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Università Ca' Foscari: un nuovo corso?

(27 Ottobre 2009)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.culturainlotta.altervista.org


UNIVERSITA' CA' FOSCARI: UN NUOVO CORSO?

A fine novembre 2009 l’A.T.I. composta da Guerriero Coop. A.r.l + Prodest di Milano assumerà la gestione del servizio in outsourcing delle portinerie dell’Università Ca’ Foscari di Venezia grazie alla sentenza favorevole del Consiglio di Stato del gennaio 2009. Ai lavoratori, impiegati da diversi anni nel cantiere e professionalizzati sul campo dall’Ateneo stesso, vengono proposte dai nuovi datori di lavoro condizioni lavorative ed economiche schiavili.

Tutto ciò è addebitabile alla mancanza di coraggio politico da parte dell’amministrazione universitaria la quale, anziché rescindere il contratto per la gestione del servizio, rifondendo del mancato introito il consorzio milanese, decide di lavarsene le mani malgrado la non ottemperanza di quest’ultimo delle disposizioni contrattuali che imporrebbero l’applicazione del CCNL multi servizi. La situazione a Ca’ Foscari è resa ancora più difficile dal subentro del nuovo Rettore e del suo staff amministrativo che si trova a rispondere di una situazione pregressa, lasciata volutamente in eredità dal direttore amministrativo che se ne va in pensione e dal precedente rettore uscenti entrambi il 31 ottobre 2009.

In questa tragica concomitanza di eventi, il coraggio di resistere all’assalto imprenditoriale, volto ad abbassare il costo del lavoro in tutta l’area veneziana, lo stanno dimostrando i lavoratori che resteranno a casa poiché si rifiutano di firmare un contratto che prevede l’aumento delle ore settimanali da 40 a 45, ma pagate 40 per effetto del lavoro discontinuo imposto dal consorzio milanese stesso. Il salario mensile, a seguito di questa tipologia contrattuale, che si avvale di un regio decreto del 1923 in materia di discontinuità, si aggirerebbe attorno alle 600 €. Risulta impossibile ai dipendenti aderire ad una simile proposta di ingaggio che non terrebbe conto delle spese minime di sussistenza del singolo individuo e meno che meno della sua prole, dato che il 90% del cantiere è al femminile.

Ma accettare questa forma di assunzione significherebbe anche innescare uno sciagurato precedente per la provincia di Venezia. Questa intollerabile stortura contrattuale (l’orario discontinuo) rischia di estendersi a tutti gli appalti, dai Musei Civici, alla Biennale, ai lavoratori delle Cooperative dei Cinema, ai custodi e agli operatori degli spazi comunali e, non ultimo, al settore delle pulizie.

L’amministrazione universitaria anziché ergersi a baluardo etico di fronte il pericoloso dilagare di modalità di ingaggio, dove le vittime sacrificali sono sempre le categorie più deboli economicamente, abdica a questo suo ruolo anteponendo convenienze personali, che diventano solo in seconda battuta istituzionali, alla difesa della dignità dei lavoratori.

La cultura, il terreno nel quale l’università trova ragione d’essere, è la capacità di far progredire valori di uguaglianza, dignità e giustizia, di porre condizioni per una migliore qualità della vita e della salvaguardia dei diritti. Per questo l’ente pubblico è chiamato ad assolvere al ruolo di garante sui variegati aspetti del sociale, esso non può farsi latore di logiche meramente speculative e di mercato.

La politica degli enti committenti, oggi giorno, anziché contrastare la deriva del caporalato (questo è il sistema adottato dalle cooperative) è sempre più sovente quella di avallare gare d’appalto al massimo ribasso, che consentano ai padroni di turno di imporre ai lavoratori condizioni peggiorative. Il denaro speso dagli enti pubblici con le esternalizzazioni dei servizi non porta certamente al risparmio, ma serve solo a rimpinguare le tasche agli amici degli amici di turno.

I lavoratori delle portinerie dell’università, come quelli dei musei o di altri comparti costerebbero certamente di meno se fossero assunti direttamente dai vari enti appaltanti. Per questo appoggiare la lotta dei lavoratori delle portinerie dell’università, che si rifiutano di firmare un contratto da fame, significa lottare per la dignità e per i diritti, a fronte di una situazione sociale in cui pur di avere un lavoro si è disposti ad accettare qualsiasi forma di vessazione.

Coordinamento dei Lavoratori della Cultura in Lotta

www.culturainlotta.altervista.org

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