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Le giustizie a Roma. Celebrando Porta Pia

(19 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

Prete vandeano. Da "Il Vaticano dilaga in Italia" (Minitrue)

Per la prima volta dopo 140 anni alle celebrazioni ufficiali della “breccia di Porta Pia” parteciperà il Vaticano, cioè lo “sconfitto”. Forse perché si è accorto, come molti, che la breccia non è servita allo stato italiano per prendere Roma, ma al papa per invadere l’Italia. A riprova Alemanno ha vietato ogni altra celebrazione, salvo quella di Militia Christi dedicata a ricordare i“tragici eventi” che portarono il “liberal-massonico Regno sabaudo a invadere lo Stato Pontificio allora libero, sovrano e popolare”.

Da parte mia, celebrerò il 20 settembre raccontando della tortura e della pena di morte vigenti nello Stato pontificio.

Ademollo e Mastro Titta

“Giustizie” erano dette le esecuzioni capitali che avevano luogo nello Stato pontificio e Le giustizie a Roma è il libro che ad esse dedicò nel 1882 il liberale A. Ademollo. L’autore vi ripubblica un diario dell’abate Placido EustachioGhezzi, con una cronologia delle esecuzioni nella sola Roma dal 1674 al 1739, nuda fino al 1697, poi via via più ricca di dettagli. Ad essa Ademollo fa seguire vari documenti fra cui le “Annotazioni” del più celebre carnefice pontificio, Gio Batta Bugatti, più noto come Mastro Titta, sulle sue esecuzioni in tutto lo Stato pontificio: una registrazione incompleta, cui Ademollo rimediò nel 1886 con un secondo volume, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano per tutto il periodo in cui fu in carica (1796-1864), seguite da quelle del suo successore Vincenzo Balducci, attivo solo sei anni (1864-1870), ossia fino alla presa di Roma. Mastro Titta, in particolare, ebbe modo di cimentarsi con “ogni genere di supplizio” e in tutti, “mazzola, squarto, forca, ghigliottina, mostrò sempre eguale abilità”. Merito non da poco, se si pensa che in quei secoli furono numerosi i supplizi in cui il giustiziato tribolava perfino a morire per l’inesperienza di carnefici spesso improvvisati.

Mastro Titta (stampa)

Supplizi e suppliziati dal XIV al XVI secolo

Oltre a fornire dati puntuali sulle esecuzioni capitali relative ai periodi citati, Ademollo ci dà, nelle introduzioni ai due volumetti, utili informazioni sulle epoche precedenti, a partire dal XIV secolo, per quanto riguarda la pena di morte, in uso nello Stato pontificio fin dalle origini, e le “pratiche crudeli” da cui oggi la Chiesa cerca di prendere le distanze. Parliamo qui, naturalmente, delle sole condanne comminate ai sudditi dello Stato pontificio per reati politici o comuni, nei quali rientravano (dato il carattere confessionale e teocratico dello stato) alcuni peccati-reati (bestemmia, adulterio, libertà di stampa, omosessualità), ma escluse le condanne comminate dall’Inquisizione.

Per tutto il Medioevo, informa Ademollo, “campo di giustizia era sempre la Rupe Tarpea” dove, ”presso un leone di basalto i delinquenti udivano la lettura della sentenza che li condannava, e quanto ai malfattori di bassa condizione solevasi porli a cavalcione di quel leone con una mitra in testa e con la faccia impiastricciata di miele” (Gregorovius, Storia di Roma, vol. VII, p. 853). Dal 1488, continua Ademollo, “venne designato per luogo di giustizia un recinto davanti al Ponte S. Angelo, nelle cui adiacenze era il vicolo denominato del Boja” e “Nel 27 maggio 1500, in pieno Anno Santo, i pellegrinanti a S. Pietro ebbero la dolce sorpresa di passare il Ponte fra due file d’impiccati”, nove per parte. Ma anche Campo dei Fiori e altri luoghi cominciarono a venire usati per le esecuzioni.

Il supplizio solitamente usato fino al Cinquecento per nobili ed ecclesiastici (quando non venivano strangolati direttamente in cella, come il cardinal Carafa nel 1561) era la decapitazione (in luoghi chiusi o con poco pubblico) mediante uno spadone. I non nobili invece (compresi “foglianti”, ossia i giornalisti del tempo) venivano impiccati sulla forca mentre per colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi si ricorreva a un tormento fra i più barbari: la mazzolatura semplice (cioè l’uccisione mediante bastonatura al capo con una sorta di mazza) o la mazzolatura con squarto (il condannato veniva colpito con una violenta bastonata al capo e poi, mentre ancora era tramortito, squartato). A questi supplizi si affiancarono pene corporali e mutilazioni, che niente avevano a che fare con il diritto romano, invocato come scusante dal Catechismo del 1992.

Un secolo di papi feroci

Nel Cinquecento, nel clima della lotta contro il protestantesimo e dell’Inquisizione romana, crebbe la inflessibile durezza del papato, specie con Giulio III, Paolo IV, Pio V (santo) e Sisto V alquale, come egli stesso diceva, le esecuzioni capitali mettevano appetito. Ciò si tradusse anche in un aggravamento delle pene corporali per taluni reati o nell’estensione ad altri della pena di morte. Giulio III, si propose di perseguire la bestemmia con pene smaccatamente di classe: “I bestemmiatori... se ricchi siano costretti a pagare 40 scudi d’oro, se poveri 10; se non possono metterne insieme neanche 10, paghino con pene corporali. Ai nobili, se riconosciuti colpevoli per la seconda volta, ricchi o poveri che siano, la pena pecuniaria sia raddoppiata rispetto alla prima, e siano esclusi con infamia da ogni beneficio, grado, dignità, onore. Ai non nobili si trapassi la lingua. Ai nobili riconosciuti colpevoli per la terza volta, ricchi o poveri che siano, la pena pecuniaria sia triplicata, come sopra. Siano poi privati secondo legge di ogni beneficio ecclesiastico, ufficio, dignità, titolo, magistratura, onore; non possano né lasciare né ricevere eredità, né rendere testimonianza e siano banditi per tre anni da Roma. Ai non nobili tocchino la fustigazione o la deportazione alle trireme per tre anni; e l’esilio perpetuo”. Né si evitò di ricorrere nella stessa bolla, anche per questo reato, al costume della delazione, introdotto già nel Medioevo insieme all'Inquisizione: “Chi vuole fare una denuncia segreta, deve scrivere di suo pugno un documento col nome e il tipo di bestemmia, il luogo e il giorno…”.

Pio V (santo)

Analoghe misure contro chi avesse profanato la domenica o bestemmiato adottò nel 1566-72 Pio V, come ci informa Ranke nella sua Storia dei papi (C94): “Un uomo del popolo però, il quale non possa pagare, per la prima volta deve stare un giorno davanti alle porte della chiesa con le mani legate dietro la schiena; per la seconda volta deve essere portato per la città e fustigato; per la terza volta, gli sia forata la lingua e sia mandato alle galere”. Ma il “santo” Pio V, che si distinse anche per la ferocia con cui esercitò la sua azione inquisitoria, colpì inoltre con la pena capitale l’omosessualità e l’esercizio della libertà di stampa: nel 1569 fece impiccare un editore e fogliante, Nicolò Franco, reo di aver scritto delle pasquinate contro il papa.

E alcuni anni dopo, nel vero e proprio stato di polizia creato da Sisto V, sorte ancora peggiore toccò ad Annibale Cappello, “scomunicato da Sua Santità et cascato in censura et pene ecclesiastiche”: il 14 novembre 1587 gli “Avvisi di Roma” danno notizia che giustizia è stata fatta: “Hier sera fu degradato in S. Salvatore del Lauro quel don Annibale Cappello, et questa mattina è stato condotto al luogo solito della giustizia in Ponte, dove prima li è stato mozza una mano, tagliato la lingua et impiccato”. A queste “crudeltà” Sisto Vera del resto aduso. Il giorno stesso della sua incoronazione, racconta Ranke, nonostante molte richieste di grazia, fece impiccare e appendere vicino al ponte di Castel S. Angelo quattro giovani che portavano un tipo di fucili vietato e poco dopo, sordo a ogni supplica, fece giustiziare un giovane ancora fanciullo reo di aver resistito “agli sbirri che gli volevano togliere un asino”. Con la stessa inumana inflessibilità Sisto decretò con specifiche bolle che la pena di morte fosse estesa all’aborto ma anche all’uso di contraccettivi, all’incesto e perfino all’adulterio.

Pena capitale anche per reati diversi dall’omicidio

Dal XVII al XIX secolo esecuzioni capitali e torture continuarono colpendo, sia pure in modo non prevalente, anche reati politici, offese alla religione (come il furto di due pissidi) e libertà di stampa.

Inoltre, dal Libro del Ghezzi e dalle Annotazioni di Mastro Titta, ricaviamo dati precisi su quantità e tipo di esecuzioni in Roma almeno per due periodi che coprono oltre 130 anni. Nei 65 anni annotati dal Ghezzi, ad esempio, ossia dal 1674 al 1739, vi furono a Roma 210 “giustizie” (3,3 all’anno), di cui tuttavia circa il 40% per reati diversi dall’omicidio (furti, falsificazione di denaro, rapine, reati politici o religiosi) e furono una trentina gli squartati. Nei 68 anni in cui fu carnefice Mastro Titta, invece, ossia fra il 1796 e il 1864, le “giustizie” furono 514, un record ineguagliato, cui vanno aggiunte le 13 del suo successore Balducci dal 1864 al 1870. Si tratta però di esecuzioni effettuate non solo a Roma ma in tutto lo Stato pontificio e da cui vanno tolte quelle eseguite nei 4 anni (1810-1813) in cui lo Stato pontificio fu annesso alla Francia napoleonica la quale, con 56 esecuzioni (13 l’anno!), diede una ben trista immagine di sé. Da notare che circa il 22% dei giustiziati dallo Stato pontificio non erano omicidi o, in una decina di casi, avevano commesso reati politici.

Tortura della veglia e della corda

Quanto al tipo di supplizi sono notevoli le informazioni tratte dagli 8 volumi dei Voyages (1730) di padre Labat e riprodotte in francese nel secondo volume dell’Ademollo (C107, pp.20-36). Labat testimonia che ancora ai primi del Settecento erano in uso nello Stato pontificio soprattutto due tipi di tortura, entrambi molto dolorosi, della veglia e della corda, mentre le pene continuavano a essere quelle che si è detto sopra: decapitazione (da un certo punto in poi con la mannaia) per nobili ed ecclesiastici; per i non nobili forca e mazzolatura con squarto. Quest’ultima, precisa Ademollo, fu soppressa durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30) ma ripristinata dal suo successore Clemente XII. “L’eguaglianza davanti alla pena, se non alla legge”, commenta Ademollo, “venne in Roma soltanto dopo la rivoluzione” quando insieme al governo francese arrivò la ghigliottina (1810-13). Ma col ritorno del papa tornarono forca (usata l’ultima volta nel 1829) e mazzolatura semplice (ultima volta nel 1816) o con squarto (ultima volta nel 1826). Poi si impose per tutti la ghigliottina, in qualche occasione la fucilazione. L’ultima “giustizia” fu eseguita il 9 luglio 1870. Due mesi dopo lo stato pontificio cessava di esistere. Nel frattempo, naturalmente, almeno fino a quasi tutto il Settecento erano continuate in parallelo anche le altre morti, ancora più lente e dolorose, come rileva Ademollo, degli eretici arsi a fuoco lento o murati vivi e uccisi a poco a poco come due donne di cui racconta Rucellai nello Zibaldone quaresimale, murate in due pilastri di una chiesa, “solo con una buca dove si porge loro il mangiare”.

Due papi… beati

Consideriamo da ultimo, per la loro rilevanza in pratica omicida, due papi fatti entrambi “beati” a distanza di mezzo secolo uno dall’altro: Innocenzo XI e Pio IX.

Al primo, come informa Ademollo, toccò riprendere, dopo un periodo relativamente più mite, la serie delle impiccagioni per reati d’opinione, mandando alla forca nel 1685 Bernardino Scatolari, “carico di moglie e cinque figli” e colpevole solo di aver scritto i soliti “foglietti”. Durante il suo pontificato furono perseguitati i quietisti spagnoli e gli ateisti napoletani ed eseguite 65 condanne capitali nella sola città di Roma, anche per reati inferiori all’omicidio: Pio XII lo proclamò beato nel 1956.

Pio IX

Ancora peggiore di Innocenzo fu Pio IX, beatificato nel 2000, fra le proteste di vari ambienti cattolici, dal santosubito Giovanni Paolo II. Di lui si ricorda il rapimento di due bambini ebrei (in quanto erano stati proditoriamente battezzati da fantesche bigotte e quindi diventati “proprietà” della Chiesa). Di lui si ricordano le infallibili bestialità del Sillabo contro quelle libertà (di culto e di coscienza) che oggi Ratzinger, con bugiarda improntitudine, dichiara massimamente care, da sempre, alla Chiesa.

Limitandoci al suo curriculum di papa re ricorderemo che prima concesse, poi revocò, alcune libertà scatenando una feroce repressione nei territori pontifici pur di cercar di salvare un potere temporale ormai agonizzante. Né risparmiò, nonostante la richiesta di grazia del re d’Italia, Giuseppe Monti e Gaetano Targetti, responsabili di un attentato compiuto nel 1867 mentre Garibaldi tentava di liberare Roma. Furono i due patrioti fra gli ultimi della lunga scia di condannati a morte che il “beato” e ultimo papa re (profondamente religioso, assicurano gli apologeti) può vantare.

La Città del vaticano

Dopo il 1870 il papa si trovò senza potere temporale e cessarono le “giustizie” ma ancora non fu cancellata, almeno in via teorica e di principio, la pena di morte. Essa era ancora prevista dalla Legge fondamentale della Città del Vaticano del 7 giugno 1929, all’art. 4. Questa norma fu abrogata solo dall’art. 44, comma 1 della legge del giugno 1969 che modificava la legislazione penale e la legislazione processuale dello Stato del Vaticano, in armonia con la svolta avviata dal Concilio Vaticano II per rinunciare, benché non in via di principio, alla pena di morte e alle “pratiche crudeli” di cui la Chiesa è stata maestra per grandissima parte della sua storia.

"Dei delitti e delle pene". Incisione del Lapi per l'edizione del 1765

Si dirà, si è detto, che in questa materia la Chiesa si è limitata a riflettere lo spirito dei tempi, fino a poco fa favorevole, anche in campo laico, alla pena di morte. Se non fosse che la Chiesa, quando le serve, invoca a sua scusante, relativisticamente, lo “spirito dei tempi” mentre quando le torna comodo si vanta maestra infallibile di precetti eternamente validi in opposizione allo “spirito dei tempi”, ad esempio in fatto di sesso, aborto o eutanasia…

E va comunque ricordato che il “relativista” Cesare Beccaria aveva pubblicato Dei delitti e delle pene un secolo prima che nello stato guida della verità venisse dismessa la tortura e due secoli prima che venisse eliminata la pena di morte. Buona Porta Pia a tutti.

www.cattolicesimo-reale.it

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