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Il progresso della pace

Il progresso della pace

(8 Luglio 2010) Enzo Apicella
Di accordo in accordo... il muro della vergogna avanza nel territorio palestinese

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    (Palestina occupata)

    «Uno Stato comune per musulmani, cristiani ed ebrei»

    (13 Settembre 2010)

    anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.campoantimperialista.it

    Domenica 12 Settembre 2010 19:29
    Intervista esclusiva ad un dirigente della Jihad Islamica

    Fondata nel 1983, la Jihad Islamica (JI) è stata la prima organizzazione islamista che ha imbracciato le armi e si è unita alla lotta per la liberazione della Palestina. Essa è stata la prima alternativa islamica al processo secolarista di Arafat, ben prima che la Fratellanza Musulmana, attraverso HAMAS, decidesse di partecipare alla lotta armata.
    La differenza politica tra la JI e HAMAS non consiste, come molti credono, che la prima mette al primo posto la lotta di liberazione nazionale mentre la seconda l'islamizzazione della società. In realtà, entrambe sostengono che il primo dovere per ogni forza palestinese è la liberazione della Palestina. La differenza attiene proprio all'idea di società islamica: JI trasfonde nell'Islam valori e principi mutuati dal socialismo, mentre HAMAS, a causa delle sue radici di tipo salafita, fa sua la tradizione della sharia.

    Ispirato dalla Rivoluzione Islamica in Iran, il suo fondatore Fathi Shikaki (nato nel 1951 e assassinato nel 1995 a Malta da una micidiale operazione del Mossad), ha, quindi, assorbito diversi principi sociali e politici dallo shiismo antimperialista iraniano, in particolare dalla tradizione dell'“Islam Rosso” di Shariati. Il libro di Fathi Shikaki “Khomeini: la Soluzione Islamica e l'Alternativa”, apparso nel 1979, può essere considerato come la prima importante eco della rivoluzione iraniana in ambito Arabo Sunnita.
    Mentre HAMAS considera necessario entrare nelle istituzioni palestinesi dei territori occupati (concepite e sorte dopo gli Accordi di Oslo) e quindi partecipare alle contestuali elezioni, la JI rifiuta di collaborare con le istituzioni dell'ANP, (che considera organismi fantoccio degli occupanti) e mantiene una posizione di boicottaggio delle elezioni. Sostiene dunque, che la lotta armata sia l'unica strategia valida per la liberazione della Palestina. Da segnalare che nella disputa fra Fatah e HAMAS, JI ha assunto una posizione di neutralità.

    D: Chi è la Jihad Islamica?

    In quanto popolo espulso dalla propria terra e la cui terra è sotto occupazione, noi stiamo ancora combattendo con tutti i metodi per potere ritornare e liberarla. Noi, come movimento della Jihad Islamica in Palestina siamo una naturale risposta all'occupazione. Abbiamo tre pilastri: Islam, Palestina e Jihad come metodo di liberazione della Palestina. Questi tre pilastri sono i punti decisivi su cui stabiliamo le nostre relazioni con tutte le forze politiche nella regione araba e islamica e su scala internazionale. Ci focalizziamo sullo slogan di Resistenza e Unità come principio fondamentale nella nostra attività all'interno della società palestinese. L'unità è la sola protezione per il nostro popolo e la sua Resistenza ed è l'unica via per andare avanti. Fermi su questi tre pilastri, siamo pronti a cooperare con chiunque sia in accordo con noi e ringraziamo per tutti gli sforzi di solidarietà che supportano la nostra lotta per una pace giusta. La Resistenza è il solo metodo per raggiungere i nostri scopi.

    D: Perché la Resistenza?

    Perché i processi di pace, in tutte le loro forme, non sono stati capaci di porre fine all'occupazione sionista, alla sua espansione e all'aggressione contro la nostra gente. Negoziati e trattative non hanno cambiato il fatto che il nostro popolo soffre sotto occupazione. Siamo gente che ama la vita, ma siamo anche attaccati alla nostra terra e siamo quindi pronti a morire per la vita, la dignità la libertà. Il martirio è un mezzo per tenere in vita il nostro popolo, è la dimostrazione che siamo pronti a morire per una giusta causa. Non lottiamo perché amiamo la guerra, ma per riconquistare i nostri diritti e per obbligare i sionisti a lasciare la Palestina. Pace per noi significa smantellare il progetto sionista imperniato sulla creazione di uno stato in terra altrui e sul rientro dei coloni nei paesi da cui sono venuti. Questo significa che la Palestina ritorni al suo popolo legittimo. Ottenuto questo, siamo pronti a vivere insieme con i nostri fratelli cristiani ed ebrei in uno stato liberato dal sionismo. Non lottiamo contro gli ebrei perché sono ebrei, ma perché sono aggressori e occupanti di una terra che non è loro e causa dell'espulsione del popolo palestinese. Sottolineo questo punto così che nessuno equivochi le cose. La comunità internazionale sfortunatamente non appoggia noi, ma l'occupante sionista. Questa è la conseguenza del predominio sionista e americano nelle istituzioni della comunità internazionale. La pace può esserci solo se basata sulla giustizia, il che significa dare ad ognuno i propri diritti; fino a quando i Palestinesi soffriranno l'occupazione e l'espulsione, la bilancia della giustizia è rotta. Noi consideriamo il nemico sionista, e il regime americano che lo sostiene, il vero pericolo per la pace in questa regione e nel mondo intero. Gli americani pretendono di essere i campioni dei diritti umani, mentre aggrediscono l'essere umano, e in nome della democrazia strangolano la democrazia.

    D: Quali sono i bersagli delle vostre azioni di Resistenza?

    Questa decisione spetta ai nostri fratelli dell'ala militare. Le operazioni di Jihad colpiscono l'occupazione militare in tutte le sue forme e manifestazioni. Fino a che dura l'occupazione ogni azione è legittima.

    D: Quali sono le vostre differenze ideologiche e politiche con HAMAS?

    Attualmente non ci sono differenze ideologiche. Ideologicamente abbiamo le stesse radici islamiche. Le differenze attengono solo ai metodi e alle tattiche. HAMAS è entrata nell'Autorità Nazionale Palestinese allo scopo di difendere il progetto della Resistenza e di ostacolare ogni ulteriore capitolazione. Noi invece non abbiamo aderito all'Autorità Nazionale perché questa era fondata sugli “Accordi di Oslo”, i quali legittimano l'occupazione dell'80% del nostro paese e fanno solo del restante 20% materia di negoziato. Dopo 20 anni di trattative Israele non ha restituito niente, continua a occupare la Palestina, procede nei suoi insediamenti coloniali, ciò grazie alla complicità della comunità internazionale. L'obiettivo dei sionisti è sfiancarci cosicché alla fine saremo costretti a soccombere. Riporre speranze in questo cosiddetto “processo di pace” significa inseguire le illusioni di fata Morgana. Noi quindi, in quanto movimento di liberazione nazionale, abbiamo rifiutato di entrare a far parte dell'Autorità Nazionale perché è inaccettabile concepire una “Autorità Nazionale” sotto occupazione. In queste condizioni, questa Autorità è utile solo agli occupanti. La prova di quanto diciamo è che, dopo l'istituzione dell'ANP nel 1993, gli insediamenti sionisti e le terre confiscateci sono aumentate. Il nemico usa l'ANP per legittimare la sua occupazione e mascherarla per coprire la sua espansione coloniale, anzitutto a Gerusalemme, dove i luoghi santi islamici e cristiani sono anch'essi in pericolo.
    In conclusione, questo tipo di Autorità Nazionale Palestinese è un bastone tra le ruote della nostra battaglia per liberare la patria ed espellere il nemico da tutte le terre arabe. Una effettiva “Autorità Nazionale” si può esercitare solo su una terra liberata e non occupata. Per fondare uno stato occorre prima liberarlo dai suoi occupanti.

    D: Pensi che la liberazione si ottenga dunque solo con la lotta armata?

    Noi della Jihad Islamica, così come tutti i Palestinesi, non ci illudiamo che dati gli attuali rapporti di forza, potremo liberare tutta la Palestina con la lotta armata. La liberazione necessita degli sforzi di tutto il mondo arabo e della nazione islamica. Il popolo palestinese è l'avanguardia della nazione araba islamica nella lotta contro il progetto sionista ed imperialista. Lo stato sionista fu creato dal colonialismo occidentale, in particolare quello britannico. Noi palestinesi stiamo facendo il nostro dovere verso la nazione araba islamica. Sebbene non ci è possibile cambiare il rapporto di forza e porre fine all'occupazione, è già molto mostrare che noi resistiamo e che non ci arrenderemo mai.
    Nessun diritto è perduto finché qualcuno si batte per ottenerlo. La nostra battaglia durerà per generazioni fino a che la liberazione non sarà conquistata. Non abbiamo fissato alcuna scadenza.

    D: Cosa fate per cambiare i rapporti di forza nei paesi arabi e islamici? Cosa pensate delle recenti mosse turche? La crisi nei rapporti turco-israeliani può cambiare la situazione?

    Noi oggi soffriamo a causa della tirannia della maggior parte dei regimi arabi che sono sudditi degli imperialisti americani, obbligati a servire gli interessi israeliani. Riponiamo le nostre speranze non nei governi, ma nei popoli, che prima o poi faranno sì che i loro paesi cesseranno di seguire gli americani. Questo non vuol dire che noi chiamiamo al rovesciamento di tali regimi, poiché consideriamo che la prima contraddizione strategica è l'occupazione sionista della Palestina. Il nostro scopo è obbligare tali regimi a cambiare la loro politica in base agli interessi della nazione.
    Ove riuscissimo a produrre questi cambiamenti, ciò rappresenterebbe un rafforzamento della Resistenza e un declino dell'egemonia di questi regimi.
    Noi salutiamo il nuovo posizionamento turco che è un vantaggio par la causa palestinese. Ci auguriamo che la Turchia tenga duro e diventi una forza trainante nel contrasto al sionismo. Qualsiasi atto positivo, sia esso arabo, islamico o internazionale, è benvenuto.
    Apprezziamo la posizione turca per il coraggio con cui ha sfidato l'assedio di Gaza. Essi hanno avuto dei martiri con la Freedom Flottilla, di cui andiamo fieri perché li consideriamo come nostri.

    D: Nel mondo arabo esistono varie confessioni religiose. Sin dai tempi del colonialismo, gli imperialisti hanno tentato di dividere i popoli in base a queste differenze. Cosa pensi della pluralità religiosa? Come consideri il ruolo dei cristiani e delle altre confessioni nella lotta di liberazione?

    Gli imperialisti hanno condotto tutte le loro guerre nella nostra regione usando la nota regola del “divide et impera”. Essi colpiscono chiunque viva qui a prescindere dalla sua appartenenza religiosa. Quando si è colpiti da una aggressione esterna dovrebbe essere naturale unirsi per farvi fronte. L'Islam è una religione emancipatrice e internazionale ed è sotto le sue insegne che dovrebbero svilupparsi le Resistenze nel mondo. Per noi Islam significa pace, salvezza, sicurezza, stabilità per i popoli. Fu l'Islam che protesse gli arabi cristiani ai tempi delle crociate occidentali.
    Sin da quando l'Islam penetrò nella regione, il califfo Omar sottoscrisse un patto con i cristiani per proteggere i loro luoghi santi e garantire la libertà religiosa. L'Islam vuole coesistere con tutti coloro che vogliono coesistere con l'Islam, mentre combatte chi è contro l'Islam. L'Islam non è mai stato aggressore: ha sempre difeso se stesso cercando di diffondere idee di pace e tolleranza. L'Islam cerca l'unità perché l'unità fa la forza, mentre il confessionalismo vuole dividere allo scopo di comandare. Quando il settarismo religioso fallisce, esso getta benzina sul fuoco tra le confessioni religiose. Non c'è contraddizione tra il panarabismo e l'Islam, questa contrapposizione ci è stata imposta dal nemico per meglio colonizzarci.
    Noi siamo un movimento islamico, jihadista, arabo e patriottico che chiama all'unità di tutte le forze per risolvere le contraddizioni principali, rappresentate dall'aggressione sionista e americana.
    Nessun potere coloniale esterno potrà mantenersi per sempre. Anche i crociati furono alla fine sconfitti e la terra fu liberata.

    D: Riguardo alla Turchia, che giudizio dai del PKK e della lotta del popolo curdo per la propria autodeterminazione?

    Noi siamo dalla parte di tutti gli oppressi del mondo perché siamo a nostra volta oppressi. La questione curda è complicata, i curdi vivono divisi in quattro stati. Noi non siamo per il divisionismo e la separazione. Il popolo curdo dovrebbe vivere in pace e con pieni diritti all'interno degli stati in cui vive. In questo momento è noto che la questione curda è profondamente infiltrata dai sionisti. E' noto che gli israeliani godono di un'ampia libertà di movimento nella parte curda dell'Iraq. La questione curda è usata per ricattare i popoli della regione. Comunque non ci sono differenze tra curdi, turchi e arabi nell'ambito dell'identità islamica e tutte le nazionalità devono godere di uguali diritti

    D: Voi vi siete opposti, con HAMAS e la maggioranza delle organizzazioni palestinesi, agli Accordi di Oslo. Ma tutti avete fallito nel creare un polo alternativo e un progetto diverso dalla strada di Arafat. Successivamente HAMAS decise di entrare nell'ANP, partecipando alle elezioni con le note conseguenze. Perché non si vede nessun tentativo di fondare un polo politico unitario alternativo all'ANP?

    Come ho già detto, gli Accordi di Oslo furono una trappola per dividere la Resistenza e addomesticarne una parte, per questo noi non entrammo nell'ANP, continuando a lottare contro il nemico israeliano. Le forze della Resistenza, alla fine, furono capaci di bloccare il processo di Oslo, impedendogli di liquidare la causa palestinese. Al momento, il rapporto di forze tra la Resistenza e i collaborazionisti è in equilibrio, entrambi hanno punti di debolezza e di forza.
    Per quanto riguarda il fallimento di creare una alternativa politica unitaria all'ANP, [e ad Al-fatah, NdT], la causa principale risiede negli interventi e nelle pressioni esterne di numerosi stati che hanno tentato in ogni modo di impedire l'unità palestinese. La nostra ambizione è quella di essere un fattore di unità e non di divisione. Vogliamo salvare chi fa parte dell'Autorità [Al-fatah, NdT] e riportarla nel campo della Resistenza. Non possiamo accettare le condizioni di chi ci chiede l'unità ma, in cambio, il riconoscimento di Israele. Il processo di riconciliazione tra i palestinesi è oggi purtroppo condizionato da forze internazionali filo-sioniste, se tutti i palestinesi facessero i propri interessi, essi sarebbero già uniti. La Resistenza lavora per spezzare il fronte nemico. Israele capisce solo il linguaggio della forza, gli offri un dito e ti prendono tutto il braccio. Più combatti più essi si ritirano.

    D: Prima dell'aggressione a Gaza nel Gennaio 2009, tutte le forze erano per la Resistenza permanente fino alla liberazione totale della Palestina. Come ti spieghi il successivo declino delle azioni militari della Resistenza?

    Anzitutto le azioni militari in Palestina non si sono mai fermate, né a Gaza né in Cisgiordania. La Resistenza non ha preso alcuna decisione di sospendere le azioni militari. Ma questa materia dipende anche dalle condizioni, dalle capacità e dalle risorse delle forze combattenti sul terreno. Ci sono molte difficoltà nel compiere azioni in profondità nell'entità sionista. Stiamo facendo del nostro meglio per superarlo. La guerra contro Gaza [Piombo Fuso, NdT], era di fatto una guerra di dimensioni mondiali. I paesi, anche arabi, che sostennero l'attacco sionista contro la Resistenza libanese [aggressione del Luglio 2006, NdT], erano gli stessi che hanno sostenuto l'aggressione a Gaza. Essi hanno fallito sia nel 2006 in Libano, sia nel 2009 a Gaza. La Resistenza è pronta e sta lavorando per rafforzare i propri strumenti e le proprie capacità. Lo scontro con il nemico non è finito e non finirà, ma attraversa alti e bassi a seconda delle condizioni sul terreno. Dobbiamo fare attenzione alla strategia del nemico che prova a spingere i palestinesi nel vicolo cieco di uno scontro interno. Non forniremo loro questa opportunità e insisteremo sull'unità del popolo. Unità e Resistenza alla fine vinceranno. E' una battaglia aperta fino alla vittoria e alla liberazione, ed è falso affermare che la Resistenza si è bloccata.

    D: Affermando che il martirio indica una possibilità di vita migliore per il popolo, questi 25 anni di esperienza hanno mostrato un qualche miglioramento per i palestinesi o una vita migliore può essere realizzata solo dopo la vittoria finale?

    Jihad, Resistenza e martirio si basano sul “diritto alla vita”, che significa rifiuto dell'oppressione e dell'aggressione e volontà di essere liberi. Se non Resistiamo come possiamo liberarci del nemico? Il “diritto alla vita” mostrato da alcuni media, significa resa e capitolazione. Se accettassimo di vivere senza dignità, che vita sarebbe? Preferiamo morire con dignità piuttosto che vivere con umiliazione. Rifiutare l'umiliazione, questa è vita. La vittoria della Resistenza significa una vita dignitosa per tutti i popoli della regione. Come avrebbero potuto le altre rivoluzioni mondiali di tutte le ideologie, raggiungere la vittoria? Senza lotta e Resistenza, nessuna Rivoluzione avrebbe potuto essere vincente. Il cosiddetto “diritto alla vita” è un'espressione colonialista per indebolire la nazione e farla capitolare. Il che significa abortire qualsiasi potenziale rivoluzionario in questo paese.
    (...). Come Musulmani, sappiamo che la morte è parte integrante della vita e dobbiamo convivere con essa. Moriremo tutti prima o poi, meglio, dunque, morire con dignità che vivere da umiliati.

    D: Negli scritti del vostro fondatore Fathi Shiqaqi, che seguono il modello della Rivoluzione Islamica in Iran, l'Islam è connesso, per la prima volta, con la questione sociale. Poveri e oppressi sono il principale soggetto di questo movimento per l'emancipazione sociale. Per quanto riguarda la vostra concezione delle basi economiche della Palestina liberata, la giustizia sociale che prefigurate, va aldilà della tradizione caritatevole islamica?

    La giustizia sociale è l'obiettivo di ogni movimento che onestamente propugni una società fondata sui nostri principi religiosi. Nel Corano c'è un versetto che sottolinea la volontà di Dio di proteggere il popolo dalla fame e dalla paura. In questo momento noi dobbiamo fare fronte alla guerra, allo stato d'assedio e alle catastrofi. Le nostre risorse sono sfruttate dall'imperialismo, non abbiamo quindi i mezzi per distribuire equamente le risorse (...). La giustizia sociale potrà essere ottenuta soltanto quando avremo ottenuto la sovranità nazionale.

    D: Hai un ultimo messaggio da darci?

    Vi consideriamo come ambasciatori della Palestina che difendono la verità nei vostri paesi i cui governi sostengono Israele. Non possiamo che ringraziarvi per il vostro impegno e la vostra solidarietà.

    www.campoantimperialista.it

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