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Iraq

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(12 Agosto 2010) Enzo Apicella
Dopo numerosi rinvii, sembra che gli Stati Uniti rispetteranno i tempi previsti per il ritiro delle truppe dall’Iraq

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    Iraq : il ritiro incerto delle truppe Usa

    (7 Settembre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.forumpalestina.org

    di Robert Dreyfuss
    Innanzitutto le buone notizie riguardanti il discorso del presidente Obama sul ritiro dall'Iraq : ha affermato che il ruolo militare attivo degli USA in Iraq è finito e che gli iracheni d'ora in poi "saranno responsabili della sicurezza del loro paese." Ha dichiarato che "tutte le truppe americane lasceranno il paese entro la fine dell'anno prossimo." E ancora, ha promesso che le truppe americane cominceranno a lasciare anche l'Afghanistan, nel luglio prossimo. Questo è più o meno tutto. Adesso le brutte notizie.

    Ciò che più preoccupa è che Obama ha affrontato il discorso della guerra in Iraq come se si trattasse di una divergenza tattica di poco conto, piuttosto che di una differenza fondamentale tra due punti di vista inconciliabili. "Ho ben presente che la guerra in Iraq è stata una questione controversa a casa", ha assicurato. "E' ora di voltare pagina".

    Per sottolineare questo punto, ha menzionato di aver telefonato all'ex presidente George W. Bush prima di presentare il suo discorso, anche se, grazie a Dio, ci ha risparmiato i dettagli della conversazione.

    Va da sé che l'invasione ingiustificabile dell'Iraq da parte degli Stati uniti nel 2003 è stata palesemente una guerra criminale di aggressione, il ché rende la questione molto più che solo "controversa".

    Centinaia di migliaia di iracheni sono morti senza ragione e molte migliaia ancora probabilmente moriranno mentre la politica interna irachena, drammaticamente divisa, si fronteggerà con la forza per i prossimi cinque o dieci anni. Milioni di bambini iracheni hanno subito traumi a un punto di non ritorno.

    Entrando in Iraq, gli Stati uniti hanno alienato i propri amici, hanno indebolito le proprie alleanze, hanno reso più audaci i loro avversari, hanno rovinato la propria reputazione, hanno sperperato mille miliardi di dollari, hanno subito decine di migliaia di morti e feriti, hanno completamente fallito nella missione di diffondere la democrazia e la libertà nella regione, hanno notevolmente rafforzato la posizione strategica dell'Iran in Medio Oriente e nel Golfo Persico, e in fine hanno devastato una nazione, frantumando la sua economia, le sue istituzioni statali, e il suo tessuto sociale a tal punto che ci vorranno almeno due generazioni per sanare i danni. Niente di questo sembra essere venuto in mente al Presidente Obama, desideroso di voltare questa sanguinosa pagina.

    Quasi ugualmente preoccupante è stato il suo riferimento poco convinto all'elogiato incremento delle truppe di Bush. Ormai su molti dei media appartenenti al mainstream, è diventato parte del discorso dominante affermare che l'incremento di truppe "abbia funzionato", che l'aumento di 30.000 soldati al "fronte" nel gennaio del 2007 abbia portato ad un grande successo.

    Ecco i fatti: all'inizio del 2006 molti repubblicani sapevano che la guerra in Iraq era un disastro e volevano andarsene prima che gli elettori portassero il loro sdegno per Bush, Cheney e compagnia alle urne nel 2006 e nel 2008. L'Iraq Study Group, guidato dall'ex segretario di stato James Baker e dall'ex parlamentare Lee Hamilton, è stato fondato per elaborare una exit strategy, cosa che hanno fatto, proponendo un calendario di un anno entro la fine del quale ritirare le truppe. Ma l'aumento delle truppe ha prolungato la guerra di altri tre anni di sangue e combattimenti, mentre sarebbe potuta finire alla fine del 2007 o, al più tardi, all'inizio del 2008.

    E nemmeno è riuscito ad attenuare la crisi. La diminuzione della violenza, per quanto scarsa sia stata, ha avuto luogo per due motivi interconnessi: innanzitutto perché i leader delle tribù sunnite si sono alleati per combattere Al Qaeda e gli altri estremisti; secondariamente perché l'Iran ha preso la decisione strategica di frenare le milizie sciite, di sospendere la fornitura degli ordigni artigianali e di altre armi ai suoi alleati sciiti, e di convincere Muqtada al-Sadr e gli altri leader delle milizie sciite a ritirarsi, cosa che hanno fatto.

    Lo stesso accordo che Obama ha citato nel suo discorso, che detta il ritiro completo delle forze USA entro la fine del 2011, è stato il risultato di un patto fra gli Stati Uniti e l'Iraq siglato molto prima dell'elezione di Obama, e l'unico motivo per cui ha retto è perché l'Iran, che in un primo momento si era opposto al disegno, ad un certo punto ha acconsentito.

    Tehran nel 2008 ha convinto i suoi numerosi amici e alleati nella coalizione guidata dal Primo Ministro Maliki ad appoggiare l'accordo sul ritiro, in modo di far venire meno l'influenza americana nell'area, e in questo hanno avuto un discreto successo.

    Tehran ha anche svolto il ruolo di intermediario nel precario cessate il fuoco fra Maliki e Sadr nel 2007, e si è impegnato, anche se con esiti non perfetti, a rafforzare i suoi legami con le varie fazioni sciite e curde che dominano la politica irachena. A causa della sua prossimità geografica, l'Iran continuerà ad esercitare una forza gravitazionale nei confronti dell'Iraq, che non ha più un vero esercito per difendersi dal suo più forte vicino. Il ritiro delle truppe USA dall'Iraq - tranne i 50.000 soldati non esattamente disarmati che rimarranno - segnala solo una fase successiva nel declino dell'influenza americana in Iraq.

    Ciò che non ha menzionato Obama è che i prossimi sedici mesi saranno la vera prova della sua sincerità riguardo il ritiro.

    In primo luogo, la tendenza centrifuga delle politiche irachene potrebbero lacerare il paese ancora una volta, facendolo precipitare nuovamente nella guerra civile mentre le forze USA diminuiscono, e questo metterebbe in patria una considerevole pressione su Obama per rallentare il ritiro o fare marcia indietro.

    In secondo luogo, l'Iran ha molte carte da giocare a sua disposizione, e se i rapporti USA-Iran peggioreranno ancora - nonostante la ripresa del dialogo fra l'Iran e le grandi potenze mondiali che dovrebbe avere luogo questo mese - può utilizzare la sua influenza in Iraq per farne un inferno per gli Stati uniti.

    E in fine, i neocon e i fautori della guerra, gli scomodi sostenitori dell'invasione illegale dell'Iraq, a cui Obama rifiuta di opporsi a livello politico, stanno avanzando l'argomento per cui gli Stati uniti dovrebbero star in Iraq a lungo. Come indicato nell'osceno editoriale di Paul Wolfowitz nel New York Times di giovedì scorso, in cui oltre a comparare l'Iraq alla Sud Corea, suggerisce che decine di migliaia di soldati americani dovrebbero rimanere in Iraq indefinitamente. I neocon vogliono che Obama giustifichi la loro vergognosa decisione di entrare in guerra contro l'Iraq per preservare ed estendere il ruolo militare americano nell'area per gli anni a venire. Nell'analogia di Wolfowitz, l'Iran gioca la parte della Nord Corea (e la Cina "rossa"), e non vorrebbero altro che sfruttare il caos che permane in Iraq per giustificare una presenza americana sul modello sudcoreano.

    Purtroppo, nonostante le parole di Obama promettano il ritiro delle forze USA dall'Iraq per la fine del 2011, si troverà sotto un'enorme pressione per spingerlo a rinnegare quella promessa. E c'è ben poco motivo per credere che Obama non si arrenderà alla quella pressione, in particolare se la situazione in Iraq degenererà in una guerra civile nel 2011.

    Robert Dreyfuss è redattore e giornalista per la rivista "The Nation", e l'autore di Devil's Game: How the United States Helped Unleash Fundamentalist Islam (Metropolitan).

    (Fonte:NenaNews)

    www.forumpalestina.org

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