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Dopo l'Irak, il macello imperialista prosegue in Afghanistan
DIETRO LE LINEE DI GUERRA

Le rivelazioni di Wikileaks sul governo Prodi-Bertinotti-Ferrero (2007)

(17 Settembre 2010)




Come altre innumerevoli volte, la scena si ripete: i potenti rendono omaggio ai soldati mandati al macello per la patria, la libertà e la democrazia. Così Barak Obama ha reso omaggio ai soldati morti nella guerra persa in Irak, una guerra costata 750 miliardi di dollari e 4400 vite americane.
Le vittime civili, invece, sono impossibili da contare: nel 2007 fonti autorevoli parlavano di un milione di morti fra gli irakeni, e a queste vittime vanno aggiunti i tanti bambini rimasti senza casa e senza famiglia, o i tanti mutilati. Diceva Teresa Strada (Emergency): “I bambini, qui, quando hanno finito di giocare a pallone si tolgono le scarpe. I nostri bambini in Iraq, quando hanno finito di giocare, si tolgono le gambe”.

L'imperialismo sta perdendo la guerra

Anche quella in Afghanistan è una guerra già persa. Una guerra già persa che, come la guerra in Irak, lascia nel campo innumerevoli vittime. Oltre 1.200 civili sono stati uccisi in Afghanistan solo nei primi sei mesi dell'anno e il numero dei civili morti o feriti e' aumentato del 31% rispetto allo stesso periodo del 2009, secondo le cifre dichiarate dal rappresentante speciale delle Nazioni Unite per l'Afghanistan, Staffan de Mistura.
Circa un mese fa è stata l’Olanda a concludere ufficialmente la partecipazione alla missione militare della Coalizione internazionale in Afghanistan, diventando così il primo paese della Nato a richiamare il suo contingente. La ritirata si è consumata mentre a Kabul centinaia di persone scendevano in piazza rispondendo all’appello del Partito afgano della solidarietà di Daud Razmak, per chiedere la partenza delle truppe straniere dal Paese. Nelle operazioni militari svolte dal 2006 hanno perso la vita 24 soldati olandesi. La Nato aveva chiesto alla fine del 2009 al premier Jan Peter Balkenende di prorogare di almeno un anno la missione, con l’unico risultato però di far cadere il governo per l’abbandono della coalizione da parte del partito laburista PvdA, contrario alla permanenza in Afghanistan.
Il portavoce dell’Isaf, generale Josef Blotz, ha dichiarato ai giornalisti a Kabul che il ritiro degli olandesi "non deve essere letto come un indebolimento della Coalizione internazionale" e che "Il complesso delle forze militari di Nato e Afghanistan è in crescita numerica" riferendosi all’arrivo del contingente di 30.000 uomini promesso dal presidente Barack Obama.
A Montreal anche il governo canadese ha deciso il ritiro del suo contingente nel 2011. Per quanto riguarda gli USA l’attuale capo delle forze americane e del contingente Nato in Afghanistan, David Petraeus (succeduto a Stanley Mc Chrystal rimosso dall’incarico per le sue dichiarazioni contro alti funzionari del governo americano e contro Obama), ha ribadito che il ritiro resta fissato al luglio del 2011, vale a dire la data stabilita da Barack Obama. Ma con una riserva: “parlarne ora è prematuro e, comunque, quella data non è un obbligo”. Tale dichiarazione non è piaciuta alla Casa Bianca, il cui portavoce aggiunto, Bill Burton, ha subito replicato: la data del 1° luglio 2011 per l’inizio del ritiro “non è negoziabile”.
Il generale James Conway, capo dei Marine Corps, il 24 agosto ha dichiarato alla stampa che l’annuncio di Barack Obama del ritiro a luglio 2011 incoraggia e sostiene il morale dei talebani e che il sud dell’Afghanistan avrà bisogno di essere presidiato ancora per molti anni.
Questo continuo braccio di ferro fra militari e amministrazione Obama svela una verità che per l’imperialismo Usa e i suoi alleati è molto amara: la sporca guerra in Afghanistan si sta rivelando ogni giorno di più una guerra persa. E, infatti, Petraeus si spinge fino a parlare di negoziati con i talebani.
Così la parola “ritiro”, promessa alla quale numerosi ingenui pacifisti hanno creduto come prova della bontà d’animo e di reale cambiamento del presidente nero Obama, viene ad assumere un significato sempre più legato alla sconfitta e a situazioni diverse sia rispetto alla tanto sbandierata iniziale facile vittoria (così cara a chi si riconosce nella “giusta guerra”), sia alla promessa di una politica di pace da parte della nuova “democratica” amministrazione Usa targata Obama (tanto cara al mondo variegato e pacifista della sinistra governista).
Il numero di soldati americani presenti in Afghanistan ha superato in agosto quota 100 mila. Ma proprio l'aumento delle truppe e l'intensificarsi dei combattimenti stanno facendo salire, come previsto, il numero dei soldati stranieri uccisi. Nella guerra in Afghanistan dal 2001 sono ormai morti oltre duemila militari stranieri, la metà sono americani. Un dato pesante da far digerire all’opinione pubblica, anche se inferiore al dato della guerra in Irak che ne conta più del doppio
Da segnalare, inoltre, l’azione offensiva messa in atto dall’esercito afgano il 3 agosto scorso nel villaggio di Bad Pakh, ad est di Kabul con il tentativo di cacciare i talebani da quella zona, e definita dal New York Times una “débacle” per l’esercito afgano: dieci soldati sono stati uccisi e almeno 20 sono stati catturati dai talebani, prima che arrivassero i rinforzi americani e francesi. Le fonti del ministero della Difesa afgano hanno riferito che qualcuno avrebbe tradito perché quando i militari hanno iniziato ad attaccare, i talebani erano già pronti per un'imboscata. Questa dichiarazione la dice lunga sul "controllo del territorio" da parte dell’esercito alleato e sull’appoggio della popolazione afgana nei confronti della guerra che dovrebbe consegnare loro la democrazia. Di pochi giorni fa, invece, la notizia che alcuni uomini del contingente britannico sono sospettati di usare i voli militari per contrabbandare eroina fuori dall’Afghanistan. E’ in atto un’inchiesta che riguarda soldati che prestano servizio presso le basi aeree di Camp Bastion e di Kandahar, nel sud dell’Afghanistan. L’Afghanistan produce la maggior parte dell’eroina in circolazione nel mondo. Lo scorso anno un trafficante locale aveva dichiarato al domenicale britannico Sunday Times che, dopo i signori della droga, i militari del contingente internazionale in Afghanistan sono i principali acquirenti della sostanza stupefacente.

Le rivelazioni sulla guerra: e sul ruolo del governo Prodi-Bertinotti-Ferrero

La stampa ha dato un certo rilievo nelle scorse settimane ai documenti (oltre 92 mila) pubblicati dal sito Wikileaks: documenti che gettano nuova luce sulle verità che stanno dietro la propaganda bellica. Sono stati diffusi contenuti che molti hanno definito come la più grande fuga di notizie della storia militare americana e in seguito alla quale Obama ha dichiarato il rischio per la sicurezza nazionale. Non sufficiente attenzione (tanto meno dalla stampa di sinistra) ha ricevuto però uno di questi documenti, relativo al governo Prodi che partecipava alla guerra col sostegno del Prc di Bertinotti, Ferrero e Vendola.
In tale documento si dà l'assenso, in una decisione presa nell'ambito di una coalizione di governo in cui erano compresi appunto i politici "pacifisti" e la sinistra governista (Prc, Pdci, Verdi, ecc.), all'invio d’ulteriori truppe: ma questo doveva avvenire "con riservatezza". Il documento era stato catalogato come “confidential” (non comunicabile a persone e a governi non americani) ed è datato 30 maggio 2007.
Nel documento in questione i diplomatici Achille Amerio e Gianni Bardini fanno presente che, “vista la sensibilità politica dell’Italia sulla missione Isaf "(International Security Assistance Force)" la discussione su "altri contributi italiani non dovrebbe essere resa pubblica, ma dovrebbe essere mantenuta a livello di canali tecnici”. Come a dire: la sinistra governista è disponibile e chiude un occhio: purché i suoi elettori e sostenitori non lo sappiano.
Da segnalare che tre mesi prima (17 febbraio 2007) era avvenuta in Italia la manifestazione di quasi duecentomila persone contro la costruzione della base militare Dal Molin a Vicenza e contro il sì di Prodi a tale costruzione, manifestazione che fece vacillare il governo. Quel giorno i dirigenti di Rifondazione sfilavano con le bandiere della pace...

Berlusconi prosegue nel solco di Prodi

Dopo il governo Prodi e i conseguenti provvedimenti d’aumento delle spese militari, il sì alle basi di guerra e l’impegno nei confronti della guerra in Afghanistan (con il voto dei parlamentari di sinistra che avevano costruito la propria campagna elettorale con parole come pace, disarmo, non violenza), il governo Berlusconi prosegue con determinazione nella stessa strada. Lo fa con il consueto modo arrogante, rivendicandone con orgoglio i provvedimenti, consapevole di non avere, al contrario del governo Prodi, nessun elettorato pacifista a cui dover occultare la realtà.
Il decreto n. 102 del 6 luglio 2010 ’'autorizza, per quanto riguarda la missione Isaf in Afghanistan, la presenza complessiva di oltre 3.900 militari.” Un aumento di 1.000 unità del contingente impegnato nella missione nel corso dell'anno 2010. E mentre s’inviano mille soldati in più, si aumentano i mezzi di combattimento: il secondo semestre di guerra in Afghanistan (agosto-dicembre) costerà oltre 393 milioni d’euro, vale a dire più di 65 milioni il mese. Un ulteriore aumento rispetto ai 308 milioni (51 al mese) del primo semestre 2010
Per i bambini afgani che vivono nella miseria e muoiono di fame, d’incidenti e di malattie banali, per le donne la cui emancipazione è ancora più lontana che all’inizio della guerra, per le uccisioni e i morti d’ogni giorno, nessuna campagna su tv e giornali di Stato. Per queste vittime nessun intervento indignato, nessun appello da parte di calciatori e artisti famosi, propagandati a suon battente nei mass media, nessuna manifestazione con candele accese come quelle organizzate dai parlamentari europei per i soprusi e le violenze che avvengono nei Paesi contro i quali si stanno preparando nuove guerre.
Evidentemente, il "diritto alla vita" salta fuori solo quando si parla di... anticoncezionali, legge sull’aborto o eutanasia.
Per questo la cifra di mezzo milione di euro (all’interno dei 393 milioni di euro stanziati) che incasserà la Rai per ''azioni di comunicazione nell'ambito delle Nato Strategic Communications'' non sarà certo utilizzata per dire una parola di verità su questa guerra ma, al contrario, per continuare a confezionare dibattiti e filmati che hanno lo scopo di portare l’opinione pubblica a simpatizzare per cappellani militari, carabinieri e soldati, eroi della guerra giusta. Perché la propaganda di guerra, anche se con strumenti diversi, è quella di sempre.

Guerra sociale e guerra militare a braccetto

Ma anche noi stiamo subendo la guerra, la guerra di classe dei padroni contro il proletariato. Una guerra silente e strisciante che ci parla d’impoverimento di massa, di degrado e disastri ambientali, di calo dei diritti, di sfruttamento nelle fabbriche e nei posti di lavoro, di licenziamenti, d’arroganza padronale, di razzismo, d’umiliazione quotidiana nei confronti delle donne. Una società nella quale ai giovani è sottratto il diritto di imparare in una scuola pubblica, ammassati in classi sempre più affollate, costretti a vivere in città inquinate e violente. Mentre la ricchezza prodotta dai lavoratori è spartita fra pochi gruppi di potenti e ingenti somme di denaro tolti ai salari e alle pensioni, alla sanità e alla scuola pubblica sono dirottati alle scuole confessionali della chiesa cattolica, alle guerre, alle cliniche private, alle imprese e alle banche che, sempre più aggressive, continuano a crescere i loro profitti a danno dei servizi che, privatizzati, sono sottratti alla comunità. I nostri giovani, aizzati uno contro l’altro in modo sempre più esasperato in nome della meritocrazia, parcheggiati per anni in stage e corsi di formazione durante i quali lavorano senza diritti. Giovani lavoratori precari cui il capitale vuole inculcare il concetto che il lavoro è un privilegio, e che lavorare, anche se gratuitamente, è una fortuna. La guerra dichiarata fatta di bombe e distruzione contro alcuni popoli si accompagna alla guerra non dichiarata che viviamo ogni giorno nei nostri posti di lavoro e nelle nostre città.
L’alternativa è sempre la stessa: socialismo o barbarie. Il Partito di Alternativa Comunista, insieme alle altre sezioni della Lega Internazionale dei Lavoratori, è impegnato quotidianamente nei luoghi di lavoro e nella società, affinché, attraverso le lotte, si organizzi la guerra di classe dei proletari contro i padroni. Per costruire finalmente la società di cui la maggior parte della popolazione del mondo ha bisogno.

Patrizia Cammarata - Partito di Alternativa Comunista

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