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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Democrazia rappresentativa delegata o autorganizzazione?

(29 Settembre 2010)

Per il capitalismo la soluzione migliore per fare affari è quella dove esiste la pace sociale, in cui la “normalità” è determinata dal patto sociale fra i “rappresentanti dei lavoratori” e il governo, comitato d’affari della frazione della borghesia imperialista dominante. Ormai da decenni, nella società dominata dal capitale industriale-finanziario, delle grandi banche, la democrazia è diventata un optional da alternare con l’altra faccia della medaglia, più repressiva, da usare quando la prima non serve più a convincere e a contenere le rivendicazioni operaie.

Il parlamentarismo, il sindacalismo - elementi necessari e stabilizzanti della “democrazia industriale” - hanno formato da tempo una casta di politici, giornalisti, sindacalisti e funzionari di regime ben pagati, ben inseriti nella società borghese, con condizioni di vita e di lavoro molto diverse e lontane da quelle dei proletari, cioè di quella parte di esseri umani che non arriva a fine mese e che molto spesso fatica a mettere insieme il pranzo con la cena.
I politici di tutti i partiti (di centrodestra e di centrosinistra) e i dirigenti dei sindacati di regime CGIL-CISL-UIL-UGL- e di quelli falsamente autonomi ma sul libro paga degli industriali, sono diventati una casta lontana dalle condizioni di vita dei lavoratori che, difendono la classe borghese che li foraggia.
Quei pochi elementi, provenienti dal proletariato, una volta inseriti nell’anticamera delle stanze dei bottoni, cambiando condizioni materiali e sociali, dimenticano presto il sudore dello sfruttamento. Questi “rappresentanti” sindacali e politici, funzionari di organizzazioni con enormi possibilità finanziarie dovute ai finanziamenti pubblici e privati “donati” ai partiti e derivanti dalle attività dei patronati, tendono sempre più a rappresentare e a fare gli interessi dell’organizzazione che li paga, a cui subordinano le lotte e gli interessi dei lavoratori.
Per essi, l’organizzazione non è più il mezzo per raggiungere degli obiettivi, ma diventa il fine ultimo da difendere ad ogni costo e sopra tutto.

La crisi di militanza dei partiti e sindacati deriva dal fatto che ormai da anni i loro organismi dirigenti sono composti da professionisti - molti dei quali usciti dai centri studi e dalle università che pensano soprattutto alla carriera personale - con interessi sempre più divergenti da quelli che dicono di rappresentare.
Anche i sindacalisti di professione fanno prima di tutto l’interesse dell’organizzazione a cui appartengono e da cui ricevono la busta paga, pena il licenziamento. Per questo ogni esempio di ribellione, di lotta autonoma, sciopero spontaneo che sfugge al loro controllo viene visto come elemento di disordine che produce caos e va a spezzare l’equilibrio stabilito.
Questo si evidenzia ancor più quando le lotte assumono forme e contenuti anticapitalistici, quando in alcune circostanze spezzoni o settori di classe operaia dichiarano apertamente che non si limitano a lottare per ridurre o limitare lo sfruttamento, ma si pongono l’obiettivo di eliminarlo.
Le leggi e la morale che regolano la società basata sulla logica del profitto - accettata uniformemente da tutti i partiti di centrodestra e centrosinistra e dai sindacati concertativi e collaborazionisti - sono funzionali al mantenimento della condizione del proletariato in schiavitù. Coloro che traggono vantaggio e si alimentano (come i giornalisti, gli intellettuali ecc.) dello sfruttamento capitalistico degli operai in varia misura descrivono la borghesia e il “sistema democratico” borghese come il migliore dei mondi possibili, un mondo senza alternative.
Noi sappiamo - per esperienza pratica e storica - che nella società capitalista il proletariato è la classe sfruttata e la più grande forza produttiva della società, l’unica in grado di sovvertire attraverso la sua iniziativa rivoluzionaria questa società. Solo con il potere operaio è possibile costruire una società con al centro i bisogni degli esseri umani, una nuova morale e nuove leggi che condannino lo sfruttamento come crimine contro l’umanità.

Noi siamo per l’autorganizzazione della classe proletaria. Secondo noi oggi serve un partito operaio rivoluzionario inserito nella realtà della lotta di classe, che non lotti solo per mandare alcuni rappresentanti o dirigenti ad occupare qualche scranno parlamentare. Non abbiamo bisogno di intellettuali che parlino a nome degli operai, ma di intellettuali che sappiano mettersi umilmente, senza riserve, al servizio della classe proletaria, senza mai dimenticare che i veri nemici di classe non sono i gruppi politici concorrenti, ma sono i padroni, la classe borghese, il capitalismo, l’imperialismo e il suo stato.

Bisogna cominciare a riconoscere che la realtà della lotta di classe ha dimostrato che gli organismi di rappresentanza ( sindacati, partiti ecc ) e gli operai autorganizzati sono due cose diverse.
In Italia gli attuali partiti, anche quelli che si definiscono proletari, “comunisti” e gli stessi sindacati, inseriti nel sistema, anche se hanno nelle loro file dirigenti o funzionari provenienti dal proletariato, hanno interessi divergenti dalla massa proletaria.
Questi, dopo aver lasciato la fabbrica, il cantiere o il luogo di lavoro, essendo pagati dall’organizzazione, tendono a staccarsi dalla classe e quando l’organizzazione a cui appartengono entra in conflitto con gli interessi proletari , per non rischiare il loro posto di lavoro difendono l’interesse dell’organizzazione che li paga.

In questi anni abbiamo visto spesso usare parole come “sindacato dei lavoratori”, “partito della classe operaia o dei lavoratori” da parte di intellettuali e dirigenti (a volte non privi di fascino), ma che nascondevano al fondo una sfiducia, e in alcuni casi un disprezzo, per la classe proletaria, come se gli operai non fossero in grado, come invece succede nella pratica di tutti i giorni, di organizzarsi da sé e camminare con le proprie gambe creando la loro organizzazione.
L’unità di classe, quella che si realizza quando si lotta sugli stessi obiettivi è il cemento della solidarietà fra gli sfruttati. Istituzionalizzare gli organismi dei lavoratori, le organizzazioni operaie, partiti, sindacati, e RSU, trasformandoli da organismi di lotta in organismi di pura rappresentanza, ha significato vanificare il loro carattere sovversivo e conflittuale, trasformandoli in organismi di regolamentazione della forza lavoro, cioè in organismi funzionali al sistema capitalista.
L’organizzazione proletaria è assolutamente necessaria - ma al contrario di quella borghese - deve basarsi sulla partecipazione democratica attiva. Si possono anche dividere compiti e funzioni , ma senza delegare a nessuno la difesa dei nostri interessi che deve riguardare tutti. Non dare deleghe in bianco significa imporre il principio della revoca del mandato per tutte le cariche politiche e sindacali in tutti gli organismi e questo salvaguardia il principio dell’indipendenza operaia da chiunque.
Non si può accettare che un gruppo dirigente di un partito o di un sindacato sia a vita o lasciato in eredità.
I proletari, gli operai, i lavoratori che prendono coscienza della causa del loro sfruttamento, che vogliono abolire lo stato di cose presenti, un sistema che produce miseria, guerre, fame, sete, morti sul lavoro e di lavoro, cioè lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo causato dagli gli attuali rapporti di proprietà privata diventati un ingombro e un impedimento al benessere generale dell’umanità, si devono unire e organizzare per combattere classe contro classe.
Il proletariato non può liberarsi definitivamente e completamente se non liberando tutta l’umanità, per questo ha bisogno di un partito veramente rivoluzionario, nelle forme e nei contenuti, composto nella stragrande maggioranza da operai e proletari che sappiano imporre con la lotta in ogni campo - teorico, politico, sindacale, ecc - i loro interessi generali, contro l’imperialismo e tutti i suoi sostenitori.

Michele Michelino
Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli”

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