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Per i tre operai della Fiat

Per i tre operai della Fiat

(25 Agosto 2010) Enzo Apicella
Melfi. La Fiat licenzia tre operai, il giudice del lavoro li reintegra, la Fiat li invita a rimanere a casa!

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Gli operai hanno una sola dignità: quella che nasce dalla lotta

(16 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa


Vivere per lavorare o lavorare per vivere?


La brutta storia dei tre operai della Fiat Sata di Melfi (Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli) pone in primo piano una questione che l’attuale crisi rende sempre più di tragica attualità: Vivere per lavorare o lavorare per vivere?

Perché poniamo questa domanda? Apparentemente, tutti lavoriamo per vivere. Ma ne siamo proprio sicuri?

Già prima della crisi, si era creata una situazione in cui molte certezze della seconda metà del Novecento andavano a farsi benedire. Parliamo del posto di lavoro più o meno fisso … parliamo dell’assistenza sanitaria … parliamo della pensione … parliamo della scuola … parliamo di tante altre belle cose (il famoso Welfare!), per cui, effettivamente, valeva la pena di lavorare … anche se poi qualcuno se lo prendeva nel culo … Ma ci dicevano che le cose potevano migliorare. Pazienza … Intorno a noi c’era chi stava molto peggio: i terroni, i negri, i cinesi … In realtà, quel modesto benessere riguardava pochi proletari, di pochi Paesi. E per meno di mezzo secolo …

Ciò nonostante, la prospettiva di benessere è stata fatta baluginare a tutti gli altri proletari del Mondo, la stragrande maggioranza, che invece vedeva la propria condizione peggiorare, precipitando in un abisso di sfruttamento, miseria ed emigrazione, rispetto alla quale la situazione dei proletari italiani di fine Ottocento potrebbe fare invidia.

Ora la festa è finita, ma per molti le illusioni restano. Vediamo perché. I motivi sono molti, cerchiamo allora di andare alla radice.

Apparentemente i proletari lavorano per vivere. In realtà, vivono per lavorare dal momento che dopo avere mantenuto sé stessi, producendo la parte di prodotto che va in salari, non possono fermarsi lì, come a loro basterebbe, ma sono costretti a produrre anche l’altra parte, molto più importante e vitale (il plusvalore), che va ai padroni sotto forma di profitti, e senza la quale la piccola minoranza dei parassiti padronali non darebbe ai lavoratori il permesso di vivere.

Tutto questo è uno sporco imbroglio, che è diventato una regola ai danni dei proletari. Ma come è potuto avvenire? Facciamo un passo indietro.

Un tempo, gli umani lavoravano per vivere. Poi, la borghesia, o meglio il modo di produzione capitalistico, ha fatto una grande «rivoluzione»: ha «convinto» gli «umani» a vivere per lavorare. L’opera di «convinzione» è partita nel XVI secolo e continua tutt’ora. È ricorsa e ricorre a metodi di estrema violenza: prima l’espropriazioni dei liberi produttori (contadini e artigiani), accompagnata da assassini, galere, deportazioni (nel Nuovo Mondo). Tutti gli espropriati sono diventati proletari, ovvero persone senza risorse, costrette al lavoro forzato.

Ma alla fine delle fiere, dopo tanta violenza, il risultato è stato raggiunto solo in alcune parti del Mondo: nella vecchia Europa (persecuzione e deportazione dei refrattari) e nel Nord America (genocidio dei nativi). In altre aree (Europa Orientale, Africa, Sud America e parte dell’Asia), malgrado la violenza dispiegata, sono restate forti opposizioni al modo di produzione capitalistico. Che tengono duro. Come nell’India del famoso fabbricante di auto Tata …

NO ALLA FALSA DIGNITÀ DEL LAVORO SALARIATO! SÌ ALLA VERA DIGNITÀ DELLA LOTTA!

La situazione descritta riguarda il secolo scorso.
Oggi, con la crisi, la situazione è del tutto cambiata. Il plusvalore estorto ai lavoratori non basta più a soddisfare gli appetiti del modo di produzione capitalistico. E allora, gli stessi borghesi che, ieri, esaltavano il lavoro, oggi, lo vogliono distruggere o meglio vogliono distruggere i lavoratori, diventati inutili.

Lo hanno già fatto dopo la crisi del ’29, con la guerra, i lager e la Shoah… un bel cento milioni di morti ...

Ed ecco ora il novello esponente del capitalismo italiano, il Marchionne, che si rimangia tutte le balle contate fino a ieri, per convincere i lavoratori al lavoro «forzato». Mentre, oggi, i lavoratori, il Marchionne, li condanna all’ozio «forzato». Senza se e senza ma, passa ai licenziamenti.

Questa brusca virata ci mostra chiaramente che i padroni e i loro servi sono solo degli imbroglioni, dei gran conta balle. Disposti a tutto per difendere i loro privilegi. E allora, di fronte a tutte queste balle, diciamo basta e pensiamo ai nostri interessi.

Fino a ieri, con la scusa della dignità del lavoro, ci hanno fatto piegare la schiena e ci hanno fatto mangiare la merda … per finire poi nel tritacarne della guerra e della crisi. Perché lor signori non hanno null’altro da offrire.

Gli operai devono aprire gli occhi.

Non devono rivolgersi ai servi dei padroni, come Giorgio Napolitano che, nell’ottobre 1956, fu con coloro che sparavano agli operai ungheresi.

GLI OPERAI HANNO UNA SOLA DIGNITÀ QUELLA CHE NASCE DALLA LOTTA

GLI OPERAI DEVONO CONTARE SOLO SULLE PROPRIE FORZE

Dino Erba

13 settembre 2010

All’insorgere della crisi, nei primi anni Ottanta, la questione del lavoro era stata affrontata da un bell’articolo, che attende ancora la traduzione italiana: Sous le travail, l’activitè [Sotto il lavoro, l’attività], «La Banquise», Revue de critique sociale, n. 4, 1986. Sempre attuale Il diritto all’ozio di Paul Lafargue, genero di Marx; consigliamo l’edizione del 1977, curata da Lanfranco Binni, con il saggio di KARL ABSENT, Arbeit macht frei, 1976. Il lavoro rende liberi, 1976. PAUL LAFARGUE, Il diritto all’ozio, 1883. Contro il lavoro nelle condizioni del Kapitalismo, 10/16, Milano, 1977. Il testo è disponibile anche in molti siti Internet.

www.webalice.it/mario.gangarossa

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