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Federazione della Sinistra: condominio di soggetti diversi o partito unico modello Linke?

di Sergio Ricaldone

(11 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.contropiano.org

La risposta ad un intervento del compagno Bruno Casati
Comunisti, postcomunisti ed ex comunisti. Il processo di disgregazione e di litigiosità tra i vari reparti separati della sinistra ha raggiunto livelli tali da richiedere un'attenta riflessione sul come arrestare e possibilmente invertire questo processo di frantumazione che sta contagiando e logorando anche i rapporti interni ai singoli gruppi e in quello che resta del PRC e del PdCI.

Ciascuno è convinto di avere in tasca gli elementi di un progetto ideale per ricostruire una presenza politica e sindacale organizzata in grado di rivitalizzare un movimento politico e sindacale, che appare abbandonato al proprio spontaneismo e costretto a cercarsi visibilità sui tetti delle aziende in liquidazione per non finire a lavare i vetri a qualche semaforo.

Paradossalmente, i progetti dei soggetti in competizione si somigliano molto. Ma ognuno pensa che il proprio sia quello in grado di ricostruire un partito politico capace di dare risposte convincenti ai bisogni del mondo del lavoro, a partire dalla possibile riconquista a breve di consensi elettorali e presenze istituzionali dignitose.

Esigenza, quest'ultima, ben presente nei pensieri espressi con molta lucidità e padronanza della materia nel saggio di Bruno Casati apparso sull'ultimo numero di Gramsci Oggi. La sua analisi sullo stato di crisi politica e sociale profonda in cui versa il mondo del lavoro e la sinistra di classe a Milano e dintorni è senz'altro condivisibile, almeno fino al punto in cui Bruno affronta il tema del soggetto politico cui delegare la leadership dell'impresa: "La Federazione della Sinistra, con certi limiti, è il solo luogo in cui manifestare le nostre idee, è il solo luogo in cui i comunisti possono oltretutto essere maggioranza. Non ne vedo altri".

Non posso fare a meno di pensare ad altre due esperienze simili (oltre a quella dell'Arcobaleno) che hanno portato Izquierda Unida e la Gauche Unie sulla soglia dell'estinzione. L'idea di ritentare con qualche correttivo la stessa avventura mi sembra azzardata.

Intendiamoci, con i tempi che corrono l'invito di Casati può apparire alettante, ma il suo perentorio, "non ne vedo altri", mi ricorda il suono del pifferaio di Andersen: rischia di farci annettere e dissolvere in un soggetto che vuole farsi partito e che concede si, ai singoli, la libertà di professare le idee e la cultura comunista, ma solo individualmente, e senza sapere fino a quando, visto che il programma in discussione nel PRC - e lo diciamo senza puzza al naso - è simile a quello post comunista della Linke tedesca. In quanto comunisti saremmo perciò esposti al rischio di subire la sorte della compagna Christel Wegner che dopo essere stata eletta deputata (anche con i voti del DKP) nella lista della Linke al parlamento della Sassonia è stata espulsa dal gruppo parlamentare per avere osato esprimere pubblicamente le proprie convinzioni di comunista.

Quanto alla possibilità che i comunisti possano essere maggioranza nella FdS mi sono sicuramente perso qualche passaggio perché continuo a pensare che le idee che dividono Ferrero e Grassi da quelle di Giannini (come quelle che separano A. Patta da Casati e da Merlin) non sono né poche né secondarie e credo riguardino il Comunismo inteso come sostantivo. Pensare di rimettere insieme, a convivenza forzata in un solo partito, queste diversità significa bruciare ancora energie in un distruttivo conflitto interno. Mi pare più sensato liberare queste energie, rendendole autonome, pur continuando ad operare e lottare insieme per le tante cause che tutti condividono. Ormai siamo arrivati al capolinea di un storia ventennale, quella di Rifondazione, segnata da rotture, scissioni e continui spostamenti a destra dei leaders che si sono alternati alla sua guida, fino al colpo di grazia inflittogli da Fausto Bertinotti. Quello che rimane di quella storia è una piccola e rissosa armata Brancaleone.

Difficile ipotizzare che i comunisti possano ora diventare maggioranza in quella che appare come l'ennesima operazione di riciclaggio istituzionale, più che il ricupero di un legame col mondo del lavoro.

Per stabilire se e dove i comunisti potrebbero essere maggioranza, la conta, più che sull'aggettivo che ciascuno è libero di attribuire a sé stesso, andrebbe fatta su un programma che abbia come obbiettivo primario la (ri)costruzione di un partito comunista vero di cui molti hanno perso la memoria.

Naturalmente attendiamo di vedere quale sarà il programma e lo statuto che sarà discusso e approvato al congresso della Federazione della sinistra.

Ma da quello che viene scritto e detto dai promotori più autorevoli, il modello in gestazione appare assai chiaro: liquida la prospettiva dell'unità dei comunisti e archivia nel museo degli orrori la nozione di "reparto organizzato" (con quel che segue) coniata da Lenin (quello vero non quello di Lorenteggio) e tuttora praticata da oltre ottanta partiti comunisti. Nozione che, in coppia con i sempre validi principi "unità nella diversità" e "politica delle alleanze", ci ha permesso di restare comunisti e unitari anche nei momenti più difficili del "secolo breve".

Se per definirci comunisti dovessimo limitarci a riproporre sul piano culturale la costante validità del pensiero del gigante di Treviri credo che il compito non sarebbe oggi tanto difficile. Bertinotti e molti ex comunisti continuano a proclamarsi marxisti. E ora che siamo nel pieno della crisi economica più devastante della storia del capitalismo, la rilettura del marxismo incuriosisce e desta interesse persino tra chi lo ha sempre condannato (persino tra gli alti prelati della chiesa cattolica bavarese, conterranei di Carlo Marx).

Interesse che non è casuale in quanto avviene nel momento in cui le disastrate economie dell'Occidente, ispirate da Adamo Smith, si stanno confrontando con la travolgente crescita cinese e vietnamita, che, oltre ad essere ispirata dal marxismo e dal leninismo, è guidata da partiti comunisti, ottiene risultati che appaiono persino troppo grandi per esser veri . Dunque il comunismo, lungi dall'essere defunto come forma organizzata di classe e di potere statuale, sta dimostrando, in quella che possiamo definire la sua seconda vita, una straordinaria capacità creativa e sta offrendo, con i suoi rivoluzionari modelli di sviluppo eco compatibili, una speranza ai popoli di uscire all'orrore economico e sociale imposto da secoli di dominio imperialista.

Senza farci abbagliare da modelli altrui, tutto ciò ci incoraggia a farci carico di un impegno che sappiamo essere molto gravoso e ambizioso: quello di unire i comunisti in un processo costituente che porti, nei tempi e nei modi necessari, alla formazione di un vero partito comunista. Autorevoli presenze in tal senso non è che manchino nell'Europa di oggi anche se una certa sinistra considera la Linke come l'unico modello politico ed elettorale vincente. Basterebbe alzare lo sguardo per osservare come i comunisti greci e portoghesi - titolari di un consenso elettorale simile a quello della Linke - ci raccontino invece un'altra storia su cui vale la pena di meditare. Senza scomodare analoghe scelte politiche e ideali dei comunisti russi e ceco moravi (tanto per restare in ambito europeo), ricordiamo per contro gli esiti disastrosi dell'Arcobaleno bertinottiano e il profondo travaglio critico dei comunisti spagnoli del PCE e di quelli francesi del PCF, per riemergere dal disastro in cui sono stati trascinati, dopo essere stati affascinati e sedotti dalle sirene post comuniste della Sinistra Europea.

La parola comunismo ha un significato molto chiaro se collocata nel suo contesto storico. Ma diventa tremendamente difficile da reinterpretare dopo le massicce pressioni liquidatorie e gli interventi distruttivi compiuti in questi decenni per manipolarne il significato nella sua duplice valenza: sia come idea forza che ha conquistato milioni di persone e cambiato il mondo, sia come aggettivo dei partiti che l'hanno usata e poi totalmente snaturata.

Siamo perciò coscienti che stiamo partendo da un cumulo di macerie e nessuno si illude sulla complessità dei vari passaggi e sulla lunghezza dei tempi necessari alla ricostruzione di un soggetto politico marxista leninista, coerentemente aggiornato con le profonde trasformazioni socio-economiche e geopolitiche del 21° secolo. E quando parlo di macerie e dico qui e ora, intendo ricordare che altrove, nella sua dimensione planetaria, il comunismo, nonostante errori e sconfitte, è una entità ben viva e rinnovata che sta ispirando e guidando i grandi processi di trasformazione antimperialisti in atto in continenti come l'Asia, l'Africa e l'America latina. Con conseguenze che in pochi avevano previsto sui rapporti di forza tra capitalismo in crisi e forze progressiste.

Osservato in questa sua dimensione internazionale lo spazio politico delle idee comuniste e dei processi di cambiamento che ispirano appare perciò in fase espansiva e non viceversa come vuole far credere una certa sinistra. Specularmente, assistiamo invece ad un declino dell'egemonia imperialista che, non più tardi di 20 anni fa, si era autoproclamata vincente, unipolare e globale per l'eternità.

La nostra priorità rimane dunque l'unità dei comunisti e la ricostruzione di un partito che risponda ai quattro requisiti classici richiesti dalla sua natura rivoluzionaria : a) un programma politico di transizione, b) il socialismo come prospettiva storica, c) un forte radicamento di massa nel mondo del lavoro, d) una collocazione organica nella dimensione internazionale del movimento comunista.

Alla scrittura di questo programma sta lavorando, e non da sola, l'associazione Marx 21.

E' ovvio che la parola unità, nella sue varie declinazioni sindacali, politiche, sociali e culturali rimane l'ago della bussola che ci guida (che ha sempre guidato ogni partito comunista) nelle varie congiunture politiche, soprattutto nelle più difficili, quando maggiore è il pericolo del settarismo, e dell'isolamento, ma anche quello dell'opportunismo.

Si chiama politica delle alleanze e fa parte del nostro patrimonio genetico.

La sola avvertenza è che si tengano ben distinti i due livelli : quello che attiene all'identità e all'autonomia del partito che, nel nostro caso, è tutta quanta da definire e da costruire, e quello che invece attiene la ricerca di alleanze che, pur sempre necessarie, possono essere stabili, congiunturali o temporanee.

Tutti ricordiamo i difficili compromessi che pure fanno parte della nostra storia : la pace di Brest, il patto Molotov-Ribbentrop, la pace di Yalta, la svolta di Salerno, condannati come atti di resa al nemico da molte anime belle e che invece hanno spianato la strada a vittorie di ben altra portata.

Ecco perché ripensando alla nostra storia non mi scandalizza minimamente l'idea di dover stare, da comunista organizzato beninteso, nella Federazione della sinistra, se verrà intesa come condominio di forze autonome, così come siamo sempre stati in un grande sindacato come la FIOM e nella stessa CGIL. Il dovere di dialogare, e nel caso concordare obbiettivi comuni (elettorali e non), con personaggi e soggetti politici lontani anni luce dalle mie idee di comunista è una lezione che mi è stata insegnata fin da piccolo. Rispettando ovviamente le diversità altrui, ma chiedendo in cambio analogo rispetto e trattamento.

"Passa l'ultimo tram" di Bruno Casati in "Gramsci oggi" (pag.8)

http://www.gramscioggi.org/index_file/Gramsci%20oggi-003-2010.pdf

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19656

www.contropiano.org

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