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Oscar Romero

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    Trenta anni dopo Allende, Kirchner, Lula y Chávez

    di Pablo Rieznik (dirigente del Partido Obrero d'Argentina)

    (26 Settembre 2003)

    Con il titolo qui sopra, il giornale Le Monde Diplomatique ricorda l’anniversario del “golpe” pinochetista ed il suicidio del ex presidente cileno, l'11 settembre 1973. L’editoriale (dell’edizione argentina, ndt) celebra il fallito tentativo di Allende di “portare avanti una transizione pacifica e istituzionale al socialismo”, anche se senza tralasciare di riconoscere che i supposti suoi successori (Lula, Chavez) del presente hanno fatto atto di fede capitalista. Tuttavia, come sappiamo Kirchner, Lula, Chavez rappresentano una versione progressista che ha in comune con l’allendismo la rivendicazione di un cambiamento dentro il quadro “legale e costituzionale” stabilito dal capitalismo. Così “il sogno di Allende è possibile che con il tempo vada a incontrare la dura e complessa realtà attuale”.

    Se così fosse, avremmo non un sogno ma un incubo. Ciò dimostra anche che coloro che dicono ogni giorno che è necessaria la memoria sembrano i primi ad essersi scordato tutto il passato! Perché trenta anni fa, la morte di Allende segnalò che la pretesa di voler trasformare la società “rispetando la legge" (borghese) è molto di più di un’ilusione o di una scusa senza senso: è la politica della sconfitta, che apre le porte della controrivoluzione e del fascismo.

    Non si tratta di un problema di “diritto”. La “legge” è un eufemismo che copre l’apparato e gli strumenti fisici del dominio capitalista. Per accedere al governo, dopo aver vinto l’elezioni del 4 settembre 1970, Allende firmò lo “Statuto di Garanzie” con le destre. In questo documento (non previsto dalla “legge” o dalle Costituzione!) Unidad Popular si comprometteva a collocare la sua amministrazione sotto controllo dei “poteri legali” dominati dalle stesse destre (parlamento e potere giudiziario), a sostenere il monopolio delle armi dell’Esercito e a rispettare la verticalità di comando, e a garantire la proprietà dei mezzi di comunicazione ed educativi in mani alla borghesia e alla Chiesa.

    Durante tutta la sua gestione, Allende dimostrò fedeltà non al compito “socialista” che si prefiggeva, ma allo Statuto, che non era altro che una dichiarazione di principi del mantenimento dell'ordine politico degli sfruttatori. E così quando i lavoratori e i contadini radicalizzarono la loro azione diretta, occuparono le fabbriche e le terre e formarono, nel 1972, organi di potere (cordones, consejos comunales), Allende convocò al governo… i militari, formò un gabinetto civico-militare e decretò conferendo alle forze armate il diritto di requisire le armi in mani ai lavoratori e contadini che si difendevano dalle formazioni para- fasciste.

    Oggi, trenta anni dopo, non sarebbe opportuno ricordare, per esempio, che è stato lo stesso Allende a nominare Comandante in capo del Esercito a Augusto Pinochet, e che il 9 settembre lo chiamò per discutere i piani su un eventuale “golpe militare”, 48 ore prima che lo stesso Pinochet comandasse il massacro? Tutto mentre ai lavoratori e ai contadini nessuno diceva cosa fare, e venivano disarmati in tutti i sensi di fronte alla reazione fascista. Anche Pierre Kalfon arriva a riconoscerlo: “Tutta la scommessa del governo Allende era consistita nell’uso della legalità borghese… senza ricorrere ai fucili, senza armare il popolo. Così che quando si è scatenata la bufera ed il Palazzo della Moneda fu bombardato, l’insieme della sinistra cilena si trovò sprovveduta e la tragedia fu totale. E' stato un si salvi chi può generalizzato”. Il finale tragico dello stesso Allende non fece altro che coprire con il suo sacrificio personale la criminale politica che portò alla barbarie di Pinochet.

    Certo, oggi Le Monde Diplomatique non chiede mica il socialismo. Il rispetto delle istituzioni della borghesia – si chiede- ci consentirà almeno un capitalismo autonomo e decente? Quelli che rivendicavano il socialismo nazionale nel passato ora sono nelle trincee del capitalismo nazionale. Ma la sconfitta della “terza via” del nazionalismo borghese è ancora precedente a quella dell’esperienza cilena, e le prove ci sono lungo tutta la storia recente dell’America Latina. Le borghesie nazionali, interessate a contenere lo sfruttamento imperialista, finiscono sempre nel campo della controrivoluzione quando hanno paura di essere scavalcate dall’azione indipendente dei lavoratori. Allende nel ’73, come il governo peronista nel ’76, non è stato abbattuto per essere “socialista” o “ nazionale”, ma per la incapacità di porre fine all'insurrezione popolare.

    Non è una novità che il bilancio di una tragedia dia posto a un’enorme involuzione politica. Coloro che consegnarono il movimento operaio cileno alla carneficina sono arrivati alla conclusione che le loro concessioni alle destre erano insufficienti. Questo è stato il bilancio dello stalinismo cileno, e anche di tutta la direzione del Partito Socialista di Allende. I suoi simpatizzanti europei immaginarono allora il “compromesso storico” con le destre: il Partito Comunista Italiano aprì la strada delle alleanze strategiche (con la DC, che era la base sociale del pinocetismo in Cile) con le “forze popolari” , ed abbiamo avuto le esperienze dei governi di sinistra “neoliberale” in Spagna e Francia. In America Latina, oggi, c’e Lula come allievo del FMI, alla testa degli “eredi” allendisti del XXI secolo. Siamo passati così dal socialismo degradato alla condizione di “utopia” alla degradazione utopica: un capitalismo nazionale, accordandosi con Bush ed il FMI, tutto nel rispetto dell’istituzioni. Quelle della borghesia. Purtroppo i popoli hanno pagato care le “terze vie” e le strade originali” che non hanno portato da nessuna parte. Nel ’73 e nel 76, hanno portato alla brutalità del genocidio. E più che mai necessario superare politicamente la propria storia: è necessaria un’organizzazione indipendente dei lavoratori, per il loro Stato e il loro governo, per il socialismo.

    Pablo Rieznik
    Partido Obrero d'Argentina

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