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Fiducia

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(29 Settembre 2010) Enzo Apicella
Il governo Berlusconi oggi chiederà la fiducia alla Camera, contando sull'appoggio dei parlamentari che hanno cambiato schieramento

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    Grazie compagno Fini!

    (9 Settembre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.campoantimperialista.it

    Giovedì 09 Settembre 2010 09:57
    Le sinistre scippate del vessillo e dell’alibi dell’antiberlusconismo

    Il discorso di Fini a Mirabello segna forse un tornante decisivo nella crisi politico-istituzionale italiana. Editorialisti e commentatori di varia parrocchia, dopo aver passato al setaccio quanto Fini ha detto, si alambiccano nell'immaginare cosa accadrà alla tanto amata Legislatura, azzardano ipotesi sulle probabilità che si vada o meno ad elezioni anticipate. Quasi tutti convergono nel dire che il governo Berlusconi è oramai virtuale, e quindi sanciscono che il berlusconismo abbia imboccato il viale del tramonto. Perde apparentemente quota (anche tenendo conto dei desiderata di Napolitano e quello di tutti, ma proprio di tutti i capibastone confindustriali) l'eventualità di elezioni anticipate - che solo la Lega sbraita, a parole, di preferire -, a vantaggio di un’ammucchiata la quale, con la scusa di cambiare la legge elettorale per votare in "modo democratico", avrà invece presumibilmente come sua missione lo scopo esattamente opposto: evitare le elezioni (che tutte le frazioni della casta politica temono poiché sanno che l'astensionismo di massa crescerà) e salvare la Legislatura, appunto, per evitare la bancarotta del traballanate capitalismo italiano (così come chiedono ..i mercati).

    Nessuno prova a chiedersi, nella fretta di derubricare il berlusco-leghismo - espressione di un composito e sordido blocco sociale frutto di una putrefazione nazionale destinata ad incancrenirsi - se quest’ultimo, eventualmente rimosso con l'ennesimo ribaltone, non sia destinato a secernere qualcosa di peggio, se cioè esso, battuto sul terreno politico-isituzionale e virtualmente decapitato, non sia destinato a risorgere come movimento reazionario di massa, quantomeno nelle regioni da cui per larga parte dipende il futuro del paese.

    Non è di questo tuttavia che vogliamo parlare quanto, appunto, dello sconquasso politico che il nuovo posizionamento della fronda finiana produce di riflesso nel campo formalmente avversario. Cosa resta infatti, se provassimo a estrarne il succo, del discorso di Fini? Quale il senso politico più pregnante? In poche parole è ufficialmente nata, per di più con la benedizione del grande capitalismo (e non solo quello italiano), una destra politica “liberale” che non solo è contro Berlusconi, ma che si è assunta il compito di eliminarlo finalmente dalla ribalta politica.

    Quante possibilità avrà questo ennesimo sforzo della borghesia italiana di dotarsi di un “partito liberale di massa” lo vedremo nei prossimi anni. Ricordiamo di passata che, fatta salva la parentesi giolittiana, tutti questi tentativi sono abortiti, falliti sempre a causa dell’asprissimo scontro sociale e di classe, di fronte al quale il “liberalismo all’“amatriciana” ha mostrato tutta la sua inconsistenza. Falliti perché, nei momenti cruciali, la borghesia ha preferito gettarsi tra le braccia di qualche salvatore della patria (Mussolini) e, dopo la caduta del fascismo, di accettare la tutela combinata della Santa Chiesa e del profano Zio Sam. E si badi che questa meschina storia si è ripetuta con la decomposizione della Prima Repubblica quando, con l’ausilio determinante delle sinistre, il capitalismo italiano si è posto sotto la pesantissima tutela euro-carolingia.

    Ma torniamo a noi, al perché, chiunque abbia nelle proprie corde l’anelito a spazzare via questo sistema sociale, dovrebbe ringraziare il “compagno Fini”. Appunto perché esso ha scippato alle sinistre, il vessillo (e l’assillo) dell’anti-berlusconismo, insegna sotto cui sono state compiute dalla sinistra inenarrabili nefandezze. Non è forse vero che da oramai vent’anni è proprio agitando lo spaventapasseri Berlusconi che gli Occhetto, i D’Alema, i Veltroni, ma pure i Magri, i Cossutta, i Bertinotti e i Diliberto (e alla loro sinistra tanti altri ancora), hanno giustificato l’appoggio e l'ingresso nei governi Amato, Ciampi, Dini, Prodi e D’Alema; un massacro sociale a dosi omeopatiche, e addirittura crimini veri e propri come la guerra alla Jugoslavia, l’occupazione dell’Afghanistan o il sostegno al nazi-sionismo?

    Nell’immaginario collettivo, per il comune sentire, Fini è diventato infatti lui il campione dell’antiberlusconismo. Poiché proprio lui, dall’interno (sia o non sia effettivamente un Cavallo di Troia) può finalmente, togliere di mezzo il Sultano, ovvero riuscire dove le sinistre hanno sistematicamente fallito - non sarebbe bastata una legge sul conflitto di’interessi, anti-berlusconiani dei nostri stivali? E ci è chiaro che se non la adottaste mai è perché il vostro campo è pieno zeppo, dal governo al più piccolo municipio, di meschini politicanti-affaristi. Fini può dunque sperare di portare all’incasso la cambiale in bianco che la sinistra consegnò agli inizi degli anni novanta alla borghesia, e che quest’ultima si era tenuta in pegno come contropartita in cambio del proprio avallo all’ingresso di quella nella stanza dei bottoni.

    Ma non è solo perché le sinistre hanno fallito nel togliere di mezzo il Cavaliere che Fini può incassare la cambiale figurando come l’esecutore testamentario di esse. V’è una seconda e forse più importante ragione, e consiste proprio nel come queste ultime, per ben due decenni, hanno giustificato il proprio anti-berlusconismo.

    Qual è infatti stata, a ben vedere, la partita politica giocata dalle sinistre italiane dal 1994 in poi? È stata questa: fare suo un antiberlusconismo tutto borghese e democratico, privo di ogni sostrato anticapitalistico. Esse si sono erette a paladine non solo della Costituzione, ma dello Stato e dei suoi organismi, a guardiane della magistratura e della casta politica. Dal PDS al PD, passando per i DS e per finrie con l'Arcobaleno, è stato tutto un cupio dissolvi delle proprie radici sociali e ideali allo scopo di essere definitivamente accreditati, o come “partito liberale di massa”, come supreme sentinelle dell’ordine costituito, come sinistre di Sua Maestà - quelle radicali avendo svolto in ciò la funzione, non di ostacolo (o di Katechon come avrebbe detto Carl Schmitt) ma di comprimarie. Ognuno raccoglie ciò che ha seminato, e il finismo è il raccolto che sinistre tanto depravate potevano meritare. O, per usare una metafora forse più calzante: ecco quanto spetta a chi ha fatto la guerra per il Re di Prussia.

    Come che vada a finire questa burrasca politico-istituzionale un fatto è quindi certo. Le sinistre non possono più campare di rendita, sperare di sopravvivere alla propria agonia agitando lo spauracchio del berlusconismo, sia perché il Cavaliere (per fortuna!) è oramai moribondo, sia perché chi detiene la maggioranza del pacchetto azionario dello schieramento borghese (bipolarismo o finto-terzo-polo, questo lo vedremo nei prossimi anni) ha finalmente trovato chi può eseguire pedissequamente i suoi interessi, prendere in mano il governo e quindi marciare come uno sciacciasassi non imbrigliato dal populismo per spazzare via ciò che resta dei diritti acquisiti del popolo lavoratore (Marchionne docet!).

    Scippatogli l’alibi dell’anti-berlusconismo in salsa liberale, le sinistre sono costrette a reinventarsi, a trovare una nuova indentità e un nuovo posizionamento politico, non solo tattico ma strategico. Ciò riguarda non solo il PD, ma pure le sinistre cosiddette radicali, nelle sue versioni tardo-ingraiane e tardo-togliattiane, o se si preferisce post-bertinottiane.

    Se il PD è oramai un soggetto decrepito, devitalizzato, diciamocelo, agonizzante, che pesci decideranno di pigliare Vendola, Ferrero, Grassi e Diliberto? Essi, pur con modalità differenti (Vendola candidandosi alle “primarie”, gli altri puntando all’alleanza elettorale col PD), persistono nello scommettere tutto sul fatto che la crisi politica precipiti nelle elezioni anticipate (beninteso, col Porcellum). Puntano tutta la posta sul fatto che ci sarà il redde rationem, la guerra finale tra berlusconismo e antiberlusconismo. Sperano insomma che il vecchio alibi taroccato funzioni un’altra volta, consentendo loro nuove porcherie politiche ottenendo in cambio una boccata d’ossigeno, riconquistando cioè qualche scranno in Parlamento per finanziare le loro spompate pattuglie burocratiche. Per questo Vendola veste spudoratamente i panni del Berlusca di sinistra e Ferrero afferma di essere “… disposto ad allearsi anche col Diavolo”. Vi risparmiamo, per carità di patria, quanto affermano Grassi e Diliberto.

    Sembrava in effetti fatta. Veniamo a sapere solo oggi da LA STAMPA che venerdì 27 agosto, Ferrero e Diliberto avevano raggiunto con Bersani, nel caso di elezioni anticipate (e quindi di voto col famigerato Porcellum, per cui per i coalizzati lo sbarramento è “solo” al 2%), un accordo in base al quale il PD li avrebbe imbarcati nel “nuovo Ulivo”, in cambio dell’assicurazione che la Federazione della Sinistra non avrebbe preso parte al governo.
    Sembrava fatta, ma non lo era. La mossa di Fini, allontanando le elezioni anticipate, rende infatti più probabile un governo di grande ammucchiata antiberlusconiana, ciò per la gioia di tutto il PD, che potrà così evitare il rischio certo di uno schianto elettorale nonché l’imbarazzo di dover imbarcare nuovamente i … comunisti.

    Riponiamoci ora la domanda: che pesci decideranno di pigliare Vendola, Ferrero, Grassi e Diliberto ove la congiura di Palazzo evitasse davvero le elezioni anticipate? Semplice: non lo sanno.
    Brancolano nel buio pesto.

    Ringraziamo dunque il “compagno Fini”. La sua opera è meritoria in quanto, in un colpo solo, rendendo finalmente realistica l’uscita di scena di Berlusconi, toglie ai gruppi dirigenti della “sinistra radicale” l’ultima chance che gli era rimasta per tirare a campare. Se non essi, che non ne sono in grado, di sicuro migliaia e migliaia di militanti saranno posti, stavolta in maniera ineludibile, davanti al problema della costruzione di un nuovo e coerente soggetto politico anticapitalistica di massa. La cui fondazione non dipende dal posto al sole in Parlamento, ma da un programma, adeguato ai tempi, di fuoriuscita dal capitalismo, e di come attorno ad esso e grazie ad esso si ritorna nel solo luogo in cui un simile soggetto può mettere radici: il conflitto sociale - che tolto di mezzo il Sultano sarà finalmente contro il nemico vero, il blocco capitalistico che va dal Pd a Fini.

    www.campoantimperialista.it

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