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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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    Per una nuova stagione politica

    alternativa al centrosinistra e contrapposta alle destre

    (1 Ottobre 2010)

    Come compagni e compagne dell’area politica “resistenze sociali” abbiamo già espresso le ragioni del nostro dissenso alla linea congressuale di Sinistra Critica e alle scelte conseguenti sul piano delle alleanze e sul piano elettorale, nel documento fondativo e in successivi contributi politici.
    Pur tuttavia, riteniamo corretto, sul piano metodologico fare una nuova valutazione delle analisi e delle proposte politiche che abbiamo elaborato, alla luce degli avvenimenti politici, sociali ed economici degli ultimi sei mesi.

    La questione democratica in Italia

    Confermiamo, sul piano analitico e politico che, nella drammatica fase attuale caratterizzata da una crisi economica devastante e da una crisi politica e democratica assai pericolosa, sia necessario mettere in campo politiche di ricomposizione, di blocco e di fronte unico rispetto alle derive autoritarie di stampo razzista, populista e fascisteggiante che si manifestano.
    La questione democratica ci sembra essere sottovalutata, elusa o ridimensionata da parte dell’organizzazione mentre la crisi del Pdl, incrinatura significativa del potere “assolutista” di Berlusconi, evidenzia invece, con maggiore nitidezza, alcuni aspetti strutturali che minano l’assetto democratico del paese.
    Ci sembra che la questione debba essere analizzata a più livelli:

    Sul piano della configurazione politico-economica e della centralità strategica delle aziende di Berlusconi e del suo controllo, sempre più pervasivo, della comunicazione politica e dell’informazione
    Sul piano della legge elettorale attualmente in vigore e in generale dei sistemi elettorali maggioritari che provocano evidenti distorsioni della rappresentanza politica, anche se con gradazione diverse.
    Sul piano dell’attacco alla Costituzione Repubblicana, ai diritti sociali e politici dei lavoratori/ci, alla divisione formale tra i poteri dello Stato e ai tentativi di limitazione della libertà di stampa.
    Sul piano dell’assenza o della esigua possibilità di esercitare i propri diritti politici e sociali per milioni di immigrati di prima e seconda generazione, e delle campagne securitarie e razziste.
    Sul piano della straordinaria espansione dell’economia sommersa e dell’evasione fiscale che stravolgono interi settori economici, depauperando le entrate, e sottraendo risorse essenziali per i servizi pubblici.
    Sul piano dell’esplosione dell’economia illegale e criminale che impedisce in interi territori soprattutto nel meridione d’Italia l’esercizio effettivo delle libertà democratiche.

    L’insieme di questi fattori e la loro particolare combinazione determinano in Italia una vera emergenza democratica.
    L’alleanza di governo tra il Pdl e la Lega nord è l’espressione politica di questa emergenza, ognuno di questi fattori è, infatti, rappresentato all’interno di quest’alleanza.
    Berlusconi, il secondo uomo più ricco d’Italia, padrone e controllore della comunicazione televisiva italiana e non solo, della raccolta pubblicitaria, garante di interessi internazionali, influente nel sistema bancario e con potenti alleati è anche come sappiamo, il Presidente del consiglio.
    Nel suo partito, che rappresenta più di dieci milioni di italiani non sembrano essere presenti meccanismi democratici degni di nota. La sua è senza ombra di dubbio dal nostro punto di vista un’anomalia democratica o se vogliamo da un punto di vista capitalistico una nuova e particolare forma di dominio, sviluppatosi non senza incertezze negli ultimi sedici anni. La rottura con Fini e la componente di Futuro e libertà è avvenuta su molti elementi di programma, sulla gestione unitaria del Pdl e sulla rappresentanza politica di settori sociali ed economici differenti.
    E’ urgente che le forze della sinistra anticapitalista e comunista si dotino anche di una piattaforma radicale sul piano democratico, per sfidare e non lasciare questo “terreno” all’opposizione borghese, giustizialista o qualunquista.
    La centralità della connessioni tra questa e una più complessiva piattaforma sociale ed economica deve essere evidenziata con forza.

    La crisi del berlusconismo è la minaccia peggiore del berlusconismo

    L’ultimo governo Berlusconi si è ovviamente contraddistinto per una politica economica accentuatamente liberista e impopolare, fatta di tagli alla spesa sociale -sanità, pensioni, istruzione e servizi sociali delle Regioni- e di una politica fiscale ad esclusivo vantaggio dei ceti più abbienti -esenzione ICI, Tremonti-ter, sgravi su aumenti di capitale, scudo fiscale e persino la cedolare secca sugli affitti. Nel frattempo è cresciuta l’evasione dei ricchi, dell’IVA e dell’IRPEF, mentre la classe lavoratrice ha dovuto subire un’ondata massiccia di licenziamenti e di riduzione dei salari ovvero di blocco degli stipendi in termini nominali. A ciò si aggiunge il pieno sostegno alla controrivoluzione ottocentesca di Marchionne, che punta alla negazione del diritto di sciopero e allo svuotamento crescente della contrattazione collettiva a cominciare dall’accordo separato del gennaio 2009; l’attacco alla scuola, all’università e alla ricerca completano il quadro. Insomma un disastro sociale ed economico imponente. Ad essere maggiormente colpiti sono stati gli immigrati e le immigrate, la cui perdita del posto di lavoro corrisponde alla perdita del permesso di soggiorno; i migranti hanno dovuto subire una campagna ossessiva di stampo razzista e xenofobo sino alla più volte ripetuta privazione di tutte le tutele sociali, dalla sanità all’istruzione, dall’assistenza al diritto all’abitare; una repressione violenta, autoritaria e giustizialista. Impunità per i galantuomini del potere e zero diritti per i migranti: questo, in sintesi, è il presunto garantismo della cricca di Berlusconi, Maroni e Bertolaso.
    Dovremmo essere già ad una resa dei conti. Tuttavia, nonostante le politiche economiche e fiscali decisamente impopolari, la crisi del berlusconismo è solo parzialmente una crisi di consenso e di egemonia. Non si sta verificando nessun automatismo tra peggioramento delle condizioni sociali ed economiche e perdita di consensi, o almeno non ci sembra che ci sia una proporzione. La propaganda e la comunicazione politica controllata, l’utilizzo massiccio di tecniche persuasive tipiche della comunicazione pubblicitaria, la costruzione di campagne securitarie e l’indicazione di capri espiatori, sostengono e danno sostanza all’ideologia berlusconiana. Resta pur vero che un nucleo borghese ancora forte, ed in grado di arricchirsi nonostante la crisi economica, resiste attorno al suo blocco di potere, soprattutto perché favorito dal liberismo reazionario del ministro Tremonti, a parole avversario delle banche e della presunta speculazione, ma in realtà sempre attento a consentire maggiori guadagni fiscali per i più ricchi. La manovra economica del governo è un esempio illuminante di una politica tesa a colpire scientificamente solo le classi più povere.
    Le forze politiche dell’opposizione non sembrano in grado di raccogliere il consenso dei ceti popolari e alzare il livello dello scontro. Prevale la sfiducia e la rassegnazione tra la classe lavoratrice. Siamo, pertanto, al paradosso che la crisi del berlusconismo corrisponde alla più autentica e pericolosa minaccia del suo stesso blocco di potere. Di fronte alla perdita di consenso, Berlusconi e i suoi alleati sono ancora in grado di lanciare e vincere la sfida decisiva, perché in grado di sfruttare la debolezza degli avversari. Nonostante siano una crescente minoranza nel paese, Berlusconi e la Lega Nord mantengono una maggioranza relativa capace di sfruttare la frammentazione e il moderatismo politico degli avversari. L’attuale legge elettorale di tipo maggioritario, che ricorda la vecchia legge Acerbo di stampo fascista, premia la maggioranza relativa ed è predisposta su misura per garantire la vendetta e la resa dei conti finale di Berlusconi con tutto ciò che resta della nostra democrazia e delle nostre conquiste sociali, dalla Costituzione allo Statuto dei lavoratori ed alla contrattazione collettiva. A sinistra non è ammissibile continuare a negare l’urgenza di una nuova legge elettorale di tipo proporzionale in grado di impedire a Berlusconi di governare senza essere maggioranza nel paese; non si può affermare che è un problema secondario; la democrazia, per quanto formale, resta una conquista essenziale per la classe lavoratrice e anche per una dinamica conflittuale e antagonista.

    Le insufficienze e le complicità dell’opposizione borghese

    Se l’alleanza Pdl-Lega nord è arrivata al punto da rappresentare un vero e proprio pericolo democratico per il paese, è anche per le storiche e straordinarie insufficienze e complicità delle forze politiche ed economiche che oggi costituiscono buona parte della debole opposizione borghese in Italia.
    L’ accettazione o la piena condivisione della trasformazione in senso maggioritario dei sistemi elettorali, la condivisione dell’esperienza di governo con Berlusconi da parte dell’Udc, la revisione del titolo V della Costituzione, l’assenza di un iniziativa politica parlamentare costante ed incisiva per impedire, regolare o limitare quello che viene definito “conflitto d’interessi” sono state le scelte istituzionali che hanno in parte determinato il quadro attuale.
    Sono state fondamentali anche le scelte economiche e sociali delle stagione intermittente dei governi di centrosinistra, incapaci nel delineare anche solo politiche economiche redistributive, nel promuovere politiche sull’immigrazione capaci di restituire pieni diritti sociali e di cittadinanza, di contrastare con efficacia l’evasione e l’elusione fiscale e l’espansione dell’economia criminale.
    Le forze politiche dell’opposizione democratico-borghese non sembrano ad oggi essere investite da un processo di revisione profonda di questa stagione politica lunga due decenni, anzi si manifestano ancora con una discreta forza, per esempio all’interno del Pd, ipotesi “estremistiche” maggioritarie, bipartitiche.

    La nostra proposta alla sinistra: convergenza e alternativa

    La sinistra, purtroppo, non sembra ancora in grado di crescere e di recuperare consensi tra la classe lavoratrice, costretta a pagare le conseguenze sociali della più devastante crisi economica dai tempi della grande depressione. Occorre fare un salto in avanti per una autentica alternativa alle politiche liberiste. Bisogna partire dai bisogni popolari più immediati per lanciare una sfida al bipolarismo e una politica economica strategicamente alternativa. Non servono più le politiche del meno peggio o le cosiddette riduzioni del danno. C’è bisogno di una sinistra alternativa alla logica social-liberista del centro-sinistra e contrapposta al liberismo reazionario e xenofobo della destra. Soprattutto, è necessario un movimento in grado di contrastare in modo forte la crisi economica, le politiche padronali, a partire dalla lotta della FIOM contro la rappresaglia della FIAT e contro la scellerata politica di privatizzazione del welfare da parte del governo Berlusconi. Partendo dal movimento contro la privatizzazione dell’acqua e dalla lotta della FIOM è possibile costruire un fronte sociale e politico contro la crisi per una reale ricomposizione di classe. E’ il compito della sinistra, non più rinviabile.
    Dal punto di vista strettamente politico, ciò significa il rifiuto del bipolarismo e la costruzione di un’alleanza della sinistra in alternativa al Partito Democratico e in contrapposizione alle destre.
    La costruzione di un polo elettorale alternativo resta una necessità fondamentale per la sinistra, di carattere strategico, ma occorre trovare, in assenza di un cambiamento della legge elettorale, una tattica adeguata per non disperdere il voto e favorire l’ennesima vittoria di Berlusconi.
    Per questo proponiamo a tutta la sinistra una linea caratterizzata da una duplice necessità: convergenza e alternativa.
    La proposta politica dell’attuale maggioranza del Pd e del suo segretario Bersani, di costruzione di un patto di governo, attraverso la costituzione di un nuovo Ulivo e di un alleanza democratica allargata ai soggetti politici non interessati all’esperienza di governo, segna uno scarto dalle teorizzazioni sull’autosufficienza di Veltroni e incontra l’ostilità di Vendola e di Sel mentre la Federazione della sinistra sembra accogliere con favore la partecipazione all’alleanza democratica e scartare la possibilità di un coinvolgimento a livello di governo. Ci sembra che questo orientamento sia anche determinato da un seria riflessione e autocritica sull’ultima esperienza del governo Prodi, almeno in alcune sue aree politiche.
    Come resistenze sociali, a partire dalla considerazione del carattere antidemocratico del sistema maggioritario e della pericolosità dell’alleanza Pdl-Lega Nord, riteniamo che sia necessario che tutte le altre forze della sinistra anticapitalista e comunista costruiscano prima un campo dell’alternativa che successivamente definisca la tattica elettorale con le forze politiche del centro-sinistra (Pd, Idv, Sel), nei termini di un’alleanza elettorale.
    E’ decisivo, però, che vengano superate le ambiguità presenti all’interno della Fds in merito alla questione di possibili accordi politici che vincolerebbero ad una eventuale maggioranza di governo.
    Non si può esserne prigionieri e non si possono privare le lotte sociali e i movimenti, nel caso, di una sponda politica essenziale. E’ bene dare corpo e sostanza all’alternativa anche a livello parlamentare.
    Non possono esserci dubbi, infatti, sulla incompatibilità tra il profilo programmatico del Pd e una politica alternativa di sinistra in grado di tutelare realmente gli interessi della classe lavoratrice. Per quanto riguarda Sel e Vendola, la loro strategia è interna allo schieramento di centrosinistra di cui puntano a vincere le primarie sul modello di quanto già fatto in Puglia. Vendola sembra essere in grado di suscitare speranze e passione politica su un profilo radicale e sarebbe un errore da parte nostra non considerare questa capacità. Sono speranze che possono determinare forti contraddizioni con e nel Pd.

    La necessità della ricomposizione politica

    La possibilità di una ampia e forte sinistra anticapitalista si configura nell’ambito del complesso binomio di ricomposizione e ricostruzione. In Italia, allo stato attuale delle forze della sinistra anticapitalista ogni ricomposizione risulta insufficiente senza una vera e propria ricostruzione. Essa può svilupparsi nella sperimentazione e ricerca concreta di pratiche ed interventi sociali utili, nei diversi contesti, a trovare soluzioni e risposte ai bisogni emergenti. Al tempo stesso, di fronte all’avanzata della crisi e dei suoi effetti, una prospettiva di ricostruzione che non opera nessuna forma di ricomposizione politica rischia di essere condannata all’isolamento e all’autoreferenzialità..
    La necessità di una resistenza sociale e politica contro la crisi implica inevitabilmente una convergenza, una alleanza, un fronte unitario tra le forze della sinistra anticapitalista e rivoluzionaria e le forze della sinistra antiliberista e riformista in senso classico. Per questo affermiamo che gli effetti della crisi comportano persino la necessità di una ricomposizione di tutta la sinistra, anticapitalista e antiliberista. Una sorta di anno zero, di ritorno alle origini del movimento operaio e socialista, prima delle tante divisioni che hanno contrassegnato la storia politica dell’intera sinistra

    La Federazione della sinistra
    L’unico tentativo di ricomposizione a sinistra che si è avviato è quello della Federazione della Sinistra. Essendo stata l’unica iniziativa politica unitaria a sinistra è certamente per lo meno apprezzabile. Ciò nonostante, questa ricomposizione presenta forti limiti:
    -Una parziale, non generalizzata e per questo inadeguata elaborazione dell’esperienza negativa del governo Prodi e della stagione dei governi di centrosinistra, come abbiamo riscontrato in alcune scelte nelle recenti elezioni regionali e nelle incertezze manifestatesiall’inizio del confronto in merito all’alleanza democratica e al patto di governo.
    -La lettura del documento congressuale della Fds evidenzia dei limiti anche in merito ai rapporti con le istanze di movimento.
    - Il primo congresso della Fds si svolgerà con uno statuto e un regolamento congressuale che la caratterizzano come un processo burocratico, intorno a quel che rimane del suo fortemente ridimensionato peso istituzionale. Se così persistesse, il rischio che venga risucchiata definitivamente in una logica solo istituzionalista ed elettorale, con una deriva subalterna al Pd, è molto alto. Questo è il fattore determinante che impedisce di suscitare particolari passioni ed adesioni di massa.

    Il ruolo di Sinistra critica
    Dal punto di vista prettamente sociale l’impegno di Sinistra Critica nel movimento, dalla costruzione delle reti anti-crisi, dei coordinamenti autoconvocati , alla battaglia sul referendum per l’acqua pubblica, è stato importante. Si aggiunga che la capacità dei compagni e delle compagne, sotto il profilo editoriale, ha permesso di condividere una elaborazione politica e teorica di indubbio valore.
    Sul piano politico, tuttavia, siamo arrivati, dopo solo un anno, ad un fallimento a 360 gradi. In sintesi, possiamo affermare che Sinistra Critica non sembra più un’organizzazione per la sinistra anticapitalista; piuttosto, sembra effettivamente che essa si comporti politicamente come se già fosse essa stessa la sinistra anticapitalista. Avevamo più volte contestato in Conferenza Nazionale il carattere decisamente partitista e politicamente autoreferenziale della nuova linea politica. Ne abbiamo avuto conferma. Non una reale iniziativa politica è stata messa in campo con il fine della costruzione della sinistra anticapitalista. Si è sostenuto che una ricostruzione è possibile senza la ricomposizione. Di fatto, questa linea politica corrispondeva ad una radicale auto centratura, e così è stato.
    Non avremmo mai pensato che una parte del documento alternativo congressuale si trasformasse in un’area politica di Sinistra Critica. Abbiamo sempre mantenuto il senso delle proporzioni. Tuttavia, di fronte alla scelta astensionista, a costo di sfiorare il ridicolo, non potevamo agire altrimenti. Credere in una organizzazione politica significa innanzitutto criticarla, seppure in modo costruttivo; ma quando le differenze si fanno profonde, la contestazione e la critica necessitano anche di una radicale distinzione interna. Per questo abbiamo deciso che si doveva costituire un’area politica interna.
    Il dato principale da cui partire è che questa linea, che giudichiamo settaria, ha prodotto solo isolamento politico e autoreferenzialità. I danni sono già enormi, e rischiano di diventare irreversibili. Continuiamo a perdere energie e militanza. Si tratta di una emorragia strettamente connessa al nostro isolamento. Il gratificante entusiasmo del campo giovani rivoluzionario non può mettere in secondo piano le difficoltà concrete che si sono vissute in quest’anno politico, quando le nostre sezioni hanno dovuto fronteggiare difficili contesti con scarsissime forze. I numeri sono importanti e la quantità fa la qualità e ritenersi autosufficienti, sarebbe deleterio.

    Rompere gli indugi, per una nuova iniziativa politica
    E’ importante prendere consapevolezza della necessità della ricomposizione politica per una efficace ricostruzione della sinistra anticapitalista. Occorre una nuova svolta politica, anzi un ritorno all’indietro. Sinistra Critica si era, infatti, sempre caratterizzata per una posizione politica radicalmente di sinistra, ma in grado di rifuggire da ogni settarismo e facile estremismo. Da due anni, si è deciso di cambiare e di sposare una linea estremista. Affermiamo, invece, che il periodo passato di Sinistra Critica, per intenderci quello del no alla guerra del compagno Turigliatto e delle manifestazioni del Giugno 2007, sia stato senza dubbio il più florido. Non fu solamente dovuto alla contingenza politica, era anche il frutto naturale di una scelta politica coerentemente di sinistra, ma al tempo stesso priva di settarismo. Per questo pensiamo che bisogna tornare indietro e abbandonare la svolta sancita a Bellaria. Occorre, al contrario, un nuovo indirizzo politico orientato alla ricomposizione della sinistra e alla ricostruzione della sinistra anticapitalista, sul modello di quanto fatto in alcune recenti esperienze in Europa. Anche l’indirizzo prevalente della Quarta Internazionale invoca, salvo eccezioni ben motivate, questa prospettiva politica di ricostruzione all’interno di una ricomposizione più ampia della sinistra alternativa al social-liberalismo. Così vale per una cospicua fetta dell’NPA in Francia, per il Portogallo, per l’alleanza danese, per i compagni e le compagne che sono entrati nella Linke in Germania. Non vale, invece, per altre sezioni della Quarta Internazionale, che, non a caso, hanno scelto di criticare duramente il documento politico.
    Come Resistenze Sociali siamo estremamente convinti della necessità di lavorare per una ricomposizione della sinistra popolare e di alternativa.
    Serve quindi una nuova iniziativa di Sinistra Critica, che assuma la centralità della ricomposizione politica a sinistra e che si misuri anche con il processo di costruzione della Federazione della sinistra, individuandone i limiti e le ambiguità, contribuendo in modo unitario, allo sviluppo di nuovi processi politici nella direzione della costruzione della sinistra anticapitalista e comunista.
    Un’ iniziativa che punti a coinvolgere i molti soggetti politici esistenti, e rimetta al centro del confronto politico l’autorganizzazione del movimento, a partire dai beni comuni e dalle lotte sociali contro la crisi; che lavori per la costruzione di un polo elettorale alternativo della sinistra, antiliberista e anticapitalista; che lavori per la costruzione di una struttura plurale e federata, politicamente snella con il criterio della doppia maggioranza degli iscritti e dei soggetti politici, e la piena flessibilità e autonomia dei soggetti politici e di movimento che ne faranno parte senza alcun necessario vincolo politico o elettorale; che lavori alla condivisione di una piattaforma di obiettivi immediati e comprensibili di lotta, senza la quale non si recupera nessuna credibilità e ci si condanna da soli alla marginalità politica.
    La ricomposizione in Italia può trarre utili indicazioni dai principali modelli europei, dal Blocco di Sinistra in Portogallo alla Linke tedesca, cioè in una posizione nettamente alternativa all’involuzione social-liberista della socialdemocrazia, ma puntando contemporaneamente a garantire la presenza dei socialisti e riformisti di sinistra. Si tratta, in altre parole, di tornare all’anno zero della ricomposizione di tutta la sinistra, prima delle tante divisioni del Novecento. Il fatto che l’alternatività della Linke sia favorita dalla legge elettorale non fa, poi, che rafforzare le nostre convinzioni sulla necessità di un ritorno al sistema proporzionale.
    Dovremmo lavorare, anche, affinché vi siano nuove personalità di spessore della sinistra, esterne ai vecchi partiti e provenienti direttamente dalle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici, in grado di ricomporre la sinistra su un profilo strategicamente alternativo al social-liberismo Tutto ciò non è impossibile ovvero fuori portata nel breve periodo, serve convinzione nei propri mezzi e determinazione politica.

    Area politica Resistenze sociali-Sinistra critica

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