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29.09.10 - Sintesi dell’intervento di Giorgio Cremaschi al seminario Cgil sulla contrattazione

(29 Settembre 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.rete28aprile.it

Mercoledì 29 Settembre 2010 11:12
Todi 22/23 settembre 2010 (...)

Ritengo che non si possa continuare a discutere di proposte e alchimie contrattuali senza fare una riflessione sui disegni e sui progetti sociali. Su quelli nostri e su quelli che abbiamo di fronte. Non possiamo continuare a ignorare che siamo di fronte a un degrado senza precedenti della condizione di lavoro e dei salari e che in una situazione di crisi continuare a parlare di salario legato alla produttività significa semplicemente programmare la riduzione delle retribuzioni. Il progetto sociale che abbiamo di fronte, al di là delle chiacchiere, è quello di competere sul terreno del costo del lavoro e dei tagli allo stato sociale e ai diritti. L’attacco al contratto nazionale è un cardine di questo progetto, ed è per questo che la vicenda di Pomigliano e la conseguente estensione delle deroghe contrattuali a tutti i lavoratori, è diventata centrale. Sappiamo bene che ci sono piccole e medie imprese che hanno altri problemi e che esprimono altri sentimenti, ma il disegno politico della Confindustria e delle grandi imprese italiane è oggi chiarissimo: scardinare il contratto nazionale e individualizzare sempre di più il rapporto di lavoro. In questo contesto bisogna prepararsi a scegliere. O si seguono la Cisl e la Uil sul terreno della connivenza e della complicità con questo disegno, oppure questo disegno lo si contrasta. Occorre un altro progetto sociale fondato sulla giustizia, l’eguaglianza, un altro modello di sviluppo e, naturalmente, sulla crescita dei salari e sull’estensione dei diritti. Non possiamo farci dire da Luciano Gallino, che sicuramente non è un rivoluzionario, che senza una consapevole e democratica lotta di classe il sistema industriale ed economico del paese regredisce. Dobbiamo essere consapevoli che il quadro di compatibilità che ci viene offerto da Governo, Confindustria, Cisl e Uil è per noi inaccettabile perché significa rassegnarci al degrado sociale e dei diritti nel paese. Se abbiamo un altro progetto sociale dobbiamo avere anche un altro progetto contrattuale. Non ci sono quindi le condizioni oggi per un aggiustamento dell’accordo separato del 22 gennaio 2009. Più volte la Confindustria ci ha detto che quell’accordo può essere solo integrato dalla presenza della Cgil, con piccole verifiche. D’altra parte oramai è chiaro che la questione delle deroghe è diventata centrale per tutti e se verrà concordata da Federmeccanica con Fim e Uilm, sarà inevitabilmente richiesta a tutto il mondo del lavoro.
Se accettiamo questo terreno, come hanno fatto i chimici, nella sostanza accettiamo l’accordo separato, se lo contrastiamo non c’è spazio per un aggiustamento a breve. A volte è la realtà a imporci le scelte, al di là di tutte le nostre capacità di manovra.
Dopo trent’anni nei quali ai lavoratori si sono chiesti sacrifici in cambio dello sviluppo, dovremmo essere in grado di rifiutare questo scambio perdente, visto che i sacrifici ci sono ma lo sviluppo no. Oramai è chiaro che la Confindustria è disposta a fare accordi con noi solo se questi accordi riducono le libertà e i diritti dei lavoratori. Questo è anche lo schema dei vari patti sociali, patti dei produttori, patti di competitività che ci vengono proposti. Sono accordi centralizzati che riducono la libertà di contrattazione e le libertà dei lavoratori. Per questo è giusto sostenere che l’attacco che oggi subisce la Fiom, e con essa la Cgil, non riguarda tanto le organizzazioni in sé, ma le libertà dei lavoratori. Lo scontro avviene con chi, come la Fiom e come la Cgil, sceglie di tutelare le libertà dei lavoratori contro le controparti. Ma se tu accetti di partecipare a questo processo, come hanno fatto Cisl e Uil, diventi interlocutore delle aziende. Un interlocutore che ha però un perimetro d’azione definito dalla competitività e dal comando dell’azienda sull’organizzazione del lavoro. Più fai accordi, meno devi contrattare davvero nei luoghi di lavoro. Più vieni riconosciuto meno devi esistere davvero là dove si lavora. Questo è lo scambio che ci viene proposto, accentuando in senso autoritario uno schema che era già contenuto nell’accordo del 23 luglio 1993. Da quell’accordo la Confindustria propone di uscire “da destra”, cioè con ulteriori vincoli a tutta la contrattazione e con lo snaturamento del contratto nazionale che da minimo garantito ai lavoratori diventa il massimo dal quale chiunque può derogare in basso. Per questo credo che si debba uscire dal politicantismo espresso da parole come “dialogo” e “confronto” e tornare a fare il nostro mestiere: quello della contrattazione e del conflitto sociale. Se facciamo questo diamo una speranza ai lavoratori e al paese, se invece chiniamo la testa agli accordi già fatti, accettiamo anche noi il degrado sociale ed economico.

www.rete28aprile.it

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