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La croce di Bagnasco

(5 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

Il 30 giugno scorso la Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo si è riunita per decidere sul ricorso dell’Italia e di altri dieci paesi (Romania, Armenia, Russia, Bulgaria, Lituania, Grecia, Cipro, Malta, San Marino, Monaco), su 47 che compongono il Consiglio d’Europa, contro la sentenza che vietava l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. La decisione si avrà fra sei mesi ma in Italia il presidente della CEI Angelo Bagnasco ha già dato il là alla campagna pro croce.
Per una discussione ampia sul tema, e sulle contrapposte opinioni, rimando agli articoli postati un anno fa sul blog (Via crucis I, Via crucis II, Via crucis III), e agli interventi di Chiara Saraceno e “Noi siamo Chiesa” postati oggi in “Segnalazioni&citazioni”. Qui mi limito solo a tre ordini di riflessioni.

Il crocifisso come segno di “identità nazionale”
La prima riguarda l’argomento con cui gli avvocati degli stati ricorrenti hanno difeso l’esposizione del crocifisso, in quanto “espressione di un sentimento popolare che è alla base dell’identità nazionale” (Nicola Lettieri) per cui “L’Italia senza crocefisso non sarebbe più l’Italia” (Joseph Weiler).

Difensori imbarazzanti... Un tale argomento non solo ripugna, o dovrebbe, a chi considera il crocifisso un simbolo religioso di valore universale, ma è facilmente confutabile se si considera che, come osserva l'ex presidente della federazione delle chiese evangeliche in Italia, Gianni Long: “Il crocifisso nei locali pubblici è una tradizione recente per lo Stato italiano. Risale agli anni del fascismo e doveva essere esposto insieme ai ritratti del re e del duce (strano che questa parte sia stata dimenticata!)”. Non è dunque neppure segno della “identità nazionale” italiana, che si è costituita prima e senza esposizione del crocifisso; è un segno “aggiunto” dopo e in epoca molto poco felice, benché in sintonia con le ambizioni del guitto da balera oggi al governo.

Il crocifisso, garanzia di libertà religiosa

Difensori imbarazzanti. Il consigliere provinciale romano Pdl Pier Paolo Zaccai, coinvolto in un festino a base di coca e trans, distribuisce crocifissi contro la decisione di rimuoverli dalle scuole. La seconda riflessione riguarda la tesi di Bagnasco, largamente pubblicizzata da i media, secondo cui “riconoscere la legittimità e il valore dell'esposizione del crocifisso significa garantire il rispetto della libertà religiosa” e della “sana” laicità.
Si tratta di un’affermazione platealmente insensata. E’ evidente, infatti, che esporre in luoghi di tutti il simbolo di una religione particolare, non garantisce ma contraddice la laicità e la libertà religiosa, che significa eguali diritti di “esporre” le proprie idee. Ma se si considera che per Bagnasco l’unica libertà religiosa importante è quella dei cattolici, e “sanamente” laico è lo stato che la tutela, si capirà che “c’è del metodo in questa follia”.
Qualche esempio. Nel 2000, anno del Giubileo, Fisichella chiese che fosse vietato il Gay pride a Roma perché offendeva i cattolici, sostenendo che lo stato laico “ha il dovere di salvaguardare i diritti della maggioranza”. Quasi negli stessi giorni “L’Osservatore Romano” difendeva il diritto dei cristiani del Sokoto (stato della Nigeria) a non sottostare a leggi “confessionali” (islamiche), anche se il 90% era musulmano, perché violava la libertà religiosa, “in dispregio della laicità sancita dalla costituzione federale” (S. Della Torre, Errare e perseverare, in Il cattolicesimo reale, p. 251).
Si conferma ancora una volta che i cattolici, con i più disparati espedienti dialettici, cercano di negare agli altri come pretesa indebita quel che rivendicano per sé come diritto inalienabile.

Difensori imbarazzanti Il crocifisso, “segno condiviso di una identità aperta al dialogo”
Ugualmente insensata è l’altra affermazione di Bagnasco, sempre a proposito del crocifisso. La sua esposizione, secondo il presidente della CEI, “non si traduce in una imposizione e non ha valore di esclusione, ma esprime una tradizione che tutti conoscono e riconoscono nel suo alto valore spirituale, e come segno di una identità aperta al dialogo con ogni uomo di buona volontà, di sostegno a favore di bisognosi e dei sofferenti senza distinzione di fede, etnia, nazionalità”.
Dunque, poiché il crocifisso è simbolo di una tradizione di tolleranza, dialogo, amore, riconosciuta da tutti, che non si impone a nessuno e nessuno esclude…si può imporre l’esposizione del crocifisso nei luoghi di tutti e ad esclusione dei simboli delle idee o religioni altrui…
Si tratta di una affermazione non solo “autocontradditoria” ma insolente nel momento in cui Bagnasco presenta come riconosciuto da tutti il significato che al crocifisso attribuisce lui. Anche questo, del resto, è tipico dei cattolici: ritenere che debba essere vero per tutti ciò che è vero per loro.
Forse l’idea che tutti condividono (o dovrebbero...) la loro fede, serve ai cattolici per autoconvincersi di quanto stentano essi stessi a credere. Sicuramente, genera una radicale intolleranza. Inoltre, nello specifico del crocifisso, è anche un’affermazione storicamente infondata.

Crocifissi da combattimento

Già il 27 ottobre 312, quando ancora il culto cristiano era vietato, alla vigilia della decisiva battaglia contro Massenzio, Costantino disse di aver visto sfavillare in cielo una croce con la scritta “In hoc signo vinces”. Subito decise che il giorno dopo, accanto all’aquila romana, avrebbe sventolato il vessillo con la croce. In nome della croce, cui dimostrò poco dopo riconoscenza concedendo libertà di culto ai cristiani (e qualche anno più tardi solo a loro), i suoi soldati uccisero e vinsero. Alla prima uscita pubblica, la croce non appare dunque come il “segno di una identità aperta al dialogo” ma come un'arma da combattimento. E tale rimase per molti secoli, per certi aspetti fino ai giorni nostri.

La croce dei franchi, cui fu aggiunta in epoca carolingia la croce

Così dovette sembrare ai sassoni la croce che ornava la corona di Carlo Magno. Il quale, dopo averli sconfitti, uccise chi non si convertiva alla religione di Cristo.

Lo stesso vale per gli albigesi, massacrati dall’esercito papale al grido “Avanti, avanti, valenti soldati di Cristo!”. O per gli arabi, agli ebrei e gli stessi cristiani morti durante le otto crociate (si stimano a circa venti milioni le vittime complessive), ma confortati da S. Bernardo per il quale: “Subire o portare la morte per il Cristo non è mai un crimine ma è ragione di gloria”.

Seguirono le guerre, con la croce sui vessilli, dell’esercito pontificio contro gli altri stati italiani, delle potenze cattoliche contro i protestanti, della “cristianità” contro i turchi a Lepanto. Seguì la conquista delle Americhe, in cui la croce fu usata per marcare il territorio. Ancora nel 1992 Giovanni Paolo II in visita a Santo Domingo e al faro di Colombo lo rivendicò commosso, senza neppure accorgersi di celebrare così la colonizzazione: “Siamo riuniti di fronte a questo Faro di Colombo, che con la sua forma a croce vuole simbolizzare la Croce di Cristo piantata su questa terra nel 1492”.

I conquistadores sbarcano e piantano la croce

E’ una conquista che continua anche oggi, letto per letto, cercando di far baciare il crocifisso a ogni moribondo.

L'allora generale dei cappellani militari Bagnasco fra i suoi soldati

Anche il “segno della croce” ha continuato ad essere usato per benedire le insegne e i vessilli da combattimento, i gagliardetti fascisti e le bandiere patrie. "Signore Gesù, tu che hai tanto amato l'Italia nostra", recitava una preghiera dei soldati italiani del primo Novecento, "Benedici la nostra bandiera in mezzo alla quale splende pure una Croce e fà che proceda ovunque rispettata e gloriosa". E la presenza benedicente della croce è assicurata ancora oggi ai soldati dai cappellani militari, di cui fu generale, prima di diventare presidente CEI, il generale Bagnasco.

Crocifissi da rogo Un frate porta a una strega incatenata i "conforti" della fede

Né “aperto al dialogo” dovette parere il crocifisso a quanti “confessati e accompagnati al suplitio uno per uno, furono tutti scannati e squartati” come avvenne per i valdesi di Calabria secondo il racconto di due devoti gesuiti che provvidero alle loro anime. Neppure dovette parere agli eretici garanzia di libertà religiosa la croce che campeggiava nella camera dei tormenti dove dal XIII secolo venivano sottoposti a tortura; o portata in processione negli autodafé. O quella che li accompagnava al patibolo o benediva la mazzolatura con squarto, usata nello Stato della Chiesa fino al 1826, meno di cinquant’anni prima della fine del potere temporale.
Patibolo, rogo e tortura furono la sorte di centinaia di migliaia di “streghe”, eretici, sodomiti e adulteri, detenuti politici o comuni, europei o indi, “senza distinzione”, come dice con involontario umorismo Bagnasco, “di fede, etnia, nazionalità”.

rogo di indio sodomita

www.cattolicesimo-reale.it

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