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(28 Luglio 2010) Enzo Apicella
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Il ricatto colonialistico delle delocalizzazioni

(16 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.comidad.org

Giorgio Cremaschi, dirigente della FIOM, ha commentato così la decisione di Federmeccanica di attuare la disdetta del contratto dei metalmeccanici firmato nel 2008: "Anche se gli effetti formali di questa disdetta sono rinviati nel tempo, visto che il contratto resta comunque in vigore fino al 2012, quelli politici si dispiegano subito. Dimostrano che gli industriali italiani vogliono competere con i paesi a più basso costo del lavoro, senza investimenti, tagliando diritti e salario."
Insomma, secondo Cremaschi, gli imprenditori italiani non avrebbero sufficiente autostima e, invece di competere con Germania e Stati Uniti, preferiscono misurarsi con Paesi che magari sono in Europa, ma che comunque, economicamente, sono terzo mondo. In realtà il problema è che gli industriali non hanno nessuna intenzione di competere con chicchessia, ed il ricatto delle delocalizzazioni non deriva affatto dal minore costo del lavoro in questo o quel Paese, ma dalla politica di incentivi alla delocalizzazione attuata dagli organismi internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, ma anche dall'Unione Europea. Quando si parla di questi argomenti è meglio riferirsi rigidamente agli atti ed ai documenti ufficiali; e non tanto perché altrimenti tutto verrebbe liquidato con le solite battute sulle "teorie del complotto" e sulle "bufale che circolano su internet" (certi slogan funzionano in automatico), ma soprattutto perché non si coglierebbe il fatto che i veri criteri di funzionamento del sistema affaristico sono universalmente noti, e che gli slogan come "competizione" servono appunto a confondere le acque.
Il 14 marzo 2006 il Parlamento europeo ha approvato una relazione in cui si rivolge questo appello alla Commissione europea: "la Commissione deve adottare tutti i provvedimenti necessari affinché la politica regionale europea non costituisca un incentivo alla delocalizzazione di imprese".
La relazione del Parlamento europeo in oggetto, redatta in base all'indagine condotta dal deputato Alain Hutchinson, è reperibile all'indirizzo dell'europarlamento. http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+IM-PRESS+20060313IPR06152+0+DOC+XML+V0//IT
La relazione si limita ad osservare che molte delocalizzazioni di imprese - ci si riferisce evidentemente a quelle nell'Europa dell'Est - non corrispondono a criteri di redditività economica, ma sono dovute semplicemente al fatto che le imprese possono giovarsi di una serie di fondi e contributi pubblici che rendono conveniente l'operazione. In altri termini, sono i fondi europei allo sviluppo che vanno a finanziare i licenziamenti, perciò le tasse che tanti lavoratori hanno pagato negli anni, sono state usate dai governi per privarli del posto di lavoro. La relazione approvata dal Parlamento europeo proponeva perciò di punire, con la sospensione degli incentivi allo sviluppo regionale, tutte le imprese che approfittano del denaro pubblico per licenziare e delocalizzare.
Risulta evidente che la Commissione europea non ha mai tenuto conto di questa raccomandazione del Parlamento europeo - che notoriamente non conta nulla -, altrimenti oggi la FIAT non potrebbe delocalizzare, grazie ai fondi europei, le sue fabbriche in Serbia o in Polonia, e ciò senza dover temere la benché minima sanzione dalla Commissione stessa. I "fondi europei per lo sviluppo regionale" perciò non sono altro che l'etichetta di copertura per poter elargire sussidi pubblici alle imprese private.
Quindi la "Competizione", il "Mercato" e la "Concorrenza" sono personaggi delle fiabe, mentre il colonialismo delle multinazionali è una realtà; come pure costituisce una realtà il fatto che lo strapotere coloniale delle multinazionali si fonda sull'uso e sull'abuso del pubblico denaro. Anche la Serbia, la Polonia e la Romania sono costrette a loro volta a pagare, attraverso incentivi e sgravi fiscali alle imprese, l'onore di essere colonizzate dalle multinazionali.
L'Occidente non esiste: per le multinazionali siamo tutti terzo mondo. L'ultima spiaggia dell'unità sindacale invece oggi è proprio l'ideologia occidentalistica, cioè l'illusione di essere parte di un'area eletta del pianeta, che può permettersi di dare lezioni di democrazia e Stato di Diritto ad altri Paesi. Non a caso l'unica iniziativa unitaria di Cgil, Cisl e Uil di questi ultimi anni è consistita in un comunicato congiunto dell'11 febbraio scorso, in cui si sollecitava l'Unione Europea ad adottare sanzioni contro l'Iran: "CGIL CISL e UIL, nel ribadire la mobilitazione dei lavoratori italiani contro il regime iraniano, sollecitano con forza la comunità internazionale e l’Unione Europea a mettere in atto tutte le iniziative di pressione perché in quel Paese cessi la repressione violenta e vengano garantite le libertà e i diritti fondamentali. Le annunciate sanzioni economiche mirate nei confronti dell’Iran vanno realizzate con immediatezza." http://www.cgil.it/tematiche/Documento.aspx?ARG=INTL&TAB=0&ID=13110
Quindi dei sindacati italiani si fanno promotori e celebratori di un'aggressione coloniale nei confronti di un altro Paese, e chiamano i lavoratori a mobilitarsi per questo; e tutto ciò viene giustificato in base ad "informazioni" esclusivamente di fonte colonialistica. D'altra parte, per i sindacati "colonialismo" è una parola proibita, perciò tutte le sventure che capitano ai lavoratori italiani devono essere attribuite esclusivamente al "Mercato".
Nulla di male ad essere contro il regime iraniano, ma non sta scritto da nessuna parte che i Paesi "occidentali" abbiano qualcosa da insegnare agli altri in fatto di Stato di Diritto, anzi sta scritto il contrario. Nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 aprile 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 16 aprile 2008, n. 90, "in attuazione dell'art. 39 della legge 3 agosto 2007, n. 124 ", c' è in allegato un elenco dei settori che possono essere considerari oggetto di segreto di Stato, e già i primi due dei diciotto punti previsti sono sufficienti a coprire ogni attività umana:
"1. La tutela di interessi economici, finanziari, industriali, scientifici, tecnologici, sanitari ed ambientali;
2. la tutela della sovranita' popolare, dell'unita' ed indivisibilita' della Repubblica; ...".
http://www.altalex.com/index.php?idnot=41541
Quindi non solo ogni attività economica e sociale, ma anche la sovranità popolare può essere messa sotto segreto di Stato (come a dire che il risultato elettorale viene deciso nelle sedi competenti, che certo non sono le urne). Si tratta ovviamente di segreti di Pulcinella, dato che lo scopo vero del segreto di Stato è quello di creare un "legittimo impedimento", cioè riservare l'impunità, ed una condizione di superiorità alla legge, agli affaristi ed ai loro complici nei servizi segreti e nelle altre istituzioni.
Leggi del genere non spuntano fuori dal nulla come improvvisi colpi di Stato, ma rappresentano l'espressione di un consolidato sistema di totalitarismo degli affari, che prende le sue contromisure contro eventuali incidenti di percorso. Insomma, nei suoi ultimi giorni di vita, il governo Prodi bis si è preoccupato di difendere le multinazionali da quella piaga costituita dai funzionari integerrimi, in modo da evitare che succeda di nuovo ciò che è accaduto alla povera Philip Morris, perseguitata per tutti gli anni '90 per trascurabili reati di contrabbando ed evasione fiscale miliardaria, e poi esposta al pubblico ludibrio in documenti ufficiali della Unione Europea e, in Italia, persino della Commissione Antimafia. http://www.publicintegrity.org/investigations/tobacco/assets/pdf/Antimafia%20Tobacco%20final%20report%20Mantovano%20March%2001.pdf

www.comidad.org

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