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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Per il congresso straordinario del PRC

di Marco Ferrando (articolo di Liberazione)

(9 Ottobre 2003)

Vivo è l’allarme nel nostro partito per la “svolta” di governo che è stata intrapresa. Ed è naturale che sia così.

Sono stati celebrati ben due congressi del PRC valorizzando formalmente la rottura con Prodi come paradigma di un’autentica Rifondazione. Oggi celebriamo la prospettiva di ricomposizione di governo con Romano Prodi (e di una possibile aggregazione col PDCI di Cossutta e altri soggetti) nel nome… della linea del Congresso.

Ancora pochi mesi or sono si sentenziava formalmente la “morte” dell’Ulivo rivendicando la “rottura della gabbia del Centrosinistra” e criticando (timidamente) il cofferatismo per la sua “illusione” di riformare l’Ulivo grazie al concorso dei movimenti. Oggi si rivendica una ricomposizione di governo con l’Ulivo (nel momento stesso dell’approdo definitivo della maggioranza DS in un Centro liberale unificato); e si chiede ai movimenti di integrarsi in quella prospettiva occupando di fatto il ruolo vacante di Cofferati.

Ci si può forse stupire dello sconcerto profondo che oggi investe tanta parte del nostro partito?

Tuttavia il cuore del problema non sta nella disinvoltura spregiudicata della “svolta”. Sta nella sua natura politica: nelle sue potenzialità distruttive –misuro le parole- delle ragioni sociali e politiche del PRC.

Non è in discussione, com’è ovvio, la centralità tematica della “cacciata di Berlusconi”. Vorrei ricordare ancora una volta che è stata la minoranza congressuale ad aver proposto al partito l’assunzione di questa parola d’ordine. E proprio in sede di Congresso: proprio quando l’ascesa dei movimenti nel biennio 2001-2002 poneva obiettivamente all’ordine del giorno la cacciata di Berlusconi da un versante di massa e di classe. Oggi, finalmente, si assume quella indicazione? Potrei dire con un vecchio adagio: “meglio tardi che mai”. Ma il punto è che la si assume entro un quadro di accordo col Centro liberale e in funzione di un governo col Centro liberale. E qui la divergenza non potrebbe essere più radicale.

Al governo coi banchieri?

Il Centro liberale dell’Ulivo –Margherita e maggioranza DS- si attrezza a rimpiazzare Berlusconi. E’ indubbio. Ma vuole rimpiazzarlo dal versante dei poteri forti del paese: di quel mondo di grandi imprese e di grandi banche che non si è mai identificato nel berlusconismo, nel suo affarismo familistico, nel suo personale da parvenù. E che tanto più oggi accentua il proprio scetticismo verso un esecutivo traballante, ostaggio della Lega, incapace di una politica bypartisan e di concertazione.

Questo è il blocco d’interessi che trova rappresentanza nel Centro dell’Ulivo e che sospinge la sua unificazione in un partito unico liberale (altro che “riformista” !). Questo è il blocco d’interessi che detta al nuovo partito in gestazione il suo programma: l’investimento strategico nell’Europa del capitale, il completamento e stabilizzazione della II Repubblica, un nuovo massiccio trasferimento di risorse pubbliche verso le imprese (ricerca, sostegno agli investimenti esteri, nuova detassazione dei profitti, sviluppo delle spese militari) pagato dalla continuità delle politiche controriformatrici oggi dilaganti in tutta Europa (completamento della “riforma” della previdenza, rilancio delle liberalizzazioni, razionalizzazione delle flessibilità).

Chi pensasse che questo è il “vecchio” programma del centrosinistra perché oggi l’Ulivo sarebbe “cambiato”, può consultare la rassegna stampa quotidiana. Non di ieri ma di oggi. E così leggervi la rivendicazione dell’”estensione del contributivo per tutti e del vero sviluppo della previdenza complementare” (Tiziano Treu su Il Riformista del 3 ottobre, Massimo D’Alema su Panorama del 4 ottobre). Oppure la pubblica protesta de La Margherita contro il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan a favore di “finanziamenti aggiuntivi per le forze armate affinchè nei prossimi mesi possa tornare il contingente italiano” (F. Rutelli su Il Riformista del 10 settembre). O ancora l’affondo di Violante a favore della II Repubblica:”Il paese più competitivo è quello che decide con maggiore rapidità. Sono per il maggioritario in nome della stabilità e della competitività. E’ questo l’interesse generale del Paese” (l'Unità 18 settembre). Si potrebbe continuare a lungo.

Nulla di strano, s’intende. Se solo si osserva la nomenclatura di classe delle annunciate candidature europee 2004, nell’eventuale lista Prodi-D’Alema (Bazoli di Banca Intesa, Profumo di Unicredito, Padoa Schioppa e Monti) si comprende bene il codice di quel programma: è il programma dei banchieri per l’Italia dei banchieri, nell’Europa dei banchieri. E chi meglio di Romano Prodi può garantire la rappresentanza dei banchieri europei in Italia, e dei banchieri italiani in Europa?

Il paradosso della svolta

Ecco allora il nodo che ci sta di fronte, nella sua spietata chiarezza. Il problema non è se il Centrosinistra è “ancora” troppo liberista e se il movimento è “ancora” poco sviluppato per ”la soluzione di governo”, come ritiene -pur criticamente- il compagno Malabarba. Il problema è se vogliamo traghettare PRC e movimenti nel governo della classe avversaria. Perché questo è ciò che oggi tutti i dirigenti liberali ci chiedono con l’offerta di ministri del PRC in un governo di legislatura. E questo è ciò che purtroppo la maggioranza dirigente del PRC è di fatto disposta a concedere presentando quello sbocco come un “successo” dei movimenti e una ragione di “entusiasmo”per il partito.

Qui sta davvero –a me pare- l’enormità e il paradosso della svolta. Come si possono piegare gli argomenti più nobili ad una prospettiva politica che li capovolge ?

In nome della lotta al magnate Berlusconi si prospetta un governo col capitale finanziario. In nome della “pace” e di “un’altra Europa” si prospetta un governo con i massimi garanti di questa Europa e del suo militarismo. In nome della centralità del movimento e delle lotte si propone un governo con i campioni della concertazione e della pace sociale. In nome dell’alternativa- e della “sinistra di alternativa”- si prospetta un governo con i liberali controriformatori. Può esservi un capovolgimento più clamoroso delle nostre ragioni di classe e delle istanze più profonde dei movimenti di questi anni su tutti i terreni e da tutti i versanti? Ed è un caso che tutto il Centro liberale dell’Ulivo senza eccezione plauda entusiasta alla svolta del PRC salutando “il ritorno del figliol prodigo”?

Un’altra politica è necessaria e possibile

Un'altra politica è necessaria e possibile. Non solo “per noi”, ma per i lavoratori e i movimenti di massa. E’ una politica che non ignora affatto l’opportunità di accordi tecnici sul solo terreno elettorale, al fine di battere Berlusconi. Ma che parte da un logica di classe totalmente indipendente, in alternativa alla Borghesia italiana.

Se i liberali propongono ai movimenti di fare da sgabello a un’alternanza borghese antioperaia noi possiamo e dobbiamo proporre loro di rompere col Centro liberale, di unire le proprie forze nell’azione di massa su un programma indipendente per rovesciare Berlusconi dal versante dei lavoratori. E’ la proposta di un polo autonomo di classe anticapitalistico.

Una proposta “inattuale” ? Al contrario. E’ una proposta che già doveva essere lanciata come terreno di sfida unitaria a tutte le forze impegnate al nostro fianco nella battaglia referendaria sull’articolo 18, anche entrando nelle loro contraddizioni. Ed è tanto più oggi una proposta attualissima sullo sfondo della lotta contro Berlusconi e per le pensioni, che proprio il Centro liberale, ancora una volta, ignora e sabota.

Da dove nasce infatti il topolino di 4 ore di sciopero, a distanza di un mese, senza manifestazione nazionale, a fronte di un attacco governativo tanto grave e provocatorio? Nasce dal fatto che non si può liberare un’azione di lotta vera e prolungata contro Berlusconi per il rilancio della previdenza pubblica, senza rompere con Prodi, con i suoi banchieri, con le sue raccomandazioni a colpire le pensioni in tutta Europa. Questa è la verità. La subalternità a Prodi e al Centro liberale lega le mani al movimento operaio e sindacale a tutto vantaggio di Berlusconi e dei liberali dell’Ulivo: di Berlusconi che può sperare di sopravvivere alle proprie difficoltà; dei liberali dell’Ulivo che sperano apertamente che Berlusconi imponga una “vera” riforma antioperaia della previdenza risparmiando quell’onere al futuro governo di alternanza.

Viceversa solo una rottura col Centro liberale da parte del movimento operaio e delle sue organizzazioni, di tutti i movimenti e delle loro rappresentanze, può consentire di congiungere una lotta intransigente oggi sulla previdenza pubblica alla prospettiva dell’unica vera alternativa: un’alternativa anticapitalistica e di classe. Un’alternativa che, per essere tale, cancelli innanzitutto le controriforme sociali, politiche, istituzionali realizzate in dieci anni sia dal Centrosinistra sia dal Centrodestra.

Il bivio

Questo é dunque il bivio di fronte a cui ci troviamo. E’ il bivio tra l’autonomia di classe e la coalizione con la borghesia, fallita in un secolo e tanto più fallimentare oggi. Questo bivio riguarda lo stesso futuro dell’opposizione comunista. Ma anche il futuro delle ragioni e delle aspettative di quella nuova generazione che ha rialzato la testa.

Per questo è essenziale che tutti i militanti, al di là di ogni vecchio confine di mozione, si battano nel nostro partito, senza abbandoni e defezioni, per scongiurare quella deriva distruttiva. Da qui la richiesta sempre più vasta del Congresso Straordinario: perché il futuro del PRC hanno il diritto di deciderlo tutti i compagni, in un quadro di confronto paritario e con poteri decisionali. Non possono deciderlo, in una sfera separata, i soli gruppi dirigenti. Non era anche questo l’impegno della Rifondazione?

Marco Ferrando

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