colpisca le rendite, i profitti e i grandi patrimoni, atta a far recuperare risorse essenziali per la tenuta del welfare pubblico; e dalla ripresa di una concreta iniziativa sindacale a salvaguardia del diritto di sciopero dei dipendenti pubblici, che prospetti la revisione delle norme restrittive contenute nella Legge 146/90 con le ulteriori modifiche, che di fatto impediscono alla gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici di esercitare un diritto tutelato dalla Costituzione.

    Appare altresì prioritaria la messa in campo di una forte iniziativa contro la politica delle grandi opere rilanciata dal Governo Berlusconi (olimpiadi, treno ad alta velocità, ponte sullo stretto di Messina), per ciò che comporta: enorme impatto ambientale, sperpero rilevante di fondi, centralizzazione delle decisioni che esclude la volontà dei cittadini e delle comunità locali, alta incidenza degli infortuni sul lavoro. E’ importante che nei molti cantieri aperti la CGIL si faccia carico di una significativa iniziativa su prevenzione e sicurezza sul lavoro, specie nei subappalti, e di tutela dei lavoratori immigrati. Vi è inoltre la necessità di rilanciare la scelta e la pratica, degli investimenti infrastrutturali, a forte rilevanza sociale, fortemente condivisi a livello territoriale, finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e alla salvaguardia ambientale.

    La lotta contro il GATS (accordo generale per la commercializzazione dei servizi), promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), che dovrebbe sancire nel vertice che si terrà nei prossimi giorni a Cancun (Messico), la privatizzazione e mercificazione di interi settori pubblici essenziali (acqua. sanità, istruzione, previdenza...), è una scelta di fondo, che deve vedere la CGIL promuovere iniziative di approfondimento e mobilitazione sia a livello locale che internazionale.

    FIAT: IL FALLIMENTO PADRONALE

    Come è stato sottolineato da più parti, la crisi Fiat non rappresenta soltanto un gravissimo problema sociale e sindacale, é anche espressione emblematica del fallimento del capitalismo industriale italiano. Un capitalismo di regime, abituato a contare sugli aiuti e le protezioni del potere politico, e al tempo stesso arrogante e autoritario nei confronti dei lavoratori e del sindacato. La crisi Fiat è quindi crisi di un modello industriale fallimentare, incapace di misurarsi con quella stessa competizione di mercato che sul piano ideologico predica ai lavoratori.

    La crisi del più importante gruppo industriale italiano ripropone in modo drammatico i limiti del sistema produttivo del nostro paese: sempre più debole sul piano strutturale e dimensionale e tendenzialmente confinato a settori merceologici a basso contenuto tecnologico.

    A nostro avviso, l’iniziativa intrapresa dalla CGIL contro il declino produttivo del nostro paese, pur corretta nel sottolinearne i rischi economici e sociali, non ha ancora affrontato quello che riteniamo il nodo decisivo per rilanciare una possibilità di sviluppo e cioè la necessità di un intervento diretto del capitale pubblico in economia. Questo comporta una riflessione critica nella CGIL sui processi, tuttora in corso, di privatizzazione dei settori pubblici strategici e la necessità di invertire questa scelta.

    Nel caso specifico della Fiat, con un indebitamento reale che sfiora i 30 miliardi di euro, 60.000 miliardi di vecchie lire, tutte le soluzioni semplicemente affidate all’operare dei meccanismi di mercato e della concorrenza, porteranno o ad un drammatico fallimento o ad un ridimensionamento strategico del gruppo. In sostanza, non si può seriamente immaginare un recupero ed un rilancio della Fiat senza un intervento diretto di capitali pubblici nella proprietà, finalizzati all’estromissione della famiglia Agnelli, e dei suoi alleati, dal controllo societario. Non si tratta di riproporre il vecchio modello dell’industria di Stato, ma di pensare ad un’articolazione della presenza pubblica che permetta ai cittadini ed ai lavoratori di essere decisivi nella determinazione di scelte industriali che siano funzionali alle esigenze della società e non al profitto privato.

    In questo quadro, i problemi che si aprono sul futuro produttivo di Torino e del Piemonte sono di particolare drammaticità.

    La presenza Fiat nella nostra regione è andata via via riducendosi e oggi si pone in termini realistici, il rischio di una chiusura dello stabilimento di Mirafiori. Come a denunciato giustamente la FIOM a fine di quest’anno gli addetti di Mirafiori toccheranno quota 14.000, con un dimezzamento degli organici in soli 3 anni e un utilizzo degli impianti al disotto dell’attuale 40%. Il problema che si pone non è quello, tutto d’immagine, di mantenere in qualche modo aperto lo stabilimento di Mirafiori, magari riempiendolo di produzioni raccattate a destra e manca. La questione decisiva che si pone è se nella Torino del futuro vi sarà ancora una produzione di automobili oppure no. Per mantenere un polo automobilistico significativo e difendere i posti di lavoro, che sono Fiat ma anche indotto, non basta salvare qualche nucleo di cervelli (scelta che a tutt’oggi rischia di essere illusoria), occorre destinare a Mirafiori una parte importante della produzione dei nuovi modelli.

    Questa è la determinazione con cui la FIOM ha affrontato il problema del futuro Fiat a Torino e che riteniamo un discrimine decisivo per qualsiasi soluzione.

    UN MOVIMENTO PER ESTENDERE I DIRITTI

    L’esito negativo del voto del 15-16 giugno, ci pone la necessità di una riflessione non formale sulle motivazioni del risultato del referendum. Il mancato raggiungimento del quorum non riuscirà però ad arrestare l’ampio e articolato movimento che da ormai due anni è sceso in piazza per la difesa e l’allargamento dei diritti nel mondo del lavoro. Attraverso la promozione del referendum, siamo riusciti a tenere al centro del dibattito politico e sindacale i temi del lavoro e dei diritti e l’intreccio esistente tra la difesa dell’art. 18, l’estensione dei diritti a precari e atipici, la difesa di un’informazione libera ed obiettiva e la salvaguardia degli spazi democratici. La battaglia per l’articolo 18, mentre è stata in grado di coinvolgere buona parte della coscienza popolare e democratica del paese, non è riuscita a scuotere e mobilitare i settori sociali ripiegati sulla passività.

    E’ comunque da valorizzare il fatto che più di 10 milioni e mezzo di cittadini siano andati, aldilà delle scelte dei propri partiti, a votare (il precedente referendum promosso dai radicali sull’abolizione dell’art. 18 nel 2000 aveva visto la partecipazione di 9 milioni e trecentomila votanti) e che i 2/3 dell’elettorato del centrosinistra abbia votato SI: il Piemonte, seppur nel contesto negativo del voto, è stata una delle regioni, dopo Emilia-Romagna e Toscana, a riportare un risultati più significativi.

    Questo patrimonio di disponibilità e consenso rispetto alla lotta per l’estensione dei diritti, deve essere valorizzato nel prosieguo delle lotte sociali, contro il decreto attuativo della Legge 30 e le scelte del Governo di centrodestra.

    L’iniziativa su questi obiettivi, sarà nei prossimi mesi, per l’insieme delle forze della sinistra, elemento decisivo rispetto alla tenuta e al possibile ampliamento della propria base sociale e verifica concreta della volontà dì costruire una reale alternativa politico-programmatica alle scelte del centrodestra.

    Come Lavoro Società-Cambiare Rotta del Piemonte, riteniamo essenziale valorizzare l’esperienza positiva dei “Comitati per il SI”, che si sono costituiti in molti posti di lavoro e territori, proponendo ad essi di proseguire l’iniziativa nella lotta contro la precarietà e la legge 30.

    La complessità di questa battaglia presuppone una sua articolazione territoriale, per costruire un largo movimento popolare, insieme culturale e rivendicativo, che punti a mettere al bando dalle realtà locali il lavoro indecente. E’ possibile nei territori, mobilitare sindacati, rsu, forze politiche, social forum, parrocchie, disoccupati, circoli culturali, amministrazioni, studenti per espellere le forme di lavoro precario da imprese e enti pubblici e per ottenere assunzioni stabili? Pensiamo che sia possibile e necessario.

    Il tema immigrazione, deve rientrare a pieno titolo nella battaglia per i diritti, che la CGIL sta conducendo. A partire dal diritto alla mobilità a alla circolazione nel nostro Paese ed in Europa. La nostra organizzazione deve rilanciare l’iniziativa contro la legge Bossi-Fini, che diversifica ulteriormente la sfera dei diritti nel mondo del lavoro, mette sotto continuo ricatto i lavoratori immigrati, introducendo norme inaccettabili, che legano la permanenza sul territorio nazionale alla situazione occupazionale e incentivano nuove sacche di lavoro nero.

    La CGIL deve portare avanti con forza l’obiettivo della chiusura dei “centri di permanenza temporanea” vere e proprie prigioni per stranieri irregolari, che non hanno però commesso alcun reato, e rilanciare la richiesta del diritto di voto, di asilo e di cittadinanza per i cittadini e le cittadine immigrati/e nel nostro Paese. Vi è la necessità che la CGIL, superando limiti e ritardi interni, investa su questa problematica, maggiori risorse in strutture e personale, attraverso una più ampia responsabilizzazione dell’insieme dell’organizzazione.

    LA CONTRATTAZIONE NAZIONALE

    Siamo di fronte ad una vera e propria emergenza salariale. I dati dell’IRES CGIL sugli ultimi 10 anni, hanno messo in luce una forte perdita in Italia del potere d’acquisto delle retribuzioni, con un picco previsto nel 2003 di circa l’ 1% annuo, in presenza di una inflazione rilevata dall’Istat, bloccata al 2,7 % ed un aumento della produttività nel decennio dell’ 1,8 % medio annuo.

    Un dato che conferma l’analisi che abbiamo da tempo sostenuto, di un forte travaso di risorse dai redditi da lavoro ai profitti e alle rendite, che ha contribuito alla contrazione dei consumi nel nostro paese.

    Per noi, nell’ambito della difesa della centralità del Contratto Nazionale di Lavoro e i due livelli di contrattazione contro ogni ipotesi di contratti regionali, si pone la necessità di rilanciare l’iniziativa per significativi aumenti salariali, che facciano recuperare l’inflazione reale e ridistribuire l’aumento della produttività del lavoro che si è determinata. Si pone oggi con più forza l’esigenza di istituire un meccanismo automatico di recupero dell’aumento del costo della vita nel nostro Paese. Dobbiamo altresì saper rilanciare, nell’ambito del iniziativa contrattuale, la tematica del controllo sugli orari di lavoro e la loro riduzione soprattutto alla luce del decreto legislativo 66/2003 e punta ad introdurre una durata della prestazione oltre i limiti fisiologici ed una estesa flessibilità a discrezione delle imprese.

    Nei contratti nazionali rinnovati ( Ministeri, Parastato, Vetro, Ferrovie, Scuola, Alimentaristi, Poste, Turismo), dobbiamo rilevare una forte contraddizione rispetto agli orientamenti assunti dalla CGIL a livello confederale e agli obiettivi che come Lavoro Società abbiamo sostenuto. Da una parte, le rivendicazioni salariali, che hanno superato simbolicamente i limiti del 23 Luglio, non hanno trovato complessivamente riscontro nelle conclusioni delle vertenze contrattuali, dove non si è acquisita la copertura dall’inflazione reale e comunque si rimasti lontani dal recupero di quanto è stato perso dai salari negli ultimi 10 anni. Da un lato si è cercato (non sempre positivamente) di non recepire le nuove normative legislative di deregolamentazione, dall’altro non si è stati capaci di ottenere, in maniera significativa, percorsi che potessero stabilizzare il lavoro e limitare l’attuale estensione dei rapporti di lavoro precari. Così come, sul percorso democratico, dove in diversi casi non si è riusciti ad andare oltre il coinvolgimento dei soli iscritti CGIL, è complessivamente mancata, nel rapporto con CISL e UIL, la certezza del diritto dei lavoratori a votare piattaforme ed ipotesi di accordo.

    La vicenda del contratto separato dei metalmeccanici ripropone con forza il tema della democrazia nei luoghi di lavoro. Senza la garanzia che i contratti, per essere applicati, debbano essere votati in modo trasparente e verificabile, dai lavoratori interessati, la contrattazione diventa un puro simulacro, affidato a rappresentanze sindacali scelte dai padroni la cui funzione è quella di sottoscrivere le piattaforme delle controparti. Siccome questa è la teoria sulla rappresentanza declamata nel Libro Bianco di Maroni e nella Legge 30, diventa difficile riconquistare una reale autonomia contrattuale se non si trova una soluzione al problema democratico nei luoghi di lavoro. Non si può non vedere come l’accordo separato tra i metalmeccanici sia sicuramente servito a mettere in difficoltà la Fiom, ma anche a condizionare negativamente i tavoli contrattuali di tutte le altre categorie. La CGIL deve rilanciare tra i lavoratori e nel Paese la necessità di una legge sulla rappresentanza che attui quanto previsto dalla Costituzione e garantisca l’esigibilità del referendum sugli accordi sindacali. La CGIL si deve impegnare, in proprio, in una pratica di coinvolgimento democratico delle lavoratrici e dei lavoratori nelle scelte sindacali, in primo luogo sottoponendo al voto piattaforme ed accordi.

    CGIL: UNA NUOVA SVOLTA

    Se è vero che la legge 30 non è solo un’ulteriore provvedimento di precarizzazione ma un tentativo di mutare geneticamente il lavoro e la sua rappresentanza, la CGIL deve attrezzarsi a tutti i livelli per cercare di impedirne l’applicazione. In particolare, occorre neutralizzare fino al livello dei luoghi di lavoro i punti del decreto applicativo, che paiono più pericolosi: somministrazione di manodopera a tempo indeterminato, lavoro intermittente (a chiamata), liberalizzazione di appalti e cessione di ramo d’impresa, flessibilità unilaterale nel part-time, ruolo degli enti bilaterali, certificazione dei rapporti di lavoro, che frammentano ulteriormente il mondo del lavoro, cancellano i diritti delle persone, stravolgono la contrattazione, la centralità del contratto nazionale ed il ruolo del sindacato. Al di là della scelta contingente dell’accordo nazionale con CISL, UIL e Confindustria, su infrastrutture, ricerca, formazione e mezzogiorno, appare significativa la decisione del Direttivo Nazionale, su proposta di Guglielmo Epifani, di indire due ore di sciopero generale, da attuarsi nel mese di settembre, per proseguire nella lotta contro la Legge 30 e le altre scelte di politica sociale del Governo.

    Questa decisione che rafforza la difficile lotta della FIOM in difesa del contratto nazionale, rilancia la linea dell’opposizione alle leggi delega del governo, impegnando le categorie coinvolte dai rinnovi contrattuali a non firmare accordi che prevedano il recepimento della Legge 30.

    Sul piano contrattuale la FIOM, è oggi la categoria più esposta. Come Area appoggiamo fortemente la scelta dei metalmeccanici della CGIL, che dopo la sciagurata firma separata da parte di CISL e UIL, hanno deciso la prosecuzione dell’iniziativa contrattuale e la lotta contro la Legge 30, portando il conflitto nei singoli luoghi di lavoro, attraverso la scelta coordinata nazionalmente dei precontratti, sui punti più rilevanti della piattaforma nazionale.

    La legge 30, con i suoi nuovi principi in termini di diritto del lavoro, affossa formalmente, oltre che sul piano politico, tutta la strategia della concertazione e i presupposti dell’accordo del 23 luglio del 1993. L’orientamento dei sindacalisti moderati della CGIL che oggi ripropone una ripresa dell’iniziativa della nostra Confederazione proprio sulla politica concertativa, rischia di indebolire fortemente l’esigenza primaria di rilanciare la lotta contro i provvedimenti del Governo. Su questo piano non sarà più sufficiente la scelta, pur fondamentale, della mobilitazione generale in difesa dei diritti, ma la lotta dovrà proseguire nell’ambito delle politiche contrattuali - con la definizione di una nuova linea rivendicativa che superi concretamente la pratica della concertazione - e nel rilancio del conflitto nei luoghi di lavoro.

    La scelta dell’articolazione della lotta generale non è un ripiego, ma un percorso obbligato per ricostruire risultati contrattuali che non siano menomati dalle brutte leggi del governo, dalle tendenze separatiste di CISL e UIL o dai fantasmi della concertazione.

    IL RUOLO DI LAVORO SOCIETA’ - CAMBIARE ROTTA

    Come Lavoro Società - Cambiare Rotta, non possiamo non rilevare l’importanza delle scelte che la CGIL ha assunto negli ultimi due anni: dalle grandi mobilitazioni e iniziative di sciopero in difesa dell’art.l8 e per l’allargamento dei diritti e delle tutele nel mondo del lavoro, alla decisione di schierarsi a sostegno del SI nel Referendum del 15-16 giugno.

    Una posizione condivisa che fa riferimento agli orientamenti di fondo che hanno caratterizzato il documento unitario congressuale di Rimini.

    Questa scelta si inserisce in un difficile contesto, dove all’attacco da parte del Governo e Confindustria, si sovrappone il problematico rapporto unitario con CISL e UIL, e sul fronte interno, emerge nel gruppo dirigente una critica da posizioni moderate, mentre si aprono contraddizioni nella pratica sindacale.

    Come Lavoro Società - Cambiare Rotta, dobbiamo sostenere e rafforzare l’iniziativa della CGIL, attraverso una nostra significativa partecipazione a tutte le scadenze di discussione politica, di elaborazione generale e di organizzazione delle scadenze di mobilitazione e di lotta, che si renderanno necessarie nei prossimi mesi. Questo può essere portato avanti, salvaguardando soprattutto la nostra autonoma capacità di proposta e l’identità programmatica e organizzativa dell’Area, essenziali per determinare un’ulteriore evoluzione delle scelte politiche e degli obiettivi di fondo della CGIL, ai vali livelli.

    Il livello di unità interna all’organizzazione, si determinerà concretamente, rispetto alle scelte più avanzate che la CGIL sarà capace di assumere nel prossimo periodo, in particolare rispetto alla necessità di definire una piattaforma complessiva (stato sociale, redistribuzione del reddito nazionale, fisco, sviluppo e occupazione, ambiente…), che abbandoni definitivamente il riferimento alla concertazione e al 23 luglio e fornisca un quadro generale di sostegno alla ripresa della contrattazione nei luoghi di lavoro.

    Questi i punti che riteniamo dirimenti:

    - rilanciare a livello contrattuale e sui posti di lavoro, una nuova linea rivendicativa e l’iniziativa contro le leggi sul mercato del lavoro, proposte dal Governo, superando definitivamente la logica della concertazione;

    - articolare anche a livello territoriale, la lotta contro l’applicazione della Legge 30, per puntare a mettere al bando dalle realtà locali, pubbliche e private, il lavoro non tutelato;

    - superamento effettivo della politica dei redditi. I passi in avanti registrati al Congresso di Rimini, sulla critica al 23 luglio, si misurano oggi con risultati salariali, che in ogni caso, non sono in grado di rappresentare uno spostamento significativo del reddito nazionale a favore del lavoro. Su questo tema sarà necessario prevedere nei prossimi mesi, una approfondito momento di verifica a livello di categoria e confederale.

    - un no chiaro alle privatizzazioni. La scelta positiva della CGIL di schierarsi contro le politiche del WTO a Cancun, si scontra con ritardi e contraddizioni, rispetto alla necessità di sostenere una forte iniziativa contro le privatizzazioni e le esternalizzazioni di settori produttivi e servizi pubblici nel nostro Paese;

    - priorità a una legge sulla rappresentanza che garantisca il diritto delle lavoratrici e dei lavoratori al voto senza deroghe e l’esigibilità del referendum sugli accordi sindacali.

    Esiste ancora nel corpo della CGIL, uno scarto tra la linea di mobilitazione sui diritti decisa dal gruppo dirigente nazionale e le pratiche di gestione a livello intermedio e di base, che denotano la difficoltà di molti dirigenti di categoria, territoriali e delegati, a superare concretamente la cultura della concertazione e la logica della priorità dell’accordo unitario, rispetto agli obiettivi di fondo dell’organizzazione.

    In questo contesto è essenziale valorizzare la presenza ed il ruolo dell’insieme della sinistra sindacale nella CGIL ed il rapporto prioritario che Lavoro Società - Cambiare Rotta deve continuare a sviluppare con la FIOM, decisivo per la tenuta e il rilancio della linea di lotta e di mobilitazione.

    Coordinamento regionale di “Lavoro Società-Cambiare Rotta” del Piemonte

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