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Lavoratori a dignità intermittente: discontinuità lavorativa e terziarizzazione

(3 Gennaio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.culturainlotta.altervista.org


LAVORATORI A DIGNITA' INTERMITTENTE: DISCONTINUITA' LAVORATIVA E TERZIARIZZAZIONE

La pressione esercitata dalla classe imprenditrice del Paese sui lavoratori delle fasce più deboli (e non solo) conta oggi, oltre alle varie forme atipiche di occupazione previste dalla legge 30/2003 – vero serbatoio di forza lavoro a basso costo – la maggiorazione dell’orario settimanale con un abbattimento ulteriore sullo stipendio mensile per effetto della discontinuità lavorativa. Un meccanismo pericoloso, questo, che si avvale di un regio decreto del 1923 per aumentare il ricatto occupazionale e tenere a bada i dipendenti di numerose cooperative e consortili dove la sofferenza degli operai ha raggiunto da tempo livelli intollerabili.

La situazione di precarietà cui è sottoposta la classe lavoratrice e la continua emorragia dei diritti legati al mondo del lavoro appare grave. Il dolore di chi si sente in balia dei giochi di potere economico-politici dei somministratori di precariato è difficilmente sedabile con interventi sindacal-analgesici.
Si costruisce per mezzo della discontinuità una sottoclasse di operai costretti ad aderire, per la difficoltà a trovare occupazione anche a tempo determinato, a un regime contrattuale schiavile e di becero caporalato perfettamente legalizzato e, talvolta, incontrovertibile al tavolo delle trattative sindacali.

Entrando nel merito, il Regio decreto 06.12.1923, n. 2657 stabilisce una serie di occupazioni per le quali l’operaio che non sia impiegato costantemente nello svolgimento delle sue mansioni, soggetto suo malgrado a tempi di attesa da ritenersi improduttivi, vada remunerato considerando tali pause affatto estranee alla sua giornata lavorativa e di conseguenza espunte dal computo salariale. Ciò nonostante egli è pur sempre a disposizione del datore di lavoro e può benissimo essere richiamato all’attività in qualsiasi momento in virtù della specificità della professione stessa.
Facciamo un esempio. Alla voce 3 della tabella a cui afferiscono le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia alle quali non è applicabile la limitazione dell'orario sancita dall'art. 1 del R.D.L. 15 marzo 1923, n. 692 e successivamente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 21 dicembre 1923, n. 299, troviamo la categoria dei Portinai.
Il lavoro del portinaio (trattiamo qui quello di condominio momentaneamente), un tempo residente presso lo stabile per il quale prestava servizio, consisteva, e consiste, nel dare informazioni ai visitatori più eventuali attività definite accessorie, ma già allora indispensabili per una fattiva cooperazione con i condomini. Nella sua prestazione erano, e sono riscontrabili dei tempi morti entro i quali nessuno bussava o bussa alla sua porta per ottenere delucidazioni in merito agli inquilini e alla loro locazione entro l’edificio, il che giustificherebbe, secondo il regio decreto, un adeguamento salariale al ribasso a fronte di un numero di ore lavorate maggiore rispetto a quelle di un qualsiasi lavoratore a tipologia continua inquadrato allo stesso livello contrattuale. La spiegazione per tale trattamento va ricercata nelle spese per l’alloggio, condominiali o quant’altro dalle quali egli era ed è esentato (ma forse oggi viene a cadere quest’ultimo diritto). Va altresì posta attenzione sul fatto che l’attività interessava in passato (ora tali tipologie occupazionali, grazie all’intervento della tecnologia: campanelli elettrici, citofoni, videocitofoni, etc., è in estinzione) l’eventuale famiglia del titolare. Questo gli permetteva di usufruire dei tempi morti in piena autonomia. L’operatore poteva riposarsi senza recare nocumento all’attività che nel frattempo veniva garantita da un altro membro del nucleo familiare. In poche parole egli viveva sul posto di lavoro e gestiva la sua vita in base alle mansioni che di volta in volta era chiamato a svolgere.
La categoria però, come tutti sanno, annovera anche coloro che stanno a presidio non armato degli accessi di enti pubblici o privati ed è proprio in questa forma che li ritroviamo più frequentemente ai nostri giorni.
Col tempo tale occupazione ha subito cambiamenti di non poco conto, cambiamenti che richiedono adesso un ampliamento delle mansioni e maggiori competenze, talvolta di carattere tecnico-informatico. Il portinaio ora si reca sul posto di lavoro, vi rimane per l’intero arco della giornata lavorativa e fa quindi rientro a casa ultimato il turno. La sicurezza degli stabili è garantita, durante il periodo della sua assenza, da sistemi d’allarme e/o da ditte per la vigilanza notturna. La sua attività, nei fatti, è un’estensione di mansionario rispetto alla originaria tipologia discontinua soggetta al R.D.L. 06/12/1923, n. 2657, ma non vi è analogia con quella categoria occupazionale se non nel titolo.
È lecito – ci chiediamo in qualità di Coordinamento – considerare un dipendente che svolga queste mansioni al giorno d’oggi come un lavoratore discontinuo sulla scorta di un regio decreto, stilato a fronte di situazioni tramontate? Quali sarebbero i suoi tempi d’attesa se la pause attualmente fanno parte integrante della sua stessa prestazione lavorativa? E come potremmo eventualmente quantificarle?
Queste non sono domande di poco peso allorquando le risposte dei datori di lavoro si riassumono in un impossibile tentativo di estensione analogica proibito per legge.
Il caso del servizio esternalizzato di portierato all’università Ca’ Foscari di Venezia è emblematico della discrasia tra legislazione e realtà lavorativa. La ditta subentrata a seguito di una sentenza del Consiglio di Stato che ha rigettato la primaria valutazione di offerta anomala (eccesso di ribasso) opposta dall’Ateneo, giustifica il contenimento spesa proposto applicando la discontinuità.
Ma il servizio, come lo intende l’ente committente e in virtù di quanto sopra esposto è proprio di semplice portierato? Le mansioni cosiddette accessorie (nella sentenza del CdS) sono liminali al mansionario? Vediamo da vicino.
Il front office annovera tra i suoi compiti una quantità di operazioni che esorbitano dalle originarie prestazioni intese dal regio decreto. Chi sta in portineria, oltre alla sorveglianza non armata degli ingressi, effettua tra le altre cose:

apertura e chiusura della sede (svolta anche con l’ausilio del computer), custodia delle chiavi degli accessi e controllo dei medesimi, degli uffici dei laboratori, comunicazione scritta alla referente di polo (quindi direttamente all’Università) degli utenti che non abbiano chiuso luci, riscaldamento e altro come previsto dalla normativa antispreco energetico e come specificamente richiesto dall’amministrazione centrale, gestione del registro presenze dei professori a contratto (ossia segnalare chi viene a richiedere la chiave per lo studio e relativa segnalazione della permanenza in esso). Gestione del registro delle consegne del materiale multimediale, indicazione dell’ubicazione di uffici e laboratori della sede e delle altre strutture didattiche e scientifiche dell’Ateneo, rilascio di informazioni all’utenza studentesca, ai docenti e al personale interno qualora richiesto. Segnalazione di guasti al manutentore per un rapido intervento. Gestione dell’allarme. Consegna di dispense agli studenti o informativa varia lasciata dai docenti in portineria. Custodia di registri delle prove d’esame in portineria (registri cartacei quando ancora in uso). Trascrizione su agenda delle prenotazione delle Sale adibite a conferenze e/o altre attività (ed eventuale segnalazione di cambiamenti se comunicati dai docenti al front office alla responsabile di polo).

Inoltre:

Servizio di telefonia effettuato nello stesso locale della portineria. Fa uso di fotocopiatrici, telefax e computer (per fornire informazioni all’utenza, stampare avvisi e creazione di tabelle dove vengono riportate le attività svolte durante l’anno nelle aule gestite dalla portineria). Gestione di un account di posta elettronica per comunicazioni con la referente di polo.
Consegna, ricevimento, distribuzione e prelevamento presso l’ufficio postale, anche con trasporto tramite mezzi di proprietà dell’Ateneo, di corrispondenza e plichi da/a vettori autorizzati. Smistamento della posta ai vari dipartimenti facenti parte dell’università e delle relative biblioteche e della posta interna in uscita. Consegna alla banca consorziata con l’Ateneo di modulistica e distinte di pagamento da far timbrare. Consegna di documentazione urgente o prelievo della stessa da/a Ca’ Foscari quando richiesto dalla referente di polo.
Allestimento e ripristino di aule, di sale da riunione con movimento di mobilia. Pulizia delle lavagne e dei cancellini delle aule e distribuzione di pennarelli e cancellini.
Interventi sulle attrezzature di supporto all’attività didattica (conferenziale o seminariale) quali: Rack multimediale, lavagne luminose, diaproiettori, videoproiettori, microfoni a filo e radiomicrofoni, diffusori acustici amplificati (qualora dovessero essere richiesti oltre quelli fissi in dotazione presso l’aula).
Supporto informatico e tecnico: assistenza ai docenti o a persone esterne che tengano conferenze con indicazioni relative a dotazioni, modalità di collegamento, stato di funzionamento delle apparecchiature. Trasporto, predisposizione all’utilizzo e connessione delle medesime.
Manutenzione ed esercizio: Custodia delle chiavi dei mobili Rack, delle apparecchiature lasciate in portineria dal personale docente e non, verifica preventiva o periodica della funzionalità degli impianti e dei microfoni. Gestione delle batterie ricaricabili dei radiomicrofoni, con sostituzione delle batterie esauste e comunicazione per eventuali ricambi alla responsabile di polo. Conservazione di materiali di scorta (cavi e batterie). Verifica in loco del malfunzionamento o guasto con identificazione delle possibili soluzioni e cause. Pronto intervento di piccola manutenzione per il ripristino di apparecchiature di base. Segnalazione dei guasti non risolvibili tramite le procedure in uso.
Gestione delle bacheche.

E per finire:

Trasporti interni e talvolta esterni (se richiesto dalla responsabile di polo) di materiale fino ad un peso massimo di 30 Kg.

Ebbene, a parere del datore di lavoro, forte del regio decreto del 1923, nonché della sentenza del CdS tutte le sopracitate attività sono di puro contorno a quella di guardiania delle sede di dislocamento dell’operatore. Il parere contrario espresso dall’ispettorato del lavoro di Venezia non è stato accolto perché puramente indicativo e purtroppo cadente dopo quanto sentenziato.
Secondo un’ottica totalmente distorta, ogniqualvolta vi sia una pausa tra una di queste attività, il dipendente è a riposo e pertanto non retribuibile. Perciò si può imporgli di lavorare 45 ore settimanali, anziché 40 quale un pari grado contrattuale (secondo CCNL multi servizi) e retribuirlo come ne lavorasse 40 effettive.
Di conseguenza lo straordinario scatterebbe alla quarantaseiesima ora.
Viene da chiedersi se siamo in uno Stato di diritto o se l’introduzione della discontinuità nel pacchetto Biagi assecondi una precisa volontà politica di risparmio sul costo del lavoro.
La cosa non termina qui perché se la mansione di guardiania, una sorta di portierato ridotto ai minimi termini nell’ottica imprenditoriale, risulta discontinua, lo sono anche gli accessori; e la somma delle pause non produce la paralisi del lavoro, anzi ne fortifica la quantità e la qualità di prestazione: più elementi di discontinuità formano la continuità, poichè risulta impossibile per la stessa persona trovarsi in luoghi diversi, anche all’interno dello stesso edificio, a svolgere mansioni direttamente riconducibili alle volontà dell’ente committente (cfr. mansionario) o del datore. Se i tempi morti fossero sensibili, allora il dipendente potrebbe ritenersi autorizzato a gestire lo spazio discontinuo a suo piacimento (si veda quanto scritto sopra sui portinai di condominio), ma il lavoro, per come è configurato dispone l’opposto; infatti basta una semplice telefonata alla quale egli debba rispondere o una richiesta di informazioni per spezzare in maniera del tutto casuale, dato che gli eventi non sono controllabili, il presunto stacco lavorativo. Il dipendente dunque è da considerarsi sempre all’opera perché tra i suoi doveri esiste quello della reperibilità sul posto di lavoro cioè di essere sempre a disposizione per varie ed eventuali.
A garantirlo è la definizione di orario di lavoro riformulata con d.lgs. n. 66/2003, art. 1, comma 2, lett. a che stabilisce che l’orario di lavoro, per l’appunto, è qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni. Se poniamo attenzione alla seconda parte della proposizione ci rendiamo conto che il portinaio, come l’abbiamo inteso sopra, è sempre in attività, il fatto stesso che il controllo degli accessi è costante lo dichiara.
Di stortura in stortura scopriamo che la proposta contrattuale risulta anche in piena violazione dell’istituto del part time di cui i lavoratori esternalizzati del sevizio di portierato a Ca’ Foscari beneficiano per oltre il 95%. Il datore, l’ATI Guerriero – Prodest pur di rispettare l’art. 7 del capitolato speciale d’appalto, che sussume l’art. 4 CCNL multiservizi, i quali prevedono l’assunzione in toto dei lavoratori, ha spalmato le ore a tutti i dipendenti riconducendo la loro prestazione unilateralmente a un full time fittizio senza la possibilità di astenersi dal servizio supplementare come altresì sancito dagli artt. 30 e 31 del CCNL medesimo. Cambiati i divisori e la percentuale di part time lo stipendio viene decurtato in maniera sensibile. Ma l’abominio contrattuale si raggiunge non appena si rimarca alla consortile anche la violazione della discontinuità tanto voluta, perché la legge non ne prevede l’applicabilità sui lavoratori parzializzati. Il disegno si completa così: assumere tutti, ma stravolgere il regime contrattuale esistente per poi decurtare il salario (che ricordiamolo è già sotto la soglia della povertà).
Le distorsioni contrattuali proseguono, ma limitando il nostro discorso alla pericolosità del discontinuo, che i lavoratori impegnati nella lotta per il riconoscimento delle loro tutele d’ingaggio intendono non far passare in città e provincia, invertendo una triste tendenza dilagata in tantissime realtà italiane, sarà bene ricordare che l’art. 4 del CCNL multiservizi, un articolo a difesa dell’occupazione in caso di cessazione d’appalto è stato aggirato dalla proponente rapporto di lavoro, adducendone l’adempimento, non secondo il comma a (cessazione d’appalto a parità di termini), bensì riferendosi alla lettera b in cui sono previsti modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali… Di nuovo si palesa una cattiva condotta poiché la ditta subentrante al momento dell’assunzione è tenuta ad informare sia l’ente committente, sia le OO.SS. di tale modalità d’ingaggio, ma non sussistendo, nel caso in esame, motivo per un decurtamento del personale a fronte di una mancata riduzione di sedi presso le quali assegnare la manodopera, si pone al di fuori delle direttive in materia.
Davanti a tutto ciò i 52 dipendenti dall’appalto cessante, che pur in extremis hanno aderito al contratto, salvo poi riservarsi d’impugnarlo davanti al giudice del lavoro, sono stati licenziati e la ditta ha provveduto a reclutare soltanto una trentina di persone, sicuramente più malleabili e disposte a subire le conseguenze di un impiego a tipologia discontinua.
Di chi la responsabilità? Della ditta e della Sentenza del CdS (che tra l’altro si pronuncia solo in materia amministrativa e non giuslavorista)? Della disattenzione sindacale? O dell’Ente committente radicato in una politica che ha abdicato dal suo ruolo di garante dei diritti della collettività?
Dal primo dicembre si è aperta una vertenza sindacale a Venezia, una vertenza di forte contrapposizione verso l’Università che avrebbe dovuto dar corso immediato alle pratiche risolutorie (agli effetti una rescissione) per il mancato rispetto del capitolato d’appalto.
Sul versante dell’occupazione, invece, i lavoratori del comparto multiservizi e loro affini (pensiamo alla realtà museale, a quella espositiva cittadina, alla cultura insomma), stanno contrastando il concetto di discontinuità lavorativa, consci che l’ATI Guerriero – Prodest sia solo una testa d’ariete determinata a sfondare un mercato che, al momento, nel territorio, seppur con molti limiti è garante del lavoro secondo i vari CCNL.
Immaginiamo per un istante cosa accadrebbe se una simile ridefinizione dell’impiego si radicasse in città: la concorrenza tra le cooperative, le agenzie interinali, le consortili diverrebbe spietata, tutti a caccia di personale da spremere e ricattare ancor più di quanto capita ogni giorno. I giovani, questa categoria tanto cara ai politici sedotti dallo scranno amministrativo, sarebbero i primi a risentirne perché l’occupazione legata alla cultura a Venezia è mandata avanti proprio dalle braccia di migliaia di studenti, e non in cerca di prima occupazione.
Musei Civici, Biennale, Centro Culturale Candiani, Cinema comunali, Palazzo Grassi, Punta della Dogana, Fondazione Guggenheim, Querini Stampalia, Biblioteche civiche, portinerie IUAV, Mostra del Cinema e altro sono in linea con la politica di contenimento della spesa, per questo il personale è gestito da privati. Puntualmente si scarica sui precari il peso del funzionamento dell’indotto. Questi lavoratori si vedono, non solo subordinati, ma spesso cedono al ricatto di fornire prestazioni lavorative eccedenti rispetto al CCNL di settore. La loro retribuzione è talvolta svincolata da quanto previsto dai minimi tabellari e l’inquadramento professionale non congruo alle mansioni svolte. La discontinuità si abbatterebbe riducendo di non poco gli introiti dei prestanti servizio che oltretutto si troverebbero nella disgraziata situazione di combattersi tra di loro per mantenere il posto.
Fare il guardasala, per esempio, o lavorare in una biglietteria sarebbe una vera iattura perché le pause che intercorrono tra un visitatore e un altro allo sportello o la momentanea assenza di ospiti in una sala espositiva cadrebbe sotto l’egida del regio decreto con le disastrose conseguenze sopra prospettate.

Fermare la discontinuità lavorativa, dunque, è un atto di responsabilità politica che i lavoratori in primis devono assumersi per progettare una qualità del rapporto di lavoro che non sia totalmente a loro svantaggio. Dopo le esternalizzazioni e la somministrazione di precariato, la classe dirigente vorrebbe garantirsi una massa di Beoti pronti a qualsiasi sacrificio pur di lavorare. La dignità dei lavoratori non funziona ad intermittenza, per tanto sarà bene ricordarlo a chi presume di poter interpretare il difficile mondo del lavoro come se giocasse al Monopoli. Il Coordinamento dei Lavoratori della Cultura in Lotta esorta tutti gli operatori del settore a contrastare con forza la discontinuità e a vigilare affinché nelle imminenti trattative sindacali per i vari cambi o rinnovi d’appalto non vi sia nessuno pronto a cambiare surrettiziamente le regole a proprio tornaconto. La battaglia contro l’applicazione del Regio decreto è un primo passo, ma molto importante per dire basta alle esternalizzazioni!

- Leggi il Regio Decreto 06.12.1923 n°2657

Coordinamento dei Lavoratori della cultura in Lotta

La manifestazione provinciale del multiservice del 21 Dicembre e il presidio dei lavoratori a Ca' Foscari del 22 sono passati inosservati dalla stampa locale (come mai?). Pubblichiamo quindi un documento affinchè si faccia chiarezza su quanto è successo e sta succedendo in università e nell'intero comparto della cultura a Venezia.

www.culturainlotta.altervista.org

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